Gian Ruggero Manzoni: Tutto il calore del mondo.

In “Missione Poesia”, Gian Ruggero Manzoni. Una poetica dove la dimensione cristologica diventa un pilastro che regge – quale valore esistenziale e profondo – il coraggio e la disperazione dei protagonisti dei testi, che sono il coraggio e la disperazioni propri dell’uomo-poeta, che si fa carne straziata e sangue versato, che si cala nella volontà di una redenzione forse malferma ma conclamata, che si fa ancora verbo nelle parole umanizzate – prosopoetiche dell’autore.

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Gian Ruggero Manzoni è nato nel 1957 a San Lorenzo di Lugo (RA), dove tuttora risiede. Poeta, narratore, pittore, teorico d’arte, drammaturgo, frequentato il Liceo Classico a Lugo di Romagna, nel 1975 si iscrive al DAMS di Bologna indirizzo Spettacolo poi Arte. Suoi maestri sono stati Gianni Celati e Umberto Eco.
Nel 1977, a seguito dei fatti riguardanti il famoso « Marzo Bolognese », lascia la città emiliana e parte volontario nell’esercito. Negli anni successivi soggiorna per lunghi periodi in Belgio, in Francia e in Germania, dove frequenta gli ambienti artistici.
Nel 1982 e nel 1983 è redattore della rivista Cervo Volante di Roma, diretta da Achille Bonito Oliva ed Edoardo Sanguineti. Insegna Storia dell’Arte presso l’Accademia di Belle Arti di Urbino dal 1990 al 1996, quindi, lasciata la cattedra, come contrattista, presta docenza presso Accademie e Università italiane e straniere. Nel 1980 pubblica Pesta duro e vai trànquilo/ Dizionario del linguaggio giovanile con le Edizioni Feltrinelli.

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Nel 1997 dà continuità alla ricerca riguardante i nuovi linguaggi emergenti pubblicando Peso vero sclero/Dizionario del linguaggio giovanile di fine millennio edito da Il Saggiatore. Come teorico d’arte, pittore e poeta partecipa ai lavori della Biennale di Venezia negli anni 1984 e 1986, edizioni dirette da Maurizio Calvesi, curando, assieme all’amico Valerio Magrelli, la Sezione Poesia per Arte allo Specchio.
Dal 1986 al 1998 dirige la rivista d’arte e letteratura Origini. Dal 1985 interpreta a livello teatrale sui testi accompagnato da musicisti jazz. Sue poesie sono state musicate da Fernando Mencherini, Nicola Franco Ranieri, John De Leo, Stefano Scodanibbio. Negli anni ’90, sotto la direzione di Gianni Celati e di Ermanno Cavazzoni, collabora alla realizzazione dell’almanacco di prose Il Semplice, rivista di narrativa edita da Feltrinelli.

Ha vinto i premi letterari Savignano, per una raccolta inedita di poesie, Todaro-Faranda, per la narrativa inedita, e Francesco Serantini.
E’ stato incluso nella cinquina finalista dei premi Mont Blanc, per la narrativa inedita, e Bari-Costiera di Levante.
Ha al suo attivo oltre 40 pubblicazioni.
Alcune sue opere sono state tradotte in Grecia, Francia, Germania, Gran Bretagna, Spagna, Irlanda, Argentina, Uruguay. Ora dirige la rivista d’arte, letteratura e idee ALI.
Ama abitare in provincia e, come di solito dice, « dell’uomo di provincia possiede tutti i difetti, ma anche tutti i pregi ».

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Conosco Gian Ruggero di fama e per averlo incontrato qualche volta a letture di poesie, a cui abbiamo partecipato entrambi, in Romagna. Di lui mi colpisce il suo essere così poliedrico dato che – come si vede dalla sua biografia – si occupa d’arte a tutto tondo. Leggendo i suoi libri, e ascoltando con interesse alcune sue interviste, ho compreso che la sua poetica si basa su diversi fattori che vanno a convergere nella sua dimensione di uomo di Romagna, molto legato al territorio sia geograficamente che storicamente, che tuttavia ha saputo integrare questa sua qualità di genius loci confrontandosi con le culture incontrate nei suoi viaggi e nelle sue lunghe permanenze all’estero, contribuendo a costruirsi un’identità formata da varie costituenti sia umane che artistiche, tutte raccolte nella poetica che esterna nei suoi lavori.

