“Un errore umano” e va in scena la Sicilia – Intervista a Gigi Borruso e Serena Rispoli.

A Parigi in scena “Un errore umano”, piece teatrale d’impegno civile del siciliano Gigi Borruso che insieme alla compagna Serena Rispoli, conduce sul palcoscenico il pubblico nel doloroso viaggio delle donne che si ribellano alla condizione mafiosa. Un’opera originale di forte attualità e toccante. Una prova che il teatro se trova temi e ruoli puo’ avere ancora lunga vita. Uno spettacolo co-prodotto da Transit Teatro e dal Teatro Biondo Stabile di Palermo. Abbiamo incontrato i due protagonisti per una breve intervista.

In uno spoglio e disadorno palco, si muove Lia (Serena Rispoli), una moglie e madre coraggio, che non ha retto ad un matrimonio con un mafioso, e che ribellandosi ha scelto di essere contro. Una donna sventurata, che vive ormai in un centro d’igiene mentale che dovrebbe proteggerla e dove infondo è emarginata. Ci si prepara ad una festa per la Madonna, che sarà occasione per il solito defilé di politici locali, magari spesso collusi con quella mafia che lei rifiuta e che è all’origine del suo male.

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Il direttore del centro (Gigi Borruso) è impegnato nei preparativi, mentre la sua paziente alterna affabulazioni, sulla sua vita, il suo passato, alla consapevolezza del nuovo ruolo che riveste.

Lia, la protagonista della pièce, è una donna inventata, ma non irreale. Attraverso le sue parole possiamo immaginare la storia di tante altre donne, figlie, madri, mogli di uomini d’onore. In scena quindi non va solo lei, va tutto un’universo femminile che negli anni ha assunto una nuova consapevolezza sull’orrore non solo sociale ma anche esistenziale che è rappresentato dalla mafia. E’ questo un mondo che ha pagato a caro prezzo il rifiuto della mafia o meglio delle mafie. Sono celebri casi di donne che si sono tolte la vita, che sono state assassinate o che infine si sono trovate ormai preda di pazzia. Un mondo che non sempre è riuscito ad avere dallo Stato quel sostegno e quel conforto che sarebbe necessario. Potremmo dire che da donna Lia è la Sicilia. Regione che come la Campania, la Calabria e non solo non si rassegnano ad essere tristemente note solo per la criminalità.

Il disadorno palco di volta in volta viene utilizzato creativamente ed ecco il letto diventare la gabbia dei matti, ora il recinto dove riflettere, ora il trespolo su cui appendere gli abiti di una vita, il segno di un tempo che è stato. Un lavoro estremamente intimo che entra nel profondo del rifiuto ad una condizione che sembra obbligata quanto insostenibile. Non si tratta solo della denuncia politica e sociale o culturale, qui si parla di una denuncia esistenziale che fa di questa pièce un’opera profondamente mediterranea.

1 – Perché «Un errore umano»? Come nasce questa vostra piece teatrale?

Nel titolo si «gioca» con l’espressione comune “un errore umano”, in genere usata a proposito di incidenti di varia natura. Se Lia, la
protagonista della piece, secondo la logica mafiosa, è l’errore da cancellare, il suo errore è però ciò che permette a noi tutti di continuare a sperare. L’errore è ciò che ci definisce «umani», è lo slittamento imprevisto che consente al mondo modificarsi.

«Un errore umano» nasce nel 2008 su precisa richiesta di Serena che desiderava approfondire alcune figure di donne siciliane che negli ultimi decenni
avevano coraggiosamente rotto con le proprie famiglie d’origine mafiosa. Dopo un primo studio presentato in Toscana al Festival di Armunia di Castiglioncello in forma di monologo, la piece è cresciuta in questi anni assumendo la sua forma definitiva.

