I Mille giorni di Renzi.

A sei mesi dal suo insediamento, Renzi cambia ritmo e si va all’operazione “Passo dopo passo”. I mille giorni in cui il governo dovrà raddrizzare un’Italia che affonda. Ma non si tratta solo di questo, si tratta di cambiare anche una cultura politica distruttiva che nel paese sembra dura a morire.

Quelli di Renzi sono stati sei mesi faticosi, non privi di qualche successo, al punto di aver raggiunto una straordinaria popolarità in un paese stremato da anni di recessione e ora da una stagnazione deflattiva, che sembra favorire una pericolosa spirale recessiva. Ma obbiettivamente il timing del premier è stato più volte disatteso fino al limite dell’abbandono.

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Certo, ci fosse stato un sistema di partiti consapevole della gravità del momento e della necessita delle riforma invocate, ormai quasi quotidianamente dal presidente della BCE Draghi, la marcia di Renzi e dei suoi sarebbe stata più spedita. Ma del resto il premier, nell’assumersi l’onere e l’onore di succedere ad Enrico Letta, ben conosceva i rischi di impaludarsi in un parlamento sostanzialmente ostile, figlia della seconda repubblica che proprio all’arrivo del fiorentino di ferro si è conclusa.

Ma la realtà è che nei decenni (e non solo negli ultimi due) il sistema italiano è andato ammalandosi, rendendo i suoi meccanismi sempre più complessi e farraginosi, rendendo cosi sempre più vana l’azione legislativa ed esecutiva. Prima di cambiare il corso dell’economia o la contrattualistica del lavoro, prima dei tagli alla PA, va compreso che bisogna rompere in profondità quel sistema Italia che basatosi su un senso civico ancora da costruire, si è sviluppato creando numerose ineguaglianze e finendo per favorire il costituirsi di gruppi di potere ed interessi particolari del tutto svincolati da motivazioni ideologiche o dai semplici interessi partitici.

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Voglio dire che si scontrano, e non solo in parlamento, un potere che vuole riformare ed un altro che ambisce a mantenere lo status quo o, addirittura, di portare delle controriforme, che deprimerebbero ulteriormente il già precario equilibrio del nostro paese.

Mi spiego meglio. In Italia la Pubblica Amministrazione, ad esempio, nel suo vasto e variegato articolato burocratico costituisce oggi, molto più di quaranta anni fa, un vero e proprio potere che nel tempo ha acquisito una sua autonomia di giudizio, riuscendo quando ha voluto finanche a disapplicare le normazioni che venivano proposte. La PA nel tempo, come è stato rilevato da diversi studiosi tra cui lo storico Crainz, ha modificato il suo rapporto con le istituzioni supreme della repubblica, divenendo prima veicolo politico del consenso dei partiti, attraverso pratiche clientelari e corruttive, poi, con la crisi della politica e della sua credibilità e popolarità, questo intreccio ha finito per far prevalere l’interesse (di bottega) dei funzionari su quello dello stesso funzionamento della cosa pubblica.

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Troppo spesso oggi nella PA si chiude gli occhi su comportamenti lavorativi inadeguati, su un dilagante assenteismo, e finanche sulle mille disfunzioni esistenti, cercando sempre alibi non privi di qualche fondamento, come quello della eccessiva e caotica regolamentazione del legislatore. Oggi il rapporto politica e amministrazione pubblica si è ribaltato. La PA è in grado di imporsi sui ministeri competenti, di influirne le scelte e non sempre in modo virtuoso.

La spending review è vissuta, non a caso, non come un miglioramento della macchina burocratica o come uno snellimento e ammodernamento dell’apparato, ma come una minaccia ai piccoli e grandi interessi di piccoli e grandi funzionari ed in quanto tale da evitare o scoraggiare.

Faccio un altro esempio. Il servizio pubblico televisivo, costituisce oggi un potere autonomo (ma non indipendente), a partire dalle lottizzazioni degli anni settanta ad oggi, la RAI è diventato un ente che non svolge più la sua funzione informativa e formativa, ma condiziona l’opinione pubblica, crea consenso, influenza il dibattito politico esercitando un’opera che puo’ favorire o demolire qualunque azione politica.

