Il legittimato Renzi in Italia e in Europa.

Dentro al voto delle europee ci sono molte cose e anche contraddittorie fra loro. C’è in primo luogo un 55% d’italiani che non sembrano più interessati alla politica e al futuro dell’Europa e che ne contestano l’insieme dei partiti, Grillo compreso. C’è poi una maggioranza schiacciante in Italia, caso unico tra i paesi votanti, che premia il governo uscente e che con fierezza difende il “sogno europeo”, reclamando, a giusta ragione, a questo punto, un ruolo guida per un continente, stretto tra il rigorismo, che sembra ormai destinato ad allentarsi, della Merkel e l’antieuropeismo che sarà guidato dalla vincitrice, in Francia Le Pen.

In questo quadro è evidente che l’ago della bilancia e le possibilità di rilancio europeo cadranno sul nostro premier. Ma il voto ci dice anche che, tra gli italiani, sta ritornando la fiducia e questo lo si ricava anche dai mercati, con la borsa di Milano che vola e lo spread che ritorna ad un rassicurante 150 punti dopo le impennate avutesi nel corso della campagna elettorale, quando sondaggi e cattive previsioni giornalistiche davano la sensazione di un probabile successo grillino.

Alla fine si è trattato di un derby tra speranza e rabbia. Ed ancora una volta gli italiani, sorprendendo molti osservatori pessimisti, hanno dimostrato la loro voglia di rialzare la testa.

Il voto premia il PD, che raggiunge per la sinistra un dato storico con oltre il 40% di voti. Una percentuale astronomica se si pensa che il suo diretto antenato, il PCI, si era fermato al 34,4% (elezioni del 1976 – segreteria Berlinguer). La “liquidità” della politica post-ideologica dimostra, che in appena un anno i flussi elettorali sono stati molteplici e che l’elettorato italiano sta dimostrandosi tra i più infedeli al mondo. Il vero zoccolo duro è oggi espresso da quel 55% degli aventi diritto che non ha votato per nessuno, nemmeno per la forza antisistema di Grillo che anzi esce ridimensionato da questo voto con una perdita secca di tre milioni di suoi elettori.

Le ultime elezioni del 2013 e queste che commentiamo sono le prime votazioni veramente non ideologiche, e probabilmente questa sarà una peculiarità di questa terza repubblica se è vero, come è vero, che con questi dati numerici si puo’ affermare, a ragion avveduta, che l’era berlusconiana è davvero finita.

Il vincitore PD deve trarre alcuni segnali da questo suo exploit. Il primo è che i voti ricevuti sono trasversali e per una certa quota provengono anche da un’area del disincanto che persa ogni motivazione ideologica originaria, sta ritrovando motivazione nel piacere di veder realizzare cose concrete, che intuisce la possibilità concreta di risposte alle sue domande, insomma che ha trovato nell’alveo della politica, finalmente qualcuno disposto ad ascoltare. E’ per questo che chi nel PD ha lavorato remando contro al nuovo corso del partito, proponendo ostacoli alle riforme, spesso pretestuose e volte solo a danneggiare l’immagine del leader, deve capire che in ogni caso questo voto legittima sia Renzi, che la volontà del suo governo di fare, e fare bene e presto.

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La straordinaria vittoria del PD liquida definitivamente qualunque questione sul tema della legittimazione popolare di questo governo e fa comprendere che politicamente è stata giusta la decisione di sostituire alla guida dell’esecutivo, Letta con Renzi. I fatti gli danno ragione.

Questa legittimazione impone che da oggi il governo riprenda il suo piano a vele spiegate, sapendo che gli alleati di programma (NCD, Scelta Civica), usciti dal voto con le ossa rotte, e il contraente per le riforme istituzionali, le famose regole, (Forza Italia) non hanno nessuna voglia di andarsi a far male con delle elezioni anticipate. Gli stessi grillini frastornati e delusi sono oggi, obbiettivamente, meno motivati a nuovi colpi di coda per giungere all’ennesimo confronto elettorale.

Pertanto, chi punta a modifiche pretestuose, come Chiti, per il Senato o porre temi di rivendicazione ideologiche come sulle quote rosa alla Camera (Finocchiaro ed altri della passata nomenclatura bersaniana) deve mettersi l’anima in pace a meno che non voglia far prevalere, ancora una volta, quell’istinto di morte di certa sinistra alla Tafazzi.

Dopo le primarie, obbiettivamente questo voto, impone d’insistere nel processo di modernizzazione del partito e della sinistra. Se si vogliono recuperare una parte di quel 55% di cittadini che non credono più alla politica, occorre continuare nella rottamazione. In sede locale, nei territori, estendendo questa opera di riforma del partito anche ai sindacati, scindendo le due figure, un tempo unite da una comune motivazione ideologica, ed invocando per quel fondamentale soggetto di relazione con il lavoro, più democrazia, trasparenza e regole certe. Come invocato da Landini della Fiom, nel recente congresso della CGIL.

Renzi deve far fruttare questo successo senza sedersi sugli allori e nella consapevolezza che lo choc per i suoi avversari interni non durerà che qualche settimana, dopodiché, gli stessi saranno di nuovo pronti a gufare e a porre ostacoli.
Temo che il riavvicinamento elettorale tra Bersani, Cuperlo ed altri a Renzi e alla sua direzione sia stato generato essenzialmente, dall’erronea convinzione, suscitata dai media e dalla loro politica spettacolo, che vi fosse un testa a testa con Grillo, e che un eventuale suo successo del comico, suonasse come un “de profundis” del vecchio sistema politico di cui la vecchia classe dirigente del PD n’è stata protagonista ed interprete.