2 – Attualmente e fino al 12 aprile, lo spettacolo è a Parigi al Théâtre des
Déchargeurs, vicino a Châtelet, e la sera in cui l’abbiamo visto anche noi, è stato molto applauso e apprezzato dal pubblico. Uscendo dalla Sicilia, ci sembra che
questo vostro lavoro vada anche oltre il tema del potere della Mafia e del trauma morale subito dall’Italia. Quali sono gli aspetti universali, al di là della vicenda insulare, che possano coinvolgere secondo voi il pubblico francese?

È vero, e ci fa piacere che lo abbiate sottolineato, che al di là della mafia, nello spettacolo si intersecano vari temi che potremmo definire universali. Difficile elencarli tutti, ci accontenteremo di citarne solo alcuni. Un primo tema è quello della follia, per esempio. La follia come reazione ad una situazione di oppressione, ma anche in qualche modo come risorsa, la follia come strumento per dissentire e per accedere all’atto creativo. Da sempre – pensiamo ad Amleto, ma anche prima di lui – il teatro utilizza la follia e si rispecchia in essa nel suo modo distorto ma anche complesso, di entrare in contatto con la realtà e di raccontarla.

Il rapporto col potere è certo un altro dei temi. Un potere abusivo e criminale in questo caso, ma in cui senza troppa fatica si possono intravedere le ombre del potere politico/economico e delle sue derive che sono comuni a tutte le realtà. Senza voler fare semplificazioni o analogie arbitrarie, è evidente ad esempio che il problema della corruzione riguarda, seppure in forma diversa, più o meno tutti i paesi del mondo. In Italia è diventato un vero e proprio dramma, che impedisce lo sviluppo di un sistema realmente democratico.

Il rapporto tra uomo e donna è, in modo estremo, messo sul tavolo e osservato con la lente d’ingrandimento, esasperandone i conflitti. A ben guardare, ognuno di noi potrebbe forse riconoscersi in questi due personaggi. Le loro differenze nel percepire e nel relazionarsi al mondo ci raccontano anche le tensioni tra l’universo maschile e quello femminile e la loro, per molti versi, inconciliabilità.

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Parlare di mafia in Francia è per noi una sfida anche a tanti luoghi comuni. Osserviamo fra il pubblico molta curiosità ma anche stupore. In generale, abbiamo l’impressione che i francesi si sentano meno coinvolti da questi argomenti. Ma ci domandiamo se non lo sono più di quanto essi stessi credano. In ogni caso il dialogo non può che essere stimolante.

3 – Nel dépliant che accompagna la vostra piece parlate di coscienze che si accontentano di commemorazioni, di atti di contrizione, e di piccole e grandi
complicità. Potete approfondire su questo aspetto il vostro pensiero?

Pensiamo che, a dispetto delle commemorazioni ufficiali e degli slogan, buona parte della società italiana e molti livelli delle istituzioni tendano a rimuovere il problema mafioso e a liquidarlo come una condizione di eccezionalità criminale. Purtroppo nella politica, nella burocrazia, come in tanti gesti quotidiani di ognuno di noi, sopravvive uno stato di assuefazione e di complicità alla mentalità mafiosa. Molti passi avanti si sono fatti, ma la sfida è ancora grande.

4 – La pièce attraverso le vicende di Lia racconta di un fenomeno abbastanza recente di donne, a titolo diverso legate ai mafiosi, che si ribellano a questa cultura e alla legge dell’omertà. Noi abbiamo avuto la sensazione che Lia sia una figura emblematica che in qualche modo rappresentasse essa stessa una Sicilia diversa, ribelle, un po’ saggia e un po’ folle. Su quali idee avete costruito il personaggio di Lia?

La follia di Lia è quella di ogni coscienza che si senta assediata dalla menzogna, dalla mistificazione. A volte hai davvero la sensazione di «uscire di testa» dinanzi alla negazione delle più evidenti verità, alla costante impunità dei potenti. Beh, sì, Lia parla in modo «insano» dinanzi a un ambiente, a un mondo che praticano un «organizzato» occultamento della verità, in nome di un «quieto vivere» che nasconde il «marcio in Danimarca» .