Nel corso del tempo, quindi, si è passati dal controllo politico sull’informazione immettendo giornalisti di “bandiera” a strumento creatore d’informazione e di opinione. Infine con la crisi dei partiti, la RAI, in una società post-ideologica come l’attuale, è diventato strumento più che dei partiti, di politici e gruppi di interesse finanziario ed economico (basti pensare al peso che ha la pubblicità negli stessi canali televisivi pubblici).

La ricerca ossessiva di audience e di conseguenti incrementi pubblicitari, spinge l’informazione pubblica e privata non più alla narrazione del paese, ma ad una costruzione narrativa che si fondi su sceneggiature atte ora alla ridicolizzazione ora alla drammatizzazione continua delle vicende politiche (per cui si puo’ passare nello stesso talk show dal ridicolo gelato di Renzi ai morti a mare di Lampedusa, il tutto con accompagnamento di adatte musiche ora da commedia all’italiana ora da cupo dramma neorealista).

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Solo in questo senso si puo’ spiegare come e perché, diversamente che in passato, il governo è sotto un sostanziale attacco critico perenne da parte della RAI e naturalmente della Mediaset e al contempo, sotto la critica costante della stampa, che è costretta ad inseguire la televisione sul suo territorio. Se si ritenesse che l’informazione è rappresentativa dell’opinione pubblica, il PD di Renzi invece di essere al 42% come sostengono i sondaggi, dovrebbe essere al massimo al 4% e cosi non è. Tuttavia, è evidente il peso della “informazione” sui cittadini, specie nel medio e lungo periodo.

E’ evidente che l’aver chiesto sacrifici anche alla RAI, l’aver chiesto un servizio pubblico più plurale e magari con un assetto amministrativo rinnovato, non ha giovato a Renzi ed ha suscitato le ire di quel gruppo di potere. Per me resta evidente che bisognerà ripristinare un distinguo tra TV commerciali e servizio pubblico, ad esempio ridimensionando o abolendo la partecipazione commerciale e quindi la pubblicità.

Nella stampa, addirittura abbiamo l’esempio de L’Unità che dovrebbe essere l’organo del PD e che in realtà, malgrado le feste a suo sostegno organizzate dai democratici, continua ad essere una voce di forte critica verso il segretario del partito di suo riferimento. Ma gli stessi campioni come La Repubblica o il Corriere non lesinano critiche ed iniettano sfiducia a profusione, una costante che non puo’ spiegarsi solo con il bisogno di creare clamore, rumore o anche solo chiacchiericcio per incrementare le vendite.

L’esempio forse più clamoroso di gruppo di potere è poi quello dei sindacati, i quali fanno intendere che Renzi opera come uno di destra (anche se ha tassato le banche, aiutato i ceti medi, imposto un tetto alle retribuzioni dei supermenager, ecc.), la realtà è che il nuovo PD avverte lo scollamento tra il paese reale e il sindacato, che sembra arroccarsi sui soliti pensionati, che sono una delle voci più consistenti del loro bilancio.

L’aver proposto primarie anche per l’elezione del segretario delle principali federazioni sindacali, proposta del responsabile welfare del PD Faraone, non ha favorito il PD, perché si intaccava un altro gruppo di potere, che non vuole essere un’associazione riconosciuta, prendendo atto del cambio di ruolo e rappresentatività dei sindacati maggiori, che non vuole essere soggetta alle regole associative, che non vuole pubblicizzare i propri bilanci, che insomma, vuole le mani libere ma soprattutto a tutela dei soliti noti.

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Il vero punto non è la validità o meno delle proposte del governo, ma il fatto che a prescindere questo governo con i suoi indubbi elementi di novità destabilizza un blocco dominante, che controlla da decenni i motori del paese (informazione, burocrazia, finanza ed altro). E’ lo stesso governo, con la sua forza di rinnovamento, che costituisce una minaccia ai privilegi che si sono goduti e ad un potere che si è gestito (male) per almeno un ventennio, quello che è iniziato con la discesa in campo di Berlusconi.

