La poesia del viareggino Francesco Belluomini: « Nell’arso delle sponde »

A distanza di quasi cinque anni dalla tragica vicenda della Strage di Viareggio (giugno 2009 – aprile 2014), le poesie del libro di Francesco Belluomini “Nell’arso delle sponde” (Bonaccorso, 2010) continuano a parlarci: aldilà della storia accaduta, dell’incidente, del fatto cronicistico, questi testi raccontano quanto c’è di umano in un accadimento del genere, quanto si può immaginare abbiano sentito o sentano gli “eroi minimi” della vicenda, quanto si possa provare a scavare dentro se stessi per rappresentare la loro epopea, in quel “vero poetico” che si fa mezzo d’indagine autentica.

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Francesco Belluomini è nato a Viareggio nel 1941. Vive a Lido di Camaiore. Poeta e operatore culturale, ha fondato nel 1981 il Premio Letterario Camaiore dedicato alla poesia, di cui è presidente. Ha all’attivo, in circa 40 anni di produzione, 23 libri editi tra poesia e narrativa. E’ presente in più di 20 tra le più significative antologie uscite nel secondo novecento e inizio (nuovo)millennio, molte delle quali curate dai maggiori esponenti del mondo letterario contemporaneo. Tra le più recenti in ordine di tempo segnaliamo: “Poesia del Novecento in Toscana”, Biblioteca Maruccelliana, Firenze 2009; “La parola che ricostruisce”, Tracce-Pescara 2010; “Animali Diversi”, Nomos, Varese 2011; “I miei sogni son come conchiglie”, Rizzoli, Milano 2011; “Le strade della Poesia”, Delta 3- Edizioni, Avellino 2012.

Nel suo lungo viaggio letterario Belluomini ha ricevuto significativi riconoscimenti, anche in ambito internazionale. Tra questi ricordiamo nel 2011 la presentazione del suo libro “Occasioni di poesia”, Ed. Tracce, all’interno del quadro delle manifestazioni indette dall’UNESCO e il Premio dell’University International di San Francisco, California.

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Conosco Francesco Belluomini non personalmente ma di fama, per la lettura dei suoi tanti libri. E, chi conosce e pratica la poesia in Italia e nel mondo, non può certo non conoscere ed apprezzare il suo lavoro intorno alla poesia, il suo impegno umano e sociale, la sua presidenza al prestigioso Premio Camaiore, ormai giunto alla XXVI edizione. Molto si è detto e si dice di lui e della sua poesia. Riviste, antologie, siti web ne parlano a vario titolo e, tra le altre cose che si dicono di lui e dei suoi testi, diversi critici lo descrivono come un poeta che prende sovente spunto dalle “occasioni”, per scrivere i suoi versi. Così dice, ad esempio, Vincenzo Guarracino nella recensione al libro “Occasioni di poesia”, edito dalla Casa editrice Tracce nel 2011, ovvero dice di «[…] come l’occasione”, l’”hasard”, sia considerata da Belluomini poco più che un pre-testo, qualcosa che letteralmente viene prima e che sta a monte del testo, senza esaurirsi in se stessa: uno spunto, uno stimolo, da cui poi si sviluppa una riflessione, che può diramarsi, frammentarsi, deterritorializzarsi seguendo gli imprevedibili percorsi dell’interpretazione di ciascuno, a prescindere dalle intenzioni di chi scrive. […]».

Questo frammento, della recensione sul lavoro di Belluomini a cura di Guarracino, offre il giusto imput per introdurre alcune mie riflessioni intorno ad un altro libro dell’autore, dal titolo: Viareggio. 29 giugno 2009. Nell’arso delle sponde”, edito da Bonaccorso nel 2010, e che prende spunto proprio da un’occasione, una drammatica occasione, per rendere conto, non solo dell’evento in se, ma del sentire doloroso del poeta, del suo immergersi nel cuore e nell’animo della vicenda e dei personaggi coinvolti, del suo voler instaurare quasi un contatto mnemonico e sodale con le vittime e il loro essere – per la maggior parte dei casi – ormai altrove.