Di Mimmo Paladino, Crocifissione

Non è poco sapere di far parte di un universo enorme ed avere i piedi ben piantati nelle proprie radici, saperne ricavare un excursus linguistico e poetico tale da farne la propria forma di rappresentazione. L’ultimo libro pubblicato da Manzoni è “Tutto il calore del mondo” (edito per le Edizioni SKIRA nel 2013) e direi che rispecchia appieno questa caratteristica dell’autore. Di questo libro parleremo in quest’articolo di Missione poesia. In questo libro i testi sono accompagnati da disegni di Mimmo Paladino, un grande pittore che non ha bisogno di presentazioni (nel caso trovate la sua biografia al link:
http://it.wikipedia.org/wiki/Domenico_Paladino)

Tutto il calore del mondo

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Scrive l’autore Andrea Ponso, nella nota di prefazione al libro, che «La forma poetica di Gian Ruggero Manzoni è da sempre stata caratterizzata da uno sporcare la prosa con la poesia, non si sa se per bisogno di un contenitore assoluto o per naturale e istintivo dubbio nei confronti delle forme pure che, al massimo della loro tensione, invece di aprirsi si chiudono come reliquie.».

Questo passaggio permette di entrare subito nella questione stilistica che, a parere di chi scrive, è la questione della poetica di GR Manzoni. Sporcare la prosa con la poesia comporta, infatti, un’inseminazione non solo formale ma anche di modalità di rapportarsi col testo che non può non incidere sui contenuti. Così, se è la prosa esplicativa che Manzoni inserisce in apertura dei due poemetti che compongono il libro, Il fiume di betulle e Dagli scavi di Alesia, a fare da sottofondo allo scheletro poetico di tutto il lavoro, è questo scheletro stesso che si rimpolpa di versi dove la narrazione viene accompagnata da immagini evocative, da metafore insidiose, da similitudini e anafore, da musicalità di filastrocca e fiaba (in alcuni momenti) tanto da rivelare, con un notevole utilizzo degli strumenti stilistici e metrici ad uso e consumo della poesia, il desiderio di esprimere quei sentimenti e quelle inquietudini che la sola narrazione storiografica o cronachistica non consentirebbe di fare. Ci vuole coraggio dunque a esprimersi in una forma così composita, correndo il rischio di non far emergere né l’una né l’altra, di dare al verso lungo l’imprinting prosastico o al verso breve l’apparenza di una narrazione tronca, ci vuole maestria – e qui sta la cifra artistica dell’autore – a trovare il giusto equilibrio in questa forma arrivando a rapportarsi con l’Assoluto, o con quel pensiero cristologico che diventa pilastro di condizione umana nelle intenzioni dell’autore. Un pilastro che regge – quale valore esistenziale e profondo – il coraggio e la disperazione dei protagonisti dei testi di Manzoni, che sono il coraggio e la disperazioni propri dell’uomo-poeta, che si fa carne straziata e sangue versato, che si cala nella volontà di una redenzione forse malferma ma conclamata, che si fa ancora verbo nelle parole umanizzate – prosopoetiche dell’autore.

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Non c’è scampo al confronto con la filmografia di Tarkovskij (regista splendido del film L’infanzia di Ivan del 1962 a cui è ispirato il primo poemetto) o con il De bello Gallico (mirabile esempio di storiografia romana dove sono raccontate le vicende della grande battaglia di Alesia che vide vincere i romani sui Galli): le vicende qui narrate riportate attraverso l’espediente della personificazione nel piccolo Ivan, giovane ed eroica vittima dell’esercito russo, o in quella di Lucinio Curione, giovane vicecomandante inviato a Roma per annunciare la vittoria di Cesare e mai arrivato a destinazione, sono intrise di lancinanti estensioni drammatiche, di riflessi epici e sovrumani, di pietosissimi sguardi che rapportano le micro alle macro vicende umane, tanto da restituirci di riflesso un rimando alla nostra stessa condizione di lettori, felicemente e drammaticamente costretti a vivere una fortissima relazione narrante col testo.

Ivan e Lucinio Curione assumono le sembianze di coriacei portatori di un messaggio di speranza che sta nel riscatto dell’uomo dalle corruzioni e illusioni della vita, di chi si sacrifica ancora per l’altrui salvezza, di coloro che credono in ideali e valori al di là della loro stesa vita, pur non restando esenti dagli ossimori, dalle contraddizioni, dalle brutalità della stessa epoca in cui vivono e che diventa la stessa dove noi viviamo.

E tutto il calore del mondo, mi pare di poter dire, sta raccolto in quei colori sbiaditi ma resistenti dei sentimenti umani fatti vessillo di un amore più grande, quello di un Cristo che, dall’eternità della sua dimensione acquifera – l’acqua è il non luogo di tutti gli eventi del libro – può diventare capace di farsi voce corale e univoca per una possibilità di salvezza, rinnovata placenta d’amore.