Altri segnali interessanti provengono appunto dall’informazione che ancora non sembra essersi messo in sintonia, specie nel doveroso servizio pubblico, con una società in cambiamento. Si continua a dare ossigeno per motivi di puro audience a protagonisti come Grillo e Berlusconi che sono i rappresentanti di un’antipolitica urlata e vuota di contenuti, di paure e rabbie costruite ad arte, e che incrementano al più, uno voyeuristica immagine della politica. Viceversa gli italiani sembrano stanchi di unti del signore, di gente che a giorni alterni si paragona ad Hitler e Berlinguer. Di buffoni, teatrini e circhi mediatici gli italiani sono sfiniti. La domanda è di rappresentare il paese per come è, non per come è utile agli ascolti e quindi agli incrementi pubblicitari.

Credo sia giunto il tempo che si rifletta anche sul contributo culturale della televisione in Italia.

Se si va in direzione di un paese normale anche questo deve essere uno spunto di riflessione per costruire un’informazione più veritiera ed incisiva.
Anche questo tramonto del protagonismo mediatico, nel “vangelo” della televisione, è un importante segno della fine della seconda repubblica che si concretizza nell’obbiettivo pensionamento di Berlusconi e nella necessità di un confronto, nell’arcipelago di forze di destra, per cercare di trovare un minimo comune denominatore, che non puo’ più vedere l’ex cavaliere come protagonista della costruzione di una destra moderna ed europea.

Il vero punto nodale resta la vicenda del 55% di italiani che non votano più. E’ vero che sociologicamente la caduta delle ideologie ha portato anche ad una riduzione del militantismo politico, tuttavia la vera scommessa deve essere quella di creare un senso dell’appartenenza sociale, un idea non solo del diritto ma anche del dovere della cittadinanza. L’appartenenza alla società italiana e alla casa europea tuttavia, ha bisogno di segnali forti proprio dalla politica. S’impone quindi un esempio Italia, che si manifesti nella intransigenza sulle regole dello stare insieme. In una lotta dura alla corruzione, agli egoismi di casta, all’evasione fiscale ed in Europa, un politica che al rigore etico ed economico assommi un’idea della crescita economica e del sentimento culturale delle comuni radici europee.

Occorre dare risposte chiare ed univoche sulla precarietà della vita attuale, sul tema dell’immigrazione, sul lavoro che è poco e non garantito, ed in Italia sul rilancio di un piano industriale di assieme, sulla ricerca e sulla scuola (elementi essenziali per vincere le agguerrite concorrenze della globalizzazione), su un sistema paese e quindi sulla pubblica amministrazione che non puo’ ridursi ad una sorta di paese di bengodi, ma che deve esprimere efficienza e capacità. Come per la giustizia che con le carenze infrastrutturali, particolarmente nel sud, sono tra i motivi principali degli ancora scarsi investimenti nel nostro paese.

Insomma, deve ripartire la politica del fare ed è quello che chiedono i cittadini con il loro voto e la loro astensione. Non è un caso che chi non l’ha capito, come ad esempio oggi la lista Tsipras e ieri SEL, puo’ essere mosso dalle più nobili motivazioni, restando tuttavia, inchiodato a percentuali tra il 3 e il 4% del consenso, dimostrando la scarsa sintonia con la società. Francamente non credo alle pretese di educare il popolo, il popolo si educa da sé specie se vive in una società che funziona meglio; con meno corruzione, con una giustizia efficace, con ospedali validi, con trasporti puntuali, con scuole che funzionano. Il resto non raccoglie l’interesse della maggioranza e si sa in democrazia quello che conta è la maggioranza.

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Anche la pretesa “grillina” della purezza politica, per cui accordi con nessuno, nessuna disponibilità ad un cambiamento in concorso con altre forze politiche, costituisce un limite culturale gravissimo per una forza che ha sprecato la fiducia concessagli lo scorso anno, limitandosi a dimostrazioni folcloristiche quanto inefficaci.

Nella politica, come in cultura, occorre opacizzarsi. La cultura vive d’incontri, di scontri, di innesti di diversi stili di vita, di comportamenti non sempre omogenei. Cosi è anche la politica che è arte del mescolarsi, del compromettersi, finanche del rinunciare a delle convinzioni che possono apparire inossidabili, questo perché sia la cultura che la politica che n’è un tratto agiscono nella complessità di una società, in cui è inevitabile prima o poi di sporcarsi le mani e a volte finanche la faccia.

D’altra parte quegli antropologi che invocavano la purezza della cultura tedesca e quei sociologi che proponevano analoghe terapie anti-corruttive, sono stati poi tra gli artefici di quella cultura occidentale, e tedesca, in primis, del predominio culturale che ha generato “mostri” come Hitler.

Errare humanum est (ma) perseverare est diabolicum, diceva un adagio latino, se i grillini hanno capito la canzone dovrebbero partecipare al processo di riforme istituzionali ed economche che da domani riprende la corsa, ma la sensazione è che cio’ non avverrà, spingendo nel tempo questa forza aggregatrice e del primato della presunta purezza, che deve domandarsi della contraddizione fra democrazia diretta e subire due padroni (Casaleggio e Grillo), in una nicchia di puri e crudi, sostanzialmente inutili alla società. L’ennesima testimonianza senza costrutto.

Nicola Guarino

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Nicola Guarino
Nicola Guarino, nato ad Avellino nel 1958, ma sin dall’infanzia ha vissuto a Napoli. Giornalista, già collaboratore de L'Unità e della rivista Nord/Sud, avvocato, direttore di festival cinematografici ed esperto di linguaggio cinematografico. Oggi insegna alla Sorbona presso la facoltà di lingua e letteratura, fa parte del dipartimento di filologia romanza presso l'Università di Parigi 12 a Créteil. Attualmente vive a Parigi. E’ socio fondatore di Altritaliani.

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