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Ma veniamo, con ordine, prima di tutto ai fatti. Il 29 giugno 2009 a Viareggio, un terribile incidente provoca la morte di ben 32 persone e il ferimento di moltissime altre. L’episodio passa tristemente alle cronache come “La strage di Viareggio” e si verifica nella locale stazione ferroviaria, quando un treno merci pieno di gas GPL deraglia ed esplode, trasformando in un attimo la zona circostante in un inferno, coinvolgendo i palazzi e le strade, le persone che stanno nelle loro case, la gente di passaggio a piedi, in auto, in moto… Viareggio all’improvviso è coperta da una nube rosso incandescente, è immersa in un forte odore di gas e di morte. L’incidente, si dice, sarebbe stato causato dal cedimento di un asse del carrello del primo carro deragliato del treno. Ecco che, da qui, da quest’occasione Francesco Belluomini, nato e vissuto per molto tempo proprio vicino alla stazione di Viareggio, parte per un’avventura dolorosamente empatica e cosciente, per andare ad incontrare l’essenza del fatto di cronaca, ovvero l’essenza interiore e profonda di quelle che sono state le vittime, di coloro che hanno perso qualcuno nella strage provando, in un dialogo immaginario, a creare una relazione, un flusso di contatto con tutti i protagonisti, adulti e bambini che siano, e creando la raccolta Nell’arso delle sponde che può dirsi, a giusta ragione, documento che va a colmare le lacune della storia.

Riprendo, in questo senso, il concetto espresso dal Manzoni nella “Lettera a Monsieur Chauvet” sull’unità di tempo e di luogo nella tragedia, nella quale egli teorizza una grande distinzione tra il “vero storico” e il “vero poetico”, identificando il primo come quello che ci dà la conoscenza dei fatti, la loro concatenazione e la loro successione cronologica, quale compito proprio dello storico, e il secondo come dimensione invece del poeta che mediante la sua profonda conoscenza del cuore umano, specie degli umili e degli anonimi protagonisti della storia, risale dai fatti alla coscienza che li ha generati ritrovando nell’anima dell’uomo la misura vera della storia stessa. In parole povere il poeta si serve del “vero storico” come mezzo per risalire all’autentica verità della psicologia umana e alla radice della nostra vita. Dice a questo punto Manzoni “più si va addentro a scoprire il vero nel cuore e più si trova la vera poesia”.

Ed è vera poesia, e vera conoscenza del cuore umano che traluce dal lavoro di Belluomini: egli va aldilà della storia accaduta, dell’incidente, del fatto cronicistico per indagare e raccontare quanto c’è di umano in un accadimento del genere, quanto si può immaginare abbiano sentito o sentano gli “eroi minimi” della vicenda, quanto si possa provare a scavare dentro se stessi per rappresentare la loro epopea, in quel “vero poetico” che si fa mezzo d’indagine autentica.

Così, con tutto l’amore possibile e la pietas che si affaccia sodale sui volti, sui corpi, sui resti di quelle anime offese ci affianchiamo all’autore per incontrare, salutare, imprimere nella nostra mente – che ne resti un ricordo vivo, che la memoria non abbandoni la traccia segnata dal poeta – quanti vengono elencati in questo commiato, in questo appello disperato a cui solo pochi potranno rispondere e che si fa voce sola – come sola è di solito la voce del poeta – per seguire le rotte del ricordo senza mischiarsi al clima avvelenato/delle dispute ferree dell’inchiesta.

E non si può fare a meno di pensare in questo cammino d’incontri ad un altro lavoro di incontri e commiato, quello composto da Edgar Lee Masters, con l‘ “Antologia di Spoon River”, lavoro incredibilmente attuale se pensiamo al catalogo delle categorie e dei mestieri umani proposto dall’autore, a partire dalle vicende del microcosmo di quel paesino, diventato catalogo universale grazie anche alle riletture in chiave moderna, tra le quali non possiamo non citare, forse la più particolare, quella del cantautore Fabrizio de Andrè che nel suo album « Non al denaro, non all’amore né al cielo » del 1971, prende ispirazione proprio dall’Antologia di Masters per comporre le sue canzoni. Di lui dice Fernanda Pivano, traduttrice anche dell’opera originaria:

«Fabrizio ha fatto un lavoro straordinario; lui ha praticamente riscritto queste poesie rendendole attuali, perché quelle di Masters erano legate ai problemi del suo tempo, cioè a molti decenni fa. Lui le ha fatte diventare attuali e naturalmente ha cambiato profondamente quello che era il testo originale; ma io sono contenta dei suoi cambiamenti e mi pare che lui abbia molto migliorato le poesie. Sono molto più belle quelle di Fabrizio, ci tengo a sottolinearlo.
 Sia Masters che Fabrizio sono due grandi poeti, tutti e due pacifisti, tutti e due anarchici libertari, tutti e due evocatori di quelli che sono stati i nostri sogni. Poi Fabrizio sarà sempre attuale, è un poeta di una tale levatura che scavalca i secoli.»

