Primarie PD: Alla ricerca di un tratto distintivo, ovvero Diogene e la ricerca dell’uomo.

Il tratto identitario del PD, come Diogene bisogna cercare l’elemento di riconoscibilità di una sinistra che con queste primarie del prossimo 8 dicembre, si prepara ad essere una sinistra nuova. Il presidente dell’INCA-CGIL di Parigi va all’analisi delle mozioni dei tre candidati in contesa.

8 dicembre 2013, ricorrenza dell’Immacolata Concezione e casuale concomitanza delle primarie “aperte” del Partito Democratico.

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Da mesi mi agito nella diogenesca (Tullio De Mauro permettendo) ricerca dell’UOMO ovvero del “Tratto Distintivo” che, a mio modestissimo avviso, dovrebbe caratterizzare la nascita-rinascita del Partito Democratico. Perché sono un irriducibile nostalgico dei “Tratti Distintivi” di antica memoria che permettevano di cogliere più o meno al volo le differenze tra diversi. Oggi il tutto appare appiattito o come si usa dire in questo tempo “il tutto è il frutto delle larghe intese” meno larghe di qualche giorno fa ma, non di meno, larghe intese.

Da mesi spulcio tra i documenti dei pretendenti al trono del Partito Democratico alla ricerca di questo filo, per me ancora rosso, che dovrebbe rammendare le tante lacerazioni che si sono consolidate nella nostra società. Fatica improba perché cogliere questo benedetto “tratto” mi appare così complesso al punto che rischio di convincermi che non ci sia mentre vorrei rimanere fermo nella convinzione che dovrebbe esserci.

E riprendo, imperterrito, la rilettura delle carte.

Renzi, oltre alla copertina di Vanity Fair, ci offre 3 aree tematica e 100 punti programmatici. 100, non uno di più né uno di meno sancendo in questo modo la sacralità del multiplo dei 10 comandamenti. Si badi bene, per me il problema non è il 100 ma, fissato come sono, la spasmodica ricerca del “Tratto Distintivo” che fatico a far emergere da tanta ingegnosa preposizione dei nodi italici da risolvere.

Cuperlo mi semplifica la vita. Il suo programma è riassunto in quattro aree tematiche ma, anche in questo caso individuare la stella polare del suo “tempo di crederci” non è cosa facile anche se mi piace immergermi nelle sue parole simbolo usate per declinare un pensiero filosofico che, pur con indubbio valore, filosofico rimane senza però prospettare con la necessaria concretezza “il fare”.

Pippo Civati si presenta con un programma articolato in 7 punti dove, fortunatamente, al primo posto vedo la parola “lavoro” e, confermandosi che la scelta del sommario non appare determinata solo dall’alfabeto, sono indotto a presumere che si tratta di una priorità nel procedere. Mi piace soprattutto la spregiudicatezza nell’usare, in apertura del suo documento la frase “La novità è a Sinistra”. Ma a Pippo, qualcuno dei suoi consiglieri ha spiegato che destra e sinistra rimangono concetti presenti solo nelle canzoni di Gaber?

“Pippo, non si usa più!” Ho l’impressione che nessuno lo abbia debitamente informato che i guru della nuova comunicazione hanno pronto lo slogan rubato alle sigarette: ”Sinistra – Nuoce gravemente alla salute”. Per fortuna io non fumo e voglio ringraziare Pippo per il suo ardire.

Voglio farlo perché le contumelie sulla “sinistra” che ho ascoltato, letto, riascoltato, riletto in queste settimane in una apologia della “fuga dal passato”, magari senza minimamente conoscere il passato, queste contumelie mi sono sembrate un assassinio premeditato: “Tu Quoque Brute Fili mi”. Ma, dell’assassinio i prodomi erano già presenti nei cento e passa parlamentari senza onore di recente memoria. Non mi consola il fatto che l’omonimo film di Rod Holcomb abbia riscosso un gradimento pari a zero perché in questo caso, la fuga dal passato raggiunge ragguardevoli indici di gradimento.

Non me ne voglia Pittella se non entro nel merito del suo progetto. E’ solo una questione di spazio, considerando l’esito dal voto dei circoli con la conseguente estromissione dalla competizione finale. Perché, se una cosa è certa in questa vicenda, è lo spirito di competizione che caratterizza la corsa al trono. Non certo lo spirito di Pierre De Coubertin dove l’importante era partecipare. In questo caso l’importante è vincere in nome di un tal Machiavelli che al suo Principe faceva ben dire che “Il fine giustifica i mezzi” e, in queste settimane ne abbiamo avuto prova e riprova.

Ma mi sono dilungato troppo nella premessa che avrei voluto, in origine, più breve e didascalica. Ma oggi mi va così e chiedo venia a chi, se mai ci sarà, avrà voglia di leggere le mie elucubrazioni.

