Europa e sistema Italia. La lotta tra rinnovatori e conservatori.

Prima di parlare di una lotta tra destra e sinistra oggi bisogna parlare di una lotta tra rinnovatori e conservatori. L’Europa deve cambiare, ma anche l’Italia deve cambiare verso, creare un senso del bene comune in contrasto con le logiche affaristiche e corporative che hanno reso la nostra repubblica non fondata sul lavoro ma sui privilegi di pochi. Solo dopo si potrà creare una dialettica democratica tra due modi di concepire il mondo.

Prima di tutto verrebbe l’Europa.

Non fosse altro che per motivi di attualità. Ancora pochi giorni e si voterà. Purtroppo, ancora una volta, il provincialismo della politica italiana, toglie spazio a queste fondamentali elezioni, dove si decide molto sul futuro di 500.000.000 di cittadini. La politica “liquida” ci fa assistere a nuove performance del teatrino della politica. Partiamo dalla Lega, alleata in Francia con l’estremismo fascisteggiante della Le Pen, in un furore anti euro ed Europa.

Che fine ha fatto il sogno leghista di portare Milano e la Padania in Europa? Politica liquida appunto capace di cambiare continuamente d’idee e proposte dal giorno alla notte a seconda delle convenienze del momento. Grillo che grida alla Luna, minacciando le istituzioni europee ben sapendo che non potrà fare nulla, non ha proposte ma solo proteste e, si sa, le proteste fanno bene per sentirsi tranquilli con la coscienza, ma sono inutili nel concreto anche perché, avesse pure un plebiscito di voti, la sua forza parlamentare sarebbe assolutamente irrisoria ed incapace d’incidere a Bruxelles (non esiste un gruppo europeo dei grillini). A proposito, ma qualcuno conosce anche un solo rappresentante di Grillo candidato a quel parlamento?

La realtà è che il comico genovese fa una campagna elettorale che pensa solo all’Italia. Reclama le dimissioni dell’attuale governo in caso di sua vittoria. Non vedo il nesso. Ma finanche Renzi chiede, a torto, un plebiscito che lo legittimi politicamente nel suo attuale delicato ruolo di premier. Il disastro, è vero, è quello per cui, alla fine, molti andranno a votare senza pensare al futuro dell’Europa, ma unicamente all’eterna bagarre italiana.

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Un errore grave, perché cambiare l’Europa si puo’ e, viceversa, una vittoria degli antieuropeisti che oggi sfoderano un nazionalismo di maniera, che durerà fino alla chiusura dei seggi (politica liquida), non farebbe finire l’Europa ma sarebbe solo un intralcio al cambiamento e alle riforme di cui anche questa istituzione ha bisogno.

Occorrerebbe un po’ di buon senso ed essere meno creduloni, non farsi lasciare prendere dall’isteria degli urlatori alla Luna, magari pensando un po’ più razionalmente al nostro futuro e a quello dei nostri figli. La politica italiana, sembra muoversi come certe speculazioni finanziarie che puntano ad un risultato immediato quanto effimero, senza rendersi conto che l’Europa, piaccia o no ai vari antieuropeisti di casa o esteri, va avanti comunque, come dimostra anche la novità di questa votazione dove, per la prima volta, saranno i popoli a scegliere il premier e quindi sostanzialmente la coalizione che guiderà la Commissione, dando cosi un ruolo di maggiore peso e valore allo stesso parlamento europeo.

La corruzione nel DNA del Paese.

Le ultime vicende dell’expo hanno per molti versi dell’incredibile. A guardare la nostra giovane storia patria verrebbe da domandarsi se la corruzione non sia solo uno degli indicatori di uno Stato che, con le sue diseguaglianze record, con i suoi fenomeni malavitosi specifici e originali, ancora oggi fatica a creare un senso pieno della cittadinanza; a costruire quei principi di convivenza civile che in altre realtà europee, come nel nord del continente, sono semplicemente dati per pacifici.

Venti anni di berlusconismo hanno certamente acuito dei mali italiani che sono antichi almeno quanto la stessa unità del paese, che si era appena compiuta e già si discuteva del grande piano delle linee ferrate che avrebbero dovuto collegare il nord e il sud del paese per favorire un comune sviluppo economico dello stivale. Ebbene il liberale Mazzini scriveva a Francesco Crispi per raccomandare il Sig. Lemmi, sostenitore e patriota, affinché gli fossero assegnati i relativi appalti. Nel mentre, Garibaldi raccomandava allo stesso Crispi il banchiere toscano Adami che aveva finanziato l’impresa dei Mille, per il medesimo appalto. E cosi Crispi, rinunciando ad altre e più valide offerte, di imprese anche estere, di sicuro valore e competenze, assegnava alle due costituite società, di Lemmi e Adami, l’appalto per la realizzazione delle linee ferroviarie.