Dunque, allo stesso modo di Masters e di De Andrè anche Belluomini mette al centro della sua raccolta poetica le vite di alcuni personaggi del suo paese, di famiglie intere travolte dall’incidente che è lo spunto, come detto, per raccontarle e per renderle archetipi dell’umano. Ecco allora che, per primi, incontriamo in questa dimensione affettiva in cui si sente coinvolto il poeta – e nella quale rimaniamo coinvolti noi tutti – I Piagentini presentati in un’unità di spazio e di luogo dove la dimensione della morte dei due bambini più piccoli, Luca e Lorenzo, e della madre Stefania, si fonde con i sopravvissuti Leonardo (il figlio più grande) e il padre Marco (ferito grave) in un tenero quadro familiare, sulla spiaggia di Viareggio, dove i fratelli si tengono per mano, giocano e sognano un futuro di prospettive ormai tradite dall’evento.

Incontriamo Gli Ayad – tutti morti tranne la figlia Ibi di ventuno anni – un nucleo familiare del Marocco: venuti in Italia e approdati a Viareggio anch’essi hanno visto spezzarsi le loro speranze dopo aver lasciato le proprie radici. Il poeta, tra l’altro, qui lancia anche un monito alla Viareggio spesso ridanciana/con gente che distorce i suoi pensieri/per non pagare dazi surrettizi nella speranza che arrivino risposte certe – e non solo promesse – per l’impegno sociale: la poesia si fa dunque anche messaggio – poeta quale messaggero del suo tempo, diceva d’Annunzio – e richiesta per le istituzioni e per la gente tutta, proponendo alla città di non tenere barra ferma nel suo cuore/quando chiamata a dare sue risposte. E gli incontri, e i commiati, proseguono con I Falorni, Le sorelle Mazzoni, I Campo, I Farnocchia, i Battistini/Iacopini, I Bonuccelli, I Fratelli Boumalhaf, I Chirculescu, Gli Moussafar, per concludersi con una carrellata dedicata a I Singoli.

Per ognuno di questi nuclei familiari, per ognuna di queste persone Belluomini ha un pensiero, un ricordo, un’intenzione che si lega ad una problematica esistenziale o sociale, un aneddoto, un fatto che nasce nel periodo della propria residenza in quella via Ponchielli, scenario del disastro, e che in qualche modo, gli ha fatto incontrare qualcuno di loro come nel caso di Mario Pucci, novantenne, che il poeta ricorda per essere stato gestore de la Velia, un bar tabacchi dove comprava da ragazzino le sue prime sigarette e giocava a carte, ma per il quale non manca di intravedere la vita attraversata da quel ribollente Novecento di cui è stato certo testimone/dell’ondate di rabbia e di paura/di carichi di morta umanità e del quale non può non immaginare anche il suo ruolo di nonno/pieno di leggendarie parodie/e stuoli di nipoti ad ascoltarlo.

Anche agli animali rimasti coinvolti nella strage Belluomini dedica un testo, a dimostrazione del suo impegno nella lotta per la loro protezione: cani, gatti, canarini e perfino un giocoso pappagallo vengono accomunati al destino degli uomini di cui furono compagni fino alla fine sottomessi, dice il poeta: dall’indole d’incauta propensione/a farsi fare male dall’umano, di loro: Restano corpi freddi inanimati/sotto quella comune sepoltura,/paghi delle carezze ricevute/in cambio di totale compagnia/.