Credo sia questo che spieghi la perenne guerriglia operata da tutte le direzioni contro un governo che i numeri dicono ancora fortemente sostenuto dalla maggioranza dei cittadini, almeno da quelli che ancora partecipano al voto.

Ancora una volta è la vecchia perdente sinistra (quella delle Lucia Annunziata, degli Eugenio Scalfari, dei sindacati alla Camusso, dei partiti moribondi come SEL), interna anche al PD, invece di sostenere il suo leader per il rilancio del paese mette bastoni fra le ruote, vorrebbe di fatto segnarne la fine. E’ cosi che si sta ridando fiato a Berlusconi che non è stato aiutato dal patto del Nazzareno, che di fatto l’ha chiuso in un angolo. Paradossalmente, invece, è Forza Italia che pone meno problemi al governo, questo perché è preoccupata dalla sua grave crisi interna e bisognosa non di crisi ma di tempo, con la speranza che le riforme non si facciano, o non completamente, per poter sfruttare questo periodo per riproporsi come futura maggioranza.

Personalmente, credo che la speranza Renzi andrebbe alimentata e sostenuta, anche perché non vedo l’alternativa e viceversa vedo dei conti pubblici sempre più in debito, una disoccupazione sempre più in crescita, un default dei consumi che genera una crisi della produzione e il mantenimento dei privilegi di questi gruppi d’interesse che favorisce la conservazione attuale generando una perniciosa stagnazione che non potrà che far implodere il paese.

Ma Renzi l’ha detto chiaro: “Gufi o non gufi, ostacoli o non ostacoli, noi andremo avanti” e la realtà è che questa affermazione non è il capriccio di un bambino arrogante e con il gelato in mano è, piuttosto la necessità del paese. Una necessità di cui il premier è consapevole, come del resto delle strategie da usare. Insomma, il governo sembra avere molte idee e piuttosto chiare, e dopo decenni di nebbia sembra davvero una buona notizia.

Non vanno dimenticati quelli che oggi si lamentano per “l’annuncite” di Renzi. Sono coloro che hanno calcato la scena politica e dei talk show per venti anni senza fare neanche una riforma.
Vedere oggi il critico Fassina, lo scettico Brunetta, l’amaro Di Pietro, il polemico Vendola, il supponente Mauro, impartire lezioni al nuovo governo, fa scandalo.

E vedere la TV pubblica, che per due decenni è stata soggetta a Berlusconi (con la lodevole eccezione di RAI Tre), che fa le pulci a Renzi su ogni frase e ogni gesto, senza indugiare sull’azione riformatrice del governo, come qualunque organo d’informazione dovrebbe, fa doppiamente scandalo.

La TV e non solo pubblica, non ha ancora capito che quell’epoca (fatta di urla ed inutile esibizionismo) è tramontata, che lo spettacolino da circo mediatico del teatro della politica ha stufato. Per questo con i soliti triti linguaggi ci accingiamo all’annuale peana di Ballaro’ e soci, senza che si faccia sul serio informazione, senza che ci siano davvero pacate e chiare riflessioni.

Occorre liberarsi da un’informazione pubblicitaria per partiti falliti e che non hanno più seguito, occorre riprendere quella narrazione del paese, di cui la RAI di un tempo era maestra.

Non c’è nulla di più triste di un paese senza ideologie che perde i suoi anni in dispute ideologiche.
Federica Mogherini

Lo svecchiamento non è solo del governo o del parlamento, dovrebbe attraversare tutti i campi della società italiana, sindacati ed associazioni delle imprese incluse. Perché è lodevole il controllo e la partecipazione del pubblico, sul sito “passo dopo passo”, del governo, ma la vera riforma o rivoluzione dovrebbe essere quella della mentalità italiana, dovrebbe essere l’abolizione dei vizi italici, solo questo potrebbe permetterci di essere un paese normale al passo con l’Europa.

In tal senso il governo deve fare due cose che non lo favoriranno (almeno nell’immediato) nella conquista del consenso popolare. Rompere questo intreccio tra istituzioni e politica (partiti, individui o gruppi di potere che siano) e con realismo imporre delle riforme nette, chiare. Le riforma quando sono buone non accontentano tutti, creano drammi e malcontento.