Quest’uso improprio della politica, come arma di pressione e corruzione, da allora è stata una costante della nostra politica, che ha una trasversalità degna di nota che riguarda le lobby e le caste, i blocchi sociali e gli interessi particolari, in un inestricabile reticolo in cui pubblico e privato si confondono sempre più, in cui l’interesse di categoria, o l’affarismo puro finiscono per occultare e confondere ogni senso dello Stato e dell’interesse generale della collettività.

Certamente i venti anni del berlusconismo, o se preferite della seconda repubblica, con le leggi addirittura ad personam, con l’impedimento di ogni tentativo di liberalizzazione (è bene ricordare i tentativi vani fatti anche solo sulla categoria dei tassisti) hanno contribuito ad acuire questo perverso meccanismo, finendo per frustrare ogni tentativo di cambiamento di rotta, di rinnovamento nella visione politica o semplicemente di riportare la democrazia italiana nell’ambito di canoni europei accettabili.

La cosa peggiore è che questi gruppi di affari e di potere non rinunciano ad ogni ipocrisia politica pur di mantenere i propri privilegi e di garantirsi sempre nuovi spazi e guadagni (non solo economici).

Non si è trattato solo d’ingordigia, che ha mosso questi gruppi in un intreccio spericolato con la politica, bloccando ed infettando il “cambiamento” con ogni forma di “virus”, come si blocca un sistema informatico, nel tentativo di sottomettere con ogni pratica il consenso. Il tutto con la complicità di venti anni di autentica miopia politica.
Quella stessa miopia che ancora oggi non permette al paese di capire il valore in sé delle elezioni europee, per cui in Italia è in corso una lotta, sotto la bandiera dell’Unione, che in realtà è tutta interna, tradendo e sminuendo, ancora una volta, la portata straordinaria di queste votazioni del prossimo 25 maggio.

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La realtà è che queste pratiche malavitose sono l’avanguardia di un sistema bloccato, dove le diverse corporazioni e ogni blocco sociale lavora solo per sé senza alcuna visione del contesto sociale. Non c’è un solo « fronte » della società italiana che non si sia ridotto ad un campo di battaglia tra riformatori e conservatori. Nella percezione comune, riformare e rivoluzionare sono dei valori che visto l’evidente stato di degrado della società italiana, sotto tutti i suoi profili, non potrebbe più permettersi di conservare nulla. Non c’è bisogno di una ideologia per affermare questo, basterebbero due conti fatti con il buon senso.

La politica italiana è diventata una palude popolata da gufi, del tutto avulsa dalla realtà (la necessità di riforme costituzionali e strutturali per modernizzare il paese, una disoccupazione giovanile al 42% e quella generale al 13%, un degrado ambientale che ad ogni pioggia porta via pezzi del nostro territorio, il patrimonio artistico e culturale abbandonato a se stesso, come si gettassero forzieri di tesori nei cassonetti della spazzatura, un sud con un’economia piegata alla corruzione e spesso alla malavita mafiosa, un virus che avanza anche nel nord. Una questione giustizia che ci vede all’ultimo posto in Europo per la gestione delle carceri e con processi civili e penali spesso interminabili. Mi fermo qui ma ogni lettore sa e potrebbe aggiungere, partendo dal mancato rilancio industriale e via dicendo).

Se non è una paluda, la politica italiana è allora un labirinto in cui ormai le forze del rinnovamento (il PD di Renzi, la NCD, alcune forze minoritarie di destra liberale come quelle ispirate a Monti) combattono casa per casa per snidare e rottamare non più solo la politica ma un intero sistema fondatosi su egoistici privilegi, su lobby affaristiche che sul piano ideologico (ammesso che esista sul tema un piano ideologico) sono assolutamente trasversali.