5 – La cronaca ci racconta di donne coraggio che lottano in silenzio. Uscendo dalle logiche mafiose, hanno finito per trovarsi abbandonate a se stesse da uno Stato che verso di loro non ha mostrato lo stesso impegno che verso i pentiti. Lia vive chiusa in un manicomio, eppure la sua tormentata follia è il segno della ribellione per una Sicilia diversa. Che cosa rappresenta questo manicomio? Qual è il destino di Lia?

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Il manicomio è semplicemente lo specchio rivelatore dei mali che la società vuole nascondere. Circa il destino di Lia non c’è nello spettacolo un «lieto fine» a rassicurare lo spettatore. Non volevamo un eroe su cui scaricare i nostri sensi di colpa. Perché pensiamo che la battaglia per la verità e la giustizia è sempre lì, aperta dentro ognuno di noi. Lia, nell’ultima scena dello spettacolo, nel momento in cui è esibita come un innocuo fenomeno da baraccone, promette soltanto di ripescare il suo pettinino perduto nel fondo d’una vasca. Quel pettine al quale, come recita un proverbio italiano, presto o tardi tutti in nodi giungeranno. E’ una promessa bislacca, la promessa curiosa d’una matta. Eppure è una promessa simbolicamente potente. Questa donna, a dispetto della sua apparente sconfitta, promette di non abdicare ad un’idea disperata del mondo. E lo fa con un’ironia e una dolcezza che difficilmente il potere riuscirà a cogliere.

6 – Offrite un palcoscenico spoglio, un letto senza rete e materasso, qualche vestito appeso alle pareti, una sedia. Ci ha colpito l’uso creativo di questo spazio di cui si colgono alcune simbologie. Ce ne può parlare?

Il letto è l’emblema dell’ospedale. Nel suo uso scenico insolito diviene, via via, da prigione del corpo e dello spirito, anche il luogo del sogno, la porta verso l’inconscio, lo specchio, e la bara.

7 – Per finire, qual è il futuro di questo spettacolo? Dove pensate di portarlo? Quali sono le prossime date?

Lo spettacolo verrà ripreso nel prossimo autunno per il Teatro Biondo Stabile di Palermo, che è anche il nostro co-produttore. Sarà una tappa importante cui speriamo ne seguiranno altre.

Evolena insieme a Nicola Guarino

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UN ERRORE UMANO

Una co-produzione: Transit Teatro e Teatro Biondo Stabile di Palermo

Di: Gigi Borruso

Attori / interpreti: Serena Rispoli, Gigi Borruso

Anno di produzione: 2011

Regia: Gigi Borruso

Musiche: Jimi Hendrix, Henry Purcell, Banda di Palermo

Durata: 1ora e 10′

Dal 25 marzo al 12 aprile 2014

Ore 21.30

Spettacolo in francese martedi, mercoledi, venerdi e sabato

in italiano giovedi 27 marzo, 03, 10 aprile

Durata : 1h10

Théâtre Les Déchargeurs

3, rue des Déchargeurs

75001 Paris

Réservations de 16h à 22h au 01 42 36 00 50

www.lesdechargeurs.fr

Métro Châtelet / sortie rue de Rivoli côté n° pairs

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Evolena
Michèle Gesbert est née à Genève. Après des études de langues et secrétariat de direction elle s'installe à Paris dans les années '70 et travaille à l'Ambassade de Suisse (culture, presse et communication). Suit une expérience associative auprès d'enfants en difficulté de langage et parole. Plus tard elle attrape le virus de l'Italie, sa langue et sa/ses culture(s). Contrairement au covid c'est un virus bienfaisant qu'elle souhaite partager et transmettre. Membre-fondatrice et présidente d'Altritaliani depuis 2009. Coordinatrice et animatrice du site.

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