Ma come si puo’ sanare un paese dove gli ordini professionali impediscano qualsiasi svolta liberale, chiudendosi nei loro interessi particolari? Non sarebbe l’ora di abolire gli ordini professionali allora?

La riforma del lavoro non puo’ essere concepita come una favola bella in cui tutti vivono felici e contenti, ma del resto chi oggi, specie tra i giovani trentenni e quarantenni, vive felice e contento?

E’ chiaro che ogni riforma intacca la società crea contenti e scontenti, si tratta di scelte politiche e i governi e i parlamenti fanno politica.

Credo, diversamente da molti, che anche se si è perso del tempo, Renzi ha fatto bene a partire dalla riforma elettorale e del Senato, perché certamente nel tempo il bicameralismo perfetto è stato uno dei motivi dello svilupparsi del “male” italiano, la semplificazione legislativa e la garanzia di un esecutivo che possa governare, sfoltendo la pletora di partitini inutili e dannosi, sia essenziale per far avanzare uno dei temi principi della politica prossima ventura, ovvero il principio di responsabilità politica. Un principio che nella palude attuale è andata sempre più smarrendosi in forza di coalizioni governative posticce e prive di qualsivoglia coerenza, dopo i mille giorni si deve sapere chi governa e come governa.

Certo, questi “Mille giorni” con il sito ad hoc, sembrano anche un cambio di strategia politica. Un (finalmente) basta annunci, ed un controllo democratico del lavoro che porta avanti l’esecutivo. Le riforme vanno fatte e poi annunciate, anche per evitare di far vivere i mille programmi televisivi (ma non sono troppi?) che vivono perlopiù di tediose polemiche su quanto si è fatto e quando si farà. Un’inutile balletto che serve dolo a demolire ogni tentativo di costruire una speranza, un futuro, per il paese.

A leggere la stampa e ad ascoltare la TV sembrerebbe che questo governo sia solo “chiacchiere e distintivo”, si è messo in secondo piano finanche l’importante nomina della Mogherini a capo della diplomazia europea all’estero (in un periodo cosi delicato tra attacchi del fondamentalismo islamico e il preoccupante racconto di quanto avviene in Ucraina). Si sentenzia sulle 80,00 euro a dieci milioni d’italiani come di un’inutile regalia, dimenticando che gli effetti sui consumi (che non saranno mostruosi, cosa che si sapeva) vanno misurati almeno nell’arco di un anno.
Passo dopo passo.

L’abolizione delle provincie, che ora sarà perfezionato in sede di riforma costituzionale, la prima lettura della legge elettorale e la riforma del senato (approvato dal senato), il tutto con un parlamento decisamente ostile. L’approvazione di numerosi decreti attuativi che finalmente rendono non vana l’attività dei predecessori dell’attuale premier. Insomma, sono sei mesi, io ricordo quando passavano gli anni e i temi erano il falso in bilancio, per favorire Berlusconi, l’immunità del premier, per favorire Berlusconi, le intercettazioni giudiziarie, per favorire Berlusconi, tutte leggi ed altre ancora che peraltro non venivano mai licenziate e se licenziate erano sempre prive dei decreti attuativi.

Anche mille giorni non sono molti per gli attuali tempi italiani, tuttavia Renzi ha lanciato la sfida ed è evidente che dovesse fallire, il guaio sarebbe grosso e non per le sue ambizioni ma per un paese che davvero ha poco tempo per salvarsi ed una classe politica che non vuole rendersene conto.

Nicola Guarino

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Nicola Guarino
Nicola Guarino, nato ad Avellino nel 1958, ma sin dall’infanzia ha vissuto a Napoli. Giornalista, già collaboratore de L'Unità e della rivista Nord/Sud, avvocato, direttore di festival cinematografici ed esperto di linguaggio cinematografico. Oggi insegna alla Sorbona presso la facoltà di lingua e letteratura, fa parte del dipartimento di filologia romanza presso l'Università di Parigi 12 a Créteil. Attualmente vive a Parigi. E’ socio fondatore di Altritaliani.

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