Ed in effetti, siamo ad uno scontro post-ideologico. C’è chi vuole trasformare, velocizzare, rinnovare il paese e chi cerca d’impedire questo processo riformatore, per ignavia, perché incapace di leggere la realtà attuale, ancorandosi a vecchie sintesi politiche ormai superate, o perché, semplicemente ed in perfetta malafede, è l’usufruitore finale di tale sistema e non ha nessun senso civico della collettività e del bene comune e nessuna voglia di sacrificare i propri privilegi,

Il passaggio italiano è, in queste ore, evidentemente drammatico. Le divisioni e la battaglia coinvolgono interi brani del sistema; soggetti sociali che una volta erano essenziali al futuro della nostra democrazia, baluardi e garanzia, della stessa integrità del paese, sono oggi centri di potere, spesso lontani dagli stessi bisogni della cittadinanza, capaci solo di perpetrare se stessi.

Lo scontro è a tutti i livelli: dal sindacato, al mondo delle imprese, dalla magistratura alla pubblica amministrazione, nel sistema dei partiti, dove le forze conservatrici della seconda repubblica, individuano e a ragione, dal loro punto di vista, in Matteo Renzi, il pericolo numero uno. Nella sua breve esperienza governativa il leader del PD ha capito che le resistenze anche interne al suo partito, sono frutto di un tentativo di mantenere lo status quo. Ecco perché andrebbe ripreso, esteso e coniugato al tutto il paese il verbo “rottamare”. Ecco perché l’attuale tentativo di liberarsi della seconda repubblica è al contempo un processo riformatore ma anche rivoluzionario.

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Andiamo a vedere più da vicino il conflitto che è in corso.

Il recente congresso del maggiore sindacato italiano, la CGIL, ha evidenziato il malessere presente in alcune sue componenti, in particolare la maggiore è la FIOM, guidata da Maurizio Landini, fiero oppositore della gestione contrattuale, in materia di lavoro della FIAT, che rimase isolato rispetto alla triplice CGIL -UIL e CISL, che di fatto permisero l’esclusione del primo sindacato dei metalmeccanici, finanche dalla rappresentanza sindacale. Il dissenso oggi travalica quel tema iniziale e Landini, affiancandosi a Renzi, è andato a far emergere le contraddizioni in cui vive oggi il mondo sindacale. 6.300.000 iscritti e soltanto 70.000 giovani precari, è, alla luce dell’attuale realtà socio-economica del paese, un dato che si commenta da se.

La CGIL che oggi conferma la Camusso è un sindacato non più rappresentativo del mondo (precario) del lavoro di oggi. Non a caso la stragrande maggioranza degli iscritti è composta da pensionati o da lavoratori e funzionari del pubblico impiego, ovvero proprio i settori socialmente più protetti. Ovvero, una gran parte degli iscritti non appartiene più alla realtà del lavoro di oggi (i pensionati) e gli altri sono ipergarantiti da un sistema che si, non rinnova gli stipendi da tempo e il sindacato poco ha fatto in tal senso, ma che non è ad oggi minimamente toccato dal tema dei licenziamenti o della semplice mobilità.

Nel settore privato la presenza sindacale registra un declino sostanziale ed inesorabile, l’incapacità di imporre un piano industriale, di revisionare le proprie strategie, che negli ultimi anni si sono ridotte ad un inutile ed effimero difensivismo dell’esistente, senza nemmeno intervenire, sostanzialmente, nei processi degenerativi di precarizzazione del lavoro, il che dimostra il perché sono cosi pochi i giovani che confidano nel sindacato.

A tutto questo va aggiunto che in un sindacato che non è più autorevole come cinquanta anni fa, che non è più rappresentativo pienamente del mondo del lavoro, avrebbe bisogno di nuove forme organizzative e di una diversa democrazia interna. Intanto, si rende concreto il bisogno che il sindacato divenga oggi un ‘associazione riconosciuta e regolata per legge, con una sua trasparenza interna, sia sotto il profilo economico, con bilanci pubblici, sia sotto il profilo politico, con primarie e un dibattito più aperto e sincero, cose che invoca anche il PD attraverso Faraone che è il responsabile welfare di quel partito.