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Per concludere questo mio percorso – certo non esaustivo, molto altro si potrebbe dire – sull’ottimo lavoro di Francesco Belluomini, non posso non fare un accenno al linguaggio e allo stile usato dal poeta per comporre la raccolta. In questo libro, Nell’arso delle sponde, domina quale indiscusso ritmo metrico e musicale, l’endecasillabo. L’uso di questa modalità stilistica, parte integrante della nostra tradizione letteraria, abbandonata dalla maggior parte dei poeti del nostro ‘900, diventa per il nostro autore strumento non solo metrico ma anche metodologia narrativa che si rifà all’oralità, e fonte metapoetica di riflessione. La scioltezza del racconto e del respiro che traspare alla lettura – anche solo intima – riporta, infatti, alle narrazioni orali: dai grandi poemi alle fiabe, dalla poesia più alta alle filastrocche, riprese spesso dai grandi poeti come Carducci (ad esempio nel testo Davanti a San Guido), la forma ci introduce nel mondo delle mitiche corti illuminate così come nelle strade e nelle osterie frequentate dai giullari dove, dagli aedi ai cantastorie, dai saltimbanchi ai trovatori la poesia veniva raccontata, vissuta, raccolta dai potenti e dalla gente comune, ergendosi a mezzo espressivo di comunicazione, a denuncia dei fatti, a commento della vita stessa. Ed è proprio il commento, che si fa riflessione e poi visione che propone Belluomini attraverso la forma stilistica dell’endecasillabo usata con maestria. E’ come se dai suoi versi così ritmicamente incatenati, nei quali non mancano di affiorare rime e assonanze tanto da renderli musicalmente orecchiabili, nascesse potente anche il suo messaggio di poeta che vuole farsi a sua volta strumento necessario per confrontarsi col mondo.

Non è vero – e non è stato mai vero – che la poesia non serve, non ha uno scopo, deve solo essere letta e presa per quel che dà all’impronta: qui, come altrove tra i grandi maestri, la poesia non cessa di imporsi come mezzo culturale di mediazione tra l’inconscio del poeta e quello del suo lettore, promuovendo una condivisione di pensieri su ciò che ci circonda e indicando una visione che spesso, come per ogni forma artistica, si fa profezia.

Alcuni testi della raccolta

“Viareggio. 29 giugno 2009. Nell’arso delle sponde”

Via A. Ponchielli

Davanti quelle case tramortite
il marciapiede spaccia cancellati
domani; tra brecciate palizzate
avanza nell’irreale lo stupore
di chi guarda spettrali panorami,
laddove si snodavano vissuti
la culla della pace controllata.
Ed è bastato volgere le spalle
ai lucidi binari di confine,
per farne come lugubre trincea.

*****

I Piagentini

Si può fingere d’essere stupiti
del sapore del mondo; questo lato
obliquo della storia mi recide
di netto l’istintivo teorema
e duole, l’innalzato piedistallo,
narrare l’accanirsi del destini
sui fragili bambini. Che sia scritto
il concesso cammino, quel donare
e togliere la vita per eccesso
di zelo del possibile Nocchiero,
mi dispone desertiche scansioni.

La famiglia, future prospettive
ed i sogni dei piccoli traditi
da quell’evento colmo d’eversione,
nel momento del lieto focolare.
Già lo vedevo il piccolo Leonard
nel tenere per mano sulla spiaggia
il tenero Lorenzo; ma non Luca
che si sentiva grande, vigoroso
armato di secchiello e di paletta.
Quadri d’inizio estate, scene mute
nel desolante teatro cittadino.

*****

Gli Ayad

Non è facile reggere confini
nella Viareggio spesso ridanciana,
con gente che distorce suoi pensieri
per non pagare dazi surrettizi.
E non pochi si lasciano alle spalle
l’impegno di pensare sul domani,
cedendo agli sparuti passionali
il battere sui chiodi ricorrenti.
E credo senza traumi d’impatto
per la famiglia giunta da lontano,
contando nulla quale provenienza
nella città che sforna le promesse
e tiene barra ferma nel suo cuore,
quando chiamata a dare sue risposte.

*****

Mario Pucci, 90 anni

Ha traversato tempi conflittuali
sotto quel ribollente Novecento,
uscendone da vivo testimone
dell’ondate di rabbia e di paura,
di carichi di morta umanità.
Ha vissuto epocali cambiamenti
e fermenti di forti ideologie,
che ressero la barra del comando
per gente che sfuggiva alla miseria
svestendo le vestigia contadine.
Immagino sia stato super nonno
pieno di leggendarie parodie
e stuoli di nipoti ad ascoltarla.