Torno al punto. La sindrome di ricerca del “Tratto distintivo” che mi tormenta l’anima e mi fa dormire male.

Poi ti svegli una mattina, apri la TV, scorri le news, vai su internet e scopri che il “Tratto distintivo” te lo disegna l’OCSE. L’OCSE? Direte voi, non scherziamo proprio. Cosa centra l’OCSE con le nostre primarie?.”

Legittimo pensiero, ma l’OCSE non solo mi ha fatto svegliare male (o forse bene) ma ha sparigliato le carte e annunciato quasi in contemporanea a Papa Francesco che i precari di oggi saranno i poveri di domani.

E l’OCSE lo fa con l’analisi, i numeri, le previsioni e non usa mezzi termini circa il futuro dei nostri giovani e, aggiungo, meno giovani. Lo fa spingendosi al punto di dire che “l’adeguatezza dei redditi pensionistici potrà essere un problema” per le generazioni future del Belpaese, e “i lavoratori con carriere intermittenti, lavori precari e mal retribuiti sono più vulnerabili al rischio di povertà durante la vecchiaia”.
Mi direte “ma cosa centra questo con le primarie?”. Prevedendo l’inevitabile interrogativo, con un pizzico di presunzione, mi preparo la risposta: “c’entra, eccome se c’entra”.

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Dopo questo brusco risveglio torna in gioco la mia sindrome: il “lavoro” ecco, il lavoro è il “Tratto distintivo” che cercavo e che dovrebbe costituire lo spartiacque tra progresso e conservazione sempre che, a qualcuno, per progresso non venga in mente di considerare altri valori, o meglio disvalori, oggi di moda a partire proprio dalla esaltazione della precarietà per rispondere modernamente al mercato, oppure alla sistematica messa in discussioni di diritti che sono il perno e non la sciagura della nostra civiltà, oppure ancora cancellando dal vocabolario la parola solidarietà per sostituirla con profitto, speculazione, modernità.

Ecco ora ho chiaro il mio discrimine nel leggere i programmi dei tre candidati.
Si dirà che sono un vetero sindacalista, magari comunista. Ora mettiamo in chiaro le cose, vetero si, mi convince, sindacalista si, non rinnego la mia storia e anzi ne sono fiero, comunista no perché militavo nel Partito Socialista Italiano (che non fu solo di Craxi ma anche di Riccardo Lombardi e di tanti altri padri nobili). Voglio dire con chiarezza che mi scandalizza un revisionismo sciocco e ingeneroso che sembra percorrere sia le generazioni che con il PCI hanno convissuto sia quelle che lo hanno semplicemente studiato.

Torno al merito: il lavoro. Per questo gradirei una risposta concreta, di merito, risolutiva almeno nella progettualità del fare (parola tanto di moda) alla esplicita denuncia fatta dall’OCSE. Cosa dicono i tre candidati a proposito del “Tratto distintivo”, scusate la mia mania ma volevo dire dire a proposito del “Lavoro” a fronte di una prospettiva nota ai tanti ma messa in secondo piano nella ricerca delle soluzioni.

Ho l’impressione che le parole consumate per alimentare il conflitto generazionale tra chi il lavoro ce l’ha (forse) e chi il lavoro non ce l’ha e non lo avrà (di certo) siano di gran lunga superiori a quelle usate per formulare soluzioni impegnative.

Ora mi rendo conto che sto allungando il brodo in maniera irresponsabile confermando che i sindacalisti hanno tempo da perdere e anche questo è un bel problema. (Lo dico perché c’è un candidato che nel suo programma non si limità a dire come riformerà il Partito Democratico ma anche come riformerà i sindacati e, a tal proposito oso ricordare due cose: chi ci ha provato ha preso spesso e volentieri una musata; chi ci ha provato ed è riuscito a farlo ha portato ad una dittatura durata vent’anni e cancellata solo dopo una faticosa liberazione).

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Per questo, chiedendo venia a Cuperlo e Civati. Mi fermo ad osservare cosa dice, a proposito, il candidato che va per la maggiore. Intendo dire l’uomo di Vanity Fair che, scorrendo i suoi famosi 100 punti mi sorprende annunciando:

• al punto 10 il superamento del CNEL covo di sindacalisti e imprenditori di malaffare che nel corso di questi anni si è crogiolato a garantirsi la sopravvivenza;

• al punto 17 si propone una ulteriore e non ben definita modifica dei sistemi previdenziali;

• al punto 27 si propone la privatizzazione dei servizi pubblici, confermando che tutto ciò che è pubblico è mala gestione e tutto ciò che è privato è buona cosa;

• al punto 29 si entra in un’ambito di grande rilevanza (ovviamente per banchieri, assicurazioni, speculatori) prevedendo di co-privatizzare le assicurazioni sugli infortuni nel lavoro e le assicurazioni sulla salute visto che il sistema sanitario è quello che è;

• ai punti 36 e 37 si propone di modificare gli ammortizzatori sociali e i contratti di lavoro per avere più risorse attraverso la contrattazione aziendale, ignorando che la contrattazione aziendale è praticamente inesistente in tutto il mondo del lavoro dove regna la precarietà e, conseguentemente, la maggiore indigenza (bello il termine, si può usare perché è più moderno della parola “povertà”);

• e, oh c……. ma sul lavoro che manca non c’è una sola parola. Non può essere vero e vado a rileggere tutti i 100 punti e, ecco spuntare il punto prodigo, quello disperso che non riuscivo a trovare.

Eccolo, era prima del 36 ma lo avevo saltato. Il 35 (ecco perché l’avevo saltato! per la cabala rappresenta l’uccellino che, essendo tale cinguetta appena) “Superare il precariato attraverso il contratto unico a tutele progressive. Per superare il dualismo del mercato del lavoro, che vede parte dei lavoratori con tutte le garanzie e gli altri (i giovani e meno giovani) senza nessuna garanzia, occorre introdurre un contratto unico a tutele progressive che dia maggiori certezze ai giovani.” Rileggo e rileggo ancora e penso alle risate che farebbero quelli dell’OCSE al cospetto di un così acuto pensiero che tradotto dal vetero sindacalista di turno di riduce a “rendiamo tutti un po’ più precari e così si superà il dualismo tra chi ha un lavoro certo (forse) e chi ha un lavoro precario (certo).

Si potrebbe definire “proposta d’ingegneria bionica” se non fosse che il problema è estremamente serio perché si attualizza in un contesto drammatico per il lavoro che solo gli azzeccagarbugli possono liquidare con inutili elucubrazioni su conflitto generazionale, sindacato che se ne infischia, lavoratori ipergarantiti. I numeri sono drammatici, coinvolgono un’intera generazione, si amplificano nella generazione dei quaranta-cinquantenni che perdono lavoro, non si compensano con la involuzione del precariato, si confermano con banalmente definite “fughe dei cervelli” e fuga, oltre che di cervelli, anche di mano d’opera con relativo cervello.

Come si può pensare che la soluzione sia “precariziamo tutto così tutti sono più uguali”? Si perché l’idea dei “contratti progressivi” (che dal punto di vista teorico potrebbero apparire una appetibile alternativa al precariato) nasconde questa voglia di parificazione della precarietà e lo fa abdicando ad altri lo sforzo di indicare percorsi di crescita dell’occupazione. Se manca il lavoro non si risolve il problema ripescando la vecchia teoria tanto cara alla sinistra radicale del “lavorare meno, lavorare tutti” perché l’assioma della parità di reddito che reggeva tale teoria allora non esiste più se mai è esistita.

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Ora i 100 punti sono un bel esercizio didattico il cui utilizzo potrebbe estendersi alle prove di maturità del nuovo anno scolastico. Per diventare un progetto politico devono rispondere all’interrogativo di fondo: sono tutti e 99 (perché escludo ovviamente il 35) utili a ridare speranza alla nostra comunità? Ovvero le soluzioni che si propongono per rispondere al dramma del lavoro e dell’ indigenza sono il tratto distintivo che condizionano le altre 99 o sono le 99 a condizionarne le compatibilità?

La mia priorità è “il lavoro” perché è la base che permette ad una società di fare tutto il resto e di affrontare tutti i rimanenti “enne” punti del programma renziano. E’ questa la priorità, quella che dovrebbe permettere di ricostruire una dignità persa, che non si riconquista riportando tutto a zero, che non ritrovo nei 100 punti ne negli altri suoi interventi e documenti. Ripreciso che ho provato a sviscerarne il contenuto in quanto sembra prossima la sua ascesa alla segretria del PD.

Mi si obietterà che gli altri candidati non dicono molto di più. Mi permetto di dire che almeno dal mio punto di vista, non è vero anche se è ancora insufficiente la presa d’atto che la nostra differenza, il nostro tratto distintivo è proprio sul come considerare il lavoro e, conseguentemente, anche per essi valgono le cose sopra esplicitate. Mi si dirà che degli altri ho parlato poco ed è vero ma, perché perdere il mio tempo ad osservare quanto accade nelle retrovie se il generale è già in testa alle sue armate?

8 Dicembre, giorno dell’Immacolata Concezione, si vota. Il discrimine è “per cosa” più che “per chi”.

Italo Stellon
Presidente INCA – CGIL Francia

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