Naturalmente il grido di dolore di Landini, che invocava regole nuove e trasparenti, maggiore democrazia interna e un rinnovamento nelle strategie, guardando all’attualità economica e del lavoro, non è stato raccolto; ed oggi la CGIL, che un tempo era uno dei serbatoi di voto del PCI, è in netto contrasto con il PD rinnovato di Renzi.
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Non è un caso che gli studi di sociologia politica e di flusso elettorale dimostrano che il PD è terzo tra gli elettori della classe operaia ed appena quarto tra i disoccupati. E’ evidente che il sindacato di oggi tradisce la sua ragion d’essere diventando, da forza a tutela e difesa degli sfruttati e dei precari, ad una forza essenzialmente di pensionati e garantiti (altro che proletari di tutto il mondo unitevi!) ed è per questo che è visto malissimo dalla gran parte del mondo del lavoro odierno che in buona misura non ha sindacati a proteggerli. Analogo discorso vale per la UIL e la CISL dove i segretari sono inamovibili da 12 e 18 anni. Insomma chi chiede il rinnovamento è visto dall’attuale nomenklatura sindacale come i dissidenti in URSS che erano additati quali nemici del popolo, mentre in realtà i veri nemici del popolo erano quei dirigenti. La stessa dirigenza dei sindacati, meriterebbe forse giovani più vicini alla realtà attuale del paese. Insomma, ci sarebbe da rottamare anche in questo settore.

Altro fronte di battaglia sta diventando sempre più la giustizia e la magistratura.
Le recenti vicende dell’expo di Milano con l’incredibile ritorno di vecchi corruttori come Greganti (il compagno G.) o Frigerio (ex DC), l’arresto di Scajola, la condanna definitiva del numero due di Forza Italia Dell’Utri fuggito in Libano, come all’epoca fece Craxi in Tunisia, ripropongono vari temi. I magistrati, in alcuni casi in clamoroso conflitto fra loro (vedasi la lotta di potere nella procura di Milano tra Brutti Liberati e Robledo), rimettono il tema giustizia sul piatto alla vigilia del voto europeo mentre infuria la battaglia tra rinnovatori e conservatori con questi ultimi che, ad ogni costo, anche quello di far precipitare il paese, cercano d’impantanare il governo Renzi.

Il caso Expo, al netto dell’obbligatorietà dell’azione penale, è un indubbio « aiutino » al distruttore Grillo, che pur privo di qualsivoglia progetto politico ha il solo pericoloso scopo di destabilizzare il paese (oggi Grillo assume di essere il braccio politico se non la guida di un presunto partito dei magistrati e curiosamente alle sue affermazioni nessuno dell’ANM ha ritenuto d’insorgere). Infatti, queste ultime vicende mettono in crisi il già precario equilibrio di Forza Italia, il che non sarebbe un male, in chiave di liberare il sistema da partiti personali e populisti, ovvero dall’antipolitica, se i possibili voti in libera uscita premiassero forze a vocazione “politica” come la NCD, Scelta Civica oppure Fare per fermare il declino, forze che ad oggi appaiono di rinnovamento, ma il furore protestatario e giustizialista, in assenza dell’IDV di Di Pietro è oggi rappresentato dai giacobini di Grillo e dal loro circo degli orrori e degli errori. Per cui l’andazzo potrebbe favorirne le mire dittatoriali (certamente quella dei cinque stelle, per metodi e proposte è oggi la destra potenzialmente più pericolosa ed eversiva tra quelle presenti nel panorama italiano).

Tuttavia, al di là dell’incidenza sulle innocenti elezioni europee, le vicende specie dell’Expo di Milano sono la cartina di tornasole del mancato o cattivo operato della politica negli ultimi venti anni, la riprova che bisogna, a tutti i livelli e in tutte le aree, sconfiggere le forze della conservazione, che sono le vere responsabili di questi fenomeni più che ricorrenti.
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Ritrovare oggi le dinamiche della corruzione che furono della prima repubblica è emblematico, nella migliore delle ipotesi, della incapacità politica delle dirigenze che furono dei partiti dell’ultimo ventennio, nella peggiore delle ipotesi è la prova che in fondo la seconda repubblica ha solo rinverdito e « migliorate » le cattive pratiche di privilegi fondate sulla corruzione. Vedere che la vecchia nomenclatura del PCI e poi del PDS e poi dei « Progressisti », dei DS e Margherita fino ad arrivare alla fine della diaspora al PD, non siano stati in grado di arrestare politicamente personaggi come Greganti o Frigerio, che ci ritroviamo ancora oggi a fare da broker per società e cooperative (rosse) ha dell’incredibile.

Il sistema non solo non ha espulso le mele marce e le loro pratiche, ma ne ha accresciuto e raffinato le tecniche passando dalle classiche mazzette per finanziare i partiti a nuove forme di corruzione, finanche finalizzate alla carriera politica ed imprenditoriale ad uso proprio (ovvero del politico, ma anche dell’imprenditore o delle cooperative avvelenando il già depresso libero mercato italiano. Ma sul punto bisogna essere chiari. Chi ha mantenuto questo sistema sono quei politici in odore di rottamazione. Credo che non si possa dare colpa ai rinnovatori di cio’.

