Venezia 71, Patria di Felice Farina e tanto cinema orientali all’arrivo del festival.

Tanto cinema orientale specie nelle sezioni Orizzonti e giornate degli autori ma anche film italiani come Patria un docu-fiction firmato Felice Farina sulla drammatica Italia di oggi. Da ricordare i festeggiamenti all’Istituto Luce con il film 9 X10 Novanta.

Patria di Felice Farina

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Nel confortante panorama offerto dal cinema italiano alla 71 Mostra di Venezia, spiccano titoli di riflessione sugli inquietanti decenni alle spalle, pieni di buchi neri e disillusioni sul futuro immanente. E’ certo l’incertezza del futuro lavorativo di centinaia di dipendenti di aziende, sull’orlo di una crisi fagocintante ed aggressiva, a fare spesso da filo conduttore.

Lo fa molto bene il film di Felice Farina « Patria », presentato nella rassegna « Giornate degli Autori » (quella che in questi anni ha portato sul Lido pellicole di interesse sociale e politico). Lo fa partendo da uno sciopero spontaneo di un dipendente (di destra ed affltto dalla mania del calcio, giocato dagli altri) che veste i panni di un bravo Francesco Pannofino. Perde il lavoro con una ventina di colleghi in una azienda del Nord (imprecisato) che non vuole arrendersi e sale sulla torre più alta della fabbrica, nella indifferenza però dei suoi colleghi.

Attende che la « televisione » gli faccia il regalo di rendere nota la vicenda dell’ennesima chiusura aziendale e della ennesima perdita di lavoro. Ma la vicenda si ricompone con la presenza del sindacalista Giorgio (un sempre bravo Roberto Citran) i quali si interscambiano accuse ed afffetto, ripercorrendo a ritroso i trenta anni bui del nostro paese. A loro si aggiunge anche Luca, ipovedente ma informato (come da telequiz) sulle vicende del nostro paese, non solo di « Belluscone », ma da dove è partito il tutto.

Il film si rifa al libro di Enrico Deaglio « Patria 1978-2010 » un bell’esempio di coniugare impegno civile e riflessione sociale.

Da Venezia Armando Lostaglio

9 x 10 NOVANTA di Marco Bonfanti, Claudio Giovannesi, Alina Marazzi, Pietro Marcello & Sara Fgaier, Giovanni Piperno, Costanza Quatriglio, Paola Randi, Alice Rohrwacher, Roland Sejko (Italia, 94’, v.o. italiano s/t inglese)

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Per il novantesimo compleanno dell’Istituto Luce, che cade quest’anno, alcuni dei più apprezzati nuovi autori del nostro cinema sono stati invitati a realizzare un piccolo film, ciascuno con 10 minuti di immagini dell’Archivio, scelte tra le migliaia di ore di filmati che esso contiene. Il film che ne esce , pur nelle disuguaglianze e nei tagli ovviamente diversi, ci restituisce una memoria della nostra storia che è necessario, oltre che piacevole, conservare e compulsare.

COURT di Chaitanya Tamhane (India, 116’, v.o. marathi/hindi/inglese/gujarati s/t inglese/italiano)

con Vira Sathidar, Vivek Gomber, Geetanjali Kulkarni

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Opera di esordio alla regia di Chaitanya Tamhane. Che sceglie un tema insolito. Quello della attività dei tribunali della periferia di Bombay. Assistiamo a numerose sedute giudiziarie. Per poi andare a scoprire il privato dei vari personaggi. Dall’avvocato, all’accusa, ai giudici. Per rendersi conto che tutti sono in effetti vittime di una sistema giudiziario farraginoso (nel quale, ahinoi, sono ancora invischiati i nostri celeberrimi fucilieri).

Basato su legge ottocentesche dell’epoca vittoriana. Che nessuno ha sentito la necessità di aggiornare alla realtà. I vari personaggi sono analizzati con cura. E il film scivola su binari sicuri e collaudati. Rivelando una buona padronanza del mezzo espressivo. Molto aderenti e credibili tutti gli interpreti.