QUALCHE TESTO.

da Il fiume di betulle

1

Tu non avesti un corteo funebre, né suoni di tromba, né bandiere rosse a lutto,
né decorazioni…
neppure alla memoria dei parenti fosti affidato leggero fanciullo di
coraggio.
Poi il corpo ti venne cremato, dopo l’impiccagione, in una città lontana
dal tuo fiume, dalla tua isba, e dalla tua canoa, azzurra e bianca.

Che il Dnepr culli i nostri sogni/ che le onde di quel mare che corre lambiscano i tuoi fianchi rosei / di figlio e di angelo assieme.// Il tuo colbacco affronta la morte/ mentre la tua sciabola d’argento il gravame d’essere soldato/ nella culla di una tomba…”

Egli non vedrà mai il sud e quegli alberi d’arancio, venduti agli incorci strade, com’io ho sparso biglietti da visita per il mondo, senza mai ricevere una chiamata.

Da ragazzo, di notte, correvo nei campi, con le lucciole quali guide, con gambe lunghe, che lasciavano il profilo di un volto tracciato negli steli piegati dall’affanno di maturare
un discorso per valido alle mani.

2

L’acqua è uscita dalle sponde e fa da letto alle radici di betulla.

Il gibbo si gonfia le spalle e scivola da spia nel mondo degli adulti.
Non comprendo la disumana volontà di sopraffarsi, ma quella mi abita
con voce che nonmi appartiene, perché esce tronfia e plasmata.

Forse che sia innata l’arroganza degli uomini? Forse che sia anch’essa santa?

********

da: Gli scavi di Alesia

I

I grumi del pianeta giacciono su tavoli di polvere.
Prima d’ora avresti mai compreso chi si privò della vita per resistere al potere?
La mano segna il destino di colline, fiumi, radure.
Fosti tu a indicare gli schieramenti avversi?
Il dio fatto carne seguiva quel travaglio che lo partorì (tra l’altro) nei
bivacchi dei celti,
in quei sacri alberi, nel druido, nel barbaro, nel diverso.
Belenus, Dagda, Epona, Modron, le fiaccole balenavano in cima alle
rupi. Spazzò il vento una pianta di uomini e bisonti.
Dalla Gallia all’Adriatico corsero cavalli e dardi, nelle insegne di un uomo
che divorò le membra ai classici e il mento alla vergogna.
Non ci fu riposo per le lame che frugano le ossa. Lo scontro andò per
orgasmi, per singhiozzi, per sputi nella vagina delle madri, per tessere
del domino.
Morti i figli, vizze le mammelle, il grano buttò il germoglio
e diventò veleno per il pane, bitume per la pozzanghera e cancrena
per le viscere inerti, poi denudate, poste alla consolazione dagli occhi
come tabernacoli di sperma, profanati da topi e ragni.

II

Mi diceva: “Io Lucinio Curione, ero anche ad Assur, Megiddo, Isso
e in tutte le battaglie del pianeta. Chi ascolta ‘andare dell’acqua
non è diverso da colui che è fonte d’acqua.

Lui così diceva, mostrandomi con vanto l’addome squarciato
che usava da astuccio o da bisaccia per carta e calamaio.

Cinzia Demi

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Cinzia Demi
Cinzia Demi (Piombino - LI), lavora e vive a Bologna, dove ha conseguito la Laurea Magistrale in Italianistica. E’ operatrice culturale, poeta, scrittrice e saggista. Dirige insieme a Giancarlo Pontiggia la Collana di poesia under 40 Kleide per le Edizioni Minerva (Bologna). Cura per Altritaliani la rubrica “Missione poesia”. Tra le pubblicazioni: Incontriamoci all’Inferno. Parodia di fatti e personaggi della Divina Commedia di Dante Alighieri (Pendragon, 2007); Il tratto che ci unisce (Prova d’Autore, 2009); Incontri e Incantamenti (Raffaelli, 2012); Ero Maddalena e Maria e Gabriele. L’accoglienza delle madri (Puntoacapo , 2013 e 2015); Nel nome del mare (Carteggi Letterari, 2017). Ha curato diverse antologie, tra cui “Ritratti di Poeta” con oltre ottanta articoli di saggistica sulla poesia contemporanea (Puntooacapo, 2019). Suoi testi sono stati tradotti in inglese, rumeno, francese. E’ caporedattore della Rivista Trimestale Menabò (Terra d’Ulivi Edizioni). Tra gli artisti con cui ha lavorato figurano: Raoul Grassilli, Ivano Marescotti, Diego Bragonzi Bignami, Daniele Marchesini. E’ curatrice di eventi culturali, il più noto è “Un thè con la poesia”, ciclo di incontri con autori di poesia contemporanea, presso il Grand Hotel Majestic di Bologna.

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