E’ evidente, ad esempio, che Greganti ha avuto agibilità grazie ad un sistema cooperativo corrotto e a quei politici che componevano la vecchia nomenclatura che oggi impegna Renzi e i suoi in una guerriglia politica quotidiana per impedire il cambiamento. Le imprese corrotte e corruttrici sono, in sostanza, sempre le solite, un gruppo di potere che toglie spazio a qualsiasi possibilità di concorrenza, contribuendo al danno all’economia e all’immagine del paese.

Il rinnovamento deve passare quindi anche nell’associazione industriali, mettendo all’angolo i privilegi di alcune imprese a vantaggio di una liberazione del mercato che oggi è strangolato dal connubio affaristico politico. Occorre mettere in crisi un sistema che da Formigoni a Penati (il numero due di Bersani) ha finito per annientare ogni possibilità di una corretta concorrenza, per non parlare di quanto avviene nel sud dove la storica presenza dalla malavita mafiosa, ora in forze anche nel nord ha finito per piegare qualsiasi possibilità di sviluppo infrastrutturale e d’impresa.

Questo è un paese vecchio, bisognerebbe dare più spazio anche agli imprenditori giovani, a quelli che, ad un paese diverso, ci credono , perché bisogna sconfiggere una vecchia e indimostrata convinzione di certa sinistra, che poi tace sui Greganti e i Penati, che il “padrone” è sempre cattivo e, riconoscere, alle imprese di essere state tra le prime vittime del degenerare del sistema Italia. Ma allo stesso tempo non puo’ il mondo degli industriali non rinnovarsi nelle sue rappresentanze proprio dopo il pessimo esempio offerto in questi decenni, non riuscendo ad espellere dal proprio seno tali tumori.
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Quelli che oggi gridano all’uomo solo al comando, alla democrazia in pericolo, sono gli stessi (ad esempio Berlusconi, Bersani e molti suoi predecessori) che dal governo o dall’opposizione non hanno impedito tutto questo. Greganti ha continuato ad avere la tessera del partito e a vantare la sua vicinanza ai potenti del momento. Puo’ quella politica, puo’ quella sinistra, ad esempio, dare lezioni di etica a questa sinistra rappresentata dai giovani di Renzi? Ed in generale quella politica miope e sorda con quale credibilità puo’ impartire lezioni di buona amministrazione all’attuale governo?

La realtà è che, come ricordava il magistrato Cantone, chiamato da Renzi a vigilare sull’Expo, appena pochi anni dopo « mani pulite » si è cercato di fare leggi che favorissero la cattiva impresa e la corruzione. L’abolizione del falso in bilancio, il superamento della trasparenza sulle gare d’impresa, la riduzione dei tempi di prescrizione dei reati finanziari, in un contesto di scudi fiscali e di condoni che hanno favorito malepratiche con i risultati che oggi si leggono nelle cronache dei giornali.
E’ chiaro che questi casi eclatanti (ma molti altri ve ne sono) si sono potuti verificare perché dopo la caduta della prima repubblica il sistema politico non si è rinnovato culturalmente ed è rimasto permeabile ai virus che quella decadenza aveva trasmesso.

Ecco che questa classe politica, seguita dai nostalgici della vecchia politica che si dividevano e si dividono ancora oggi su canoni anacronistici come fascista/comunista, borghese/proletario, oppongono una furiosa resistenza al tentativo di rinnovare. Un rinnovare che mette sotto non solo i partiti e i sindacati ma le dirigenze della Confindustria, che sferza la Pubblica amministrazione che è diventato un potere nel potere, che impedisce ogni taglio utile, che si è opposta fino all’ultimo all’abolizione di cose inutili come le provincie, che non vuole tetti sugli stipendi, che non vuole cedere a privilegi che non vuole permettere che la meritocrazia metta becco nei suoi sprechi e nelle sue cattive gestioni. Che ad ogni annuncio (come quello sull’abolizione di figure obsolete come il segretario comunale) insorge, che ad ogni ente pubblico che si vuole chiudere (vedasi CNEL) contesta domandandosi, tra lo sconcerto generale, « Perché proprio noi? »

Personalmente credo che il primo taglio da operare sia nel sud. Mettendo fuori chi è stato assunto per clientelismo o per mafia, poi vanno tagliate le partecipate un numero abnorme e non utile. Poi vanno mandati a casa quelli che prendono lo stipendio senza aver nessuna incidenza produttiva (i ben noti fannulloni). Personalmente, non credo al buonismo, credo al merito e all’efficienza. Cose in fondo anche di sinistra come Stakhanov dimostrava nel nome dell’interesse del suo paese. Solo mettendo in luce il valore della responsabilità si puo’ costruire nel nostro paese un senso civico di ‘appartenenza, una cultura del dovere per sé e per la collettività.

Ad ogni passo di Renzi, tuttavia la palude invischia e frena, come per la proposta di inviare le dichiarazioni di reddito già compilate e solo da sottoscrivere, qualcosa che favorirebbe un rapporto di fiducia tra cittadini e fisco e che non impedirebbe d’intervenire in caso di errori per correggere. Un bel risparmio di tempo e di soldi, ma naturalmente i sindacati con i loro patronati e i fiscalisti già insorgono, sorretti da compiacenti esponenti politici.

Si vuole più tracciabilità sulle spese degli italiani, insorgono i cittadini e varie categorie, invocando la privacy e le vecchiette che sarebbero costrette ad usare carte di credito (che scandalo! Eppure avviene in tutto il mondo tranne che da noi).

Si raddoppiano le tasse alle banche, le stesse insorgono e minacciano ritorsioni sulle loro clientele. Si chiede alla RAI, dopo anni di agevolazioni sul mercato, di pagare 152 milioni e di contribuire allo sforzo in atto, la RAI insorge e da qualche tempo strizza l’occhio ai grillini (Grillo in TV, programmi come Agora con dibattiti a senso unico con moderatori che impediscono con astuzia le repliche ai filogovernativi).

Si puo’ rinnovare in queste condizioni? E’ la scommessa del governo, di Renzi e di quei partiti che malgrado tutto combattono contro la palude, i rosiconi e chi cerca di capitalizzare il malcontento come Grillo che tuttavia al di là di proposte irrealizzabili e demagogiche (altro che politica degli annunci), non propone nulla di reale e concreto.
Il punto è che le resistenze non sono solo partitiche, semmai alcuni partiti si fanno « parte » di raccogliere il consenso di chi vuole nei più diversi ambiti della società, mantenere e favorire le proprie rendite di posizione e che lavorano, fingendosi indignati ad ogni caso di corruzione, perché « cambi tutto per non cambiare niente ».
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Ed invece, è ora di cambiare davvero verso. La riprova è nella resistenza che si sta verificando sull’affaire Senato e sulle riforme istituzionali. Dove esponenti della vecchia nomenklatura bersaniana e dalemiana, come Chiti non rinunciano a mettere ostacoli (nell’ipocrito nome della dialettica politica) per impedire di semplificare le istituzioni con il superamento dell’imperfetto bicameralismo « perfetto ».

E’ quanto si è visto anche a proposito della riforma elettorale con le quote rosa usate strumentalmente, dove con l’alibi nobile di favorire un bilanciamento tra uomini e donne nel parlamento, in realtà si cercava solo di impedire una riforma necessaria all’indomani del verdetto della Consulta. La riprova si è avuta quando i gufi del pantano hanno reagito alla candidatura di tutte donne come copolista all’europee nel PD, sostenendo che viceversa non è un problema di maschi e femmine ma di merito.

Coerenza vorrebbe che sul nostro tricolore spuntasse un gattopardo vero emblema della storia della politica patria.

Nicola Guarino

IL FILMATO DI CANTIERE EUROPA DELLA RAI

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Nicola Guarino
Nicola Guarino, nato ad Avellino nel 1958, ma sin dall’infanzia ha vissuto a Napoli. Giornalista, già collaboratore de L'Unità e della rivista Nord/Sud, avvocato, direttore di festival cinematografici ed esperto di linguaggio cinematografico. Oggi insegna alla Sorbona presso la facoltà di lingua e letteratura, fa parte del dipartimento di filologia romanza presso l'Università di Parigi 12 a Créteil. Attualmente vive a Parigi. E’ socio fondatore di Altritaliani.

1 COMMENTAIRE

  1. Europa e sistema Italia. La lotta tra rinnovatori e conservatori.
    Bravo, Nicola, leggo regularmente i tuoi articoli che mi aiutano – come quando ho studiato con te qualche anno fa – di capir la politica italiana. Grazie !

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