JAYUEUI ONDUK (HILL OF FREEDOM) di Hong Sangsoo (Corea del Sud, 66’, v.o. inglese/coreano s/t inglese/italiano)

con Ryô Kase, Moon Sori, Younghwa Seo, Kim Euisung

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Interessante lo spunto narrativo : un giapponese torna in Corea dove aveva conosciuto ed amato una donna per incontrarla di nuovo e forse sposarla. Ma non la trova. Le lascia messaggi, ma niente. Allora le manda una busta contenente una serie di lettere scritte con regolarità durante i giorni delle ricerca di lei. Lei riceve le lettere. Ma queste le cadono alla rinfusa. Non essendoci le date su ciascuna lettera, non le ha più in ordine cronologico e quindi comincia a leggerle in ordine sparso. E questa lettura diacronica fa da fil rouge narrativo per le immagini. Che scorrono avanti ed indietro nel tempo, che ne viene così annullato. Buona la confezione e di livello gli interpreti.

A SHA JAOAR MAJHE (LABOUR OF LOVE) di Adityavikram Sengupta (Bengali, India, 84’, v.o. bengali s/t inglese/italiano)

con Ritwick Chakraborty, Basabdutta Chatterjee

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Opera prima del giovanissimo indiano Adityavikram Sengupta. Il quale , ad onta della sua giovanissima età, si rifà soprattutto ai cineasti indiani del passato. Quindi lontanissimo dallo stile Bollywood, tutto colore, ritmo ed occidentalismi. L’autore viene da una formazione di artista visivo e da studi di musica classica occidentale di 12 anni. Il film è visivamente ricercatissimo.

Con una cura minuziosa dei particolari. Il film è scandito dal montaggio incrociato delle giornate di marito e moglie in totale discordanza di fase. Lui lavora di notte e lei lavora di giorno. E si scambiano segni di amore nella comune casa, ma in assenza dell’uno e dell’altra. Sarò brutale. La vicenda poteva essere raccontata in un decimo del tempo : 8 minuti. Senza nemmeno rinunciare a gran parte della qualità visiva.

Certo in 8 minuti non si può far vedere tutto un tramonto in diretta, fino a quanto anche l’ultima parte della sfera rossa passa sotto l’orizzonte. Non si può far vedere l’intera operazione della frittura del pesce, dalla totale evaporazione dell’ultima goccia d’acqua prima di mettere l’olio, al bollore dell’olio, e così via. Non si potrà far vedere l’impronta del piede bagnato fino a quando la evaporazione non la cancella del tutto.

Non si potranno far vedere i piedi di lui che pedalano la sua bicicletta per tutto il percorso. Insomma, avete capito. Tutto bello, da esercitazione calligrafica, ma così si fatica a tenerne gli occhi aperti dopo 8 giorni di Mostra a 5/6 film e 5/6 conferenze stampa al giorno! Cartellino rosso!

HWAJANG (REVIVRE) di Im Kwontaek (Corea del Sud, 89’, v.o. coreano s/t inglese/italiano)

con Ahn Sungki, Kim Hojung, Kim Qyuri

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Film di notevole fattura. Come la scuola, coreana di cinema ci ha abituati a vedere da tempo. Con attori di grande professionalità. La storia è di grande drammaticità. E ci fa vivere le fasi di una malattia terminale con realismo straziante. Alternandole alla vita del marito della ammalata, alle prese con una situazione difficile suo piano personale e di grande impegno nella sfera lavorativa. Buone le invenzioni visive dei momenti onirici ed immaginativi.

Da Venezia Catello Masullo

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Armando Lostaglio
ARMANDO LOSTAGLIO iscritto all'Ordine dei Giornalisti di Basilicata; fondatore del CineClub Vittorio De Sica - Cinit di Rionero in Vulture nel 1994 con oltre 150 iscritti; promotore di altri cinecircoli Cinit, e di mostre di cinema per scuole, carceri, centri anziani; autore di testi di cinema: Sequenze (La Nuova del Sud, 2006); Schermi Riflessi (EditricErmes, 2011); autore dei docufilm: Albe dentro l'imbrunire (2012); Il genio contro - Guy Debord e il cinema nell'avangardia (2013); La strada meno battura - a cavallo sulla Via Herculia (2014); Il cinema e il Blues (2016); Il cinema e il brigantaggio (2017). Collaboratore di riviste e giornali: La Nuova del Sud, e web Altritaliani (Parigi), Cabiria, Francavillainforma; Tg7 Basilicata.

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