Adelia Battista: Anna Maria Ortese, la ragazza che voleva scrivere.

La vincitrice nel 2012 del premio Morante, Adelia Battista, si ripropone con un romanzo breve dedicato alla scrittrice romana, che oggi viene riscoperta dalla letteratura. Un romanzo che è un cortese e misurato retroscena della scrittura del suo più celebre romanzo: “Il porto di Toledo”. In linea con l’Ortese la Battista oscilla tra la magia e la semplicità della vita quotidiana.

Tra pochi mesi, saremo al centenario della nascita della scrittrice Anna Maria Ortese. Potrebbe sembrare l’ennesimo anniversario; ogni anno si susseguono ricorrenze di nascite e morti, ma quella dell’Ortese ci sembra particolarmente significativa. Intanto, perché l’autrice di “Il Porto di Toledo” e di tante altre opere, fu una innovatrice nel panorama letterario del suo tempo ed un originalissima e sensibile interprete della scrittura.

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Tuttavia, la sensazione è che questa donna intellettuale, dai modi asciutti che contrastavano con il mirabolante lirismo della sua scrittura, ci sembra ancora non sufficientemente nota ad un pubblico più largo e che magari si appassiona, fortunatamente ancora, alla nostra letteratura, che proprio in questi anni sta ritrovando un suo nuovo rinascimento.

Adelia Battista, di cui ci fregiamo della sua collaborazione al sito, già vincitrice nel 2012 del premio Morante, con il carteggio di “Bellezza, addio”, da lei magistralmente curato e dedicato proprio al fitto ed intenso scambio epistolare tra l’Ortese e il poeta Dario Bellezza, ha, da qualche mese, edito per la Remo della Lozzi Publishing, una nuova opera. Si tratta di un romanzo breve, ancora sull’Ortese, nel mentre realizzava il succitato suo romanzo più celebre.

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Adelia Battista, prima grande amica della scrittrice ed oggi fedele custode di molti suoi documenti e lettere, è certamente tra i suoi biografi più attenti e approfonditi. L’Ortese fu autrice estremamente prolifica, un’instancabile “lavoratrice” del sentimento che visse il racconto come esperienza non solo esistenziale, ma direi fisica, inesauribile viaggiatrice, capace di trasportare nelle sue opere tutta la sua irrequietezza.

Il lavoro della Battista è un romanzo ma anche un saggio di raro equilibrio, capace di misurarsi con e nelle vicende dell’autrice con senso della misura. Traspare un enorme rispetto per l’Ortese e non c’è nessun desiderio di strafare, di proporre colpi di scena sconvolgenti e magari dal gusto discutibile.

Adelia Battista, si misura nel racconto della costruzione ed avvio alla pubblicazione proprio del “Porto di Toledo