Anche se, signor Pucci, la ricorso
soltanto per la Velia: bar tabacchi
in cui – lavoratore ragazzino –
compravo le mie prime sigarette
e spendevo notevole interesse
per le smazzate briscole e tresette;
giochi che la vedevano presente
con quelli delle dispute accanite
per i bicchieri colmi di buon rosso.
Oggi, che ha lasciato suo vissuto
nel tragico sferrante carosello,
la prego di vegliare su Viareggio
dal luogo della prossima esperienza.

*****

Anonimi Scomparsi

Altre vittime – forse silenziose –
son cadute la notte della strage,
sorprese dall’agguato coi padroni
per foga di dividerne la sorte.
Chi combusto, chi sotto le macerie
delle case cui vissero d’affetto
per chi spendeva loro l’attenzione;
cani e gatti d’anonimo passaggio
per le cronache fitte dei giornali;
uccellini nel chiuso delle gabbie
e perfino giocoso pappagallo
che sopportava vispo quella vita.

Nemmeno loro s’erano destati
all’atto del fatale sortilegio,
nonostante sensori dilatati
che l’allertano come sentinelle
ad ogni ribellione dell’ambiente.
Senza scampo nell’attimo cruciale
se la morte si mostra all’improvviso,
laddove mai nessuno se l’aspetta.
E questo fa la loro dipartita
degna di stare al centro del quadrante
che segnalo scandire del vissuto
e non sarà distratta prolusione
onorare la franca devozione,
rendendo quest’omaggio più sentito
ai caduti d’assente copertina.
Mi spinge sul proscenio la fugace
presenza dell’attori sottomessi
dall’indole d’incauta propensione
a farsi fare male dall’umano.
Ma forse, per quel mondo d’animali,
quella fine d’assenti dimostranze
abbatte tutto il ruvido del cielo
e resta sempre vuoto casellario
ove l’estraneo vento li accomuna.
Restano corpi freddi inanimati
sotto quella comune sepoltura,
paghi delle carezze ricevute
in cambio di totale compagnia.

*****

Alcuni testi di questo libro sono stati tradotti in spagnolo da Emilio Coco e sono visibili al Sito:
http://www.viareggino.com/news/2012/10/30/le-poesie-del-viareggino-francesco-belluomini-sulla-strage-tradotte-in-spagnolo/26801/1/

Cinzia Demi

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P.S.:
_cidpetit_2db8fc4034a725bd5b7594d6e8e98e000a09c538_zimbra.jpg“MISSIONE POESIE” è una rubrica culturale di poesia italiana contemporanea, curata da Cinzia Demi, per il nostro sito Altritaliani.
QUI il link dei contributi già pubblicati. Chiunque volesse intervenire con domande, apprezzamenti, curiosità può farlo tramite il sito cliccando sotto su “rispondere all’articolo” o scrivendo direttamente alla curatrice stessa all’indirizzo di posta elettronica: cinziademi@gmail.com

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Cinzia Demi
Cinzia Demi (Piombino - LI), lavora e vive a Bologna, dove ha conseguito la Laurea Magistrale in Italianistica. E’ operatrice culturale, poeta, scrittrice e saggista. Dirige insieme a Giancarlo Pontiggia la Collana di poesia under 40 Kleide per le Edizioni Minerva (Bologna). Cura per Altritaliani la rubrica “Missione poesia”. Tra le pubblicazioni: Incontriamoci all’Inferno. Parodia di fatti e personaggi della Divina Commedia di Dante Alighieri (Pendragon, 2007); Il tratto che ci unisce (Prova d’Autore, 2009); Incontri e Incantamenti (Raffaelli, 2012); Ero Maddalena e Maria e Gabriele. L’accoglienza delle madri (Puntoacapo , 2013 e 2015); Nel nome del mare (Carteggi Letterari, 2017). Ha curato diverse antologie, tra cui “Ritratti di Poeta” con oltre ottanta articoli di saggistica sulla poesia contemporanea (Puntooacapo, 2019). Suoi testi sono stati tradotti in inglese, rumeno, francese. E’ caporedattore della Rivista Trimestale Menabò (Terra d’Ulivi Edizioni). Tra gli artisti con cui ha lavorato figurano: Raoul Grassilli, Ivano Marescotti, Diego Bragonzi Bignami, Daniele Marchesini. E’ curatrice di eventi culturali, il più noto è “Un thè con la poesia”, ciclo di incontri con autori di poesia contemporanea, presso il Grand Hotel Majestic di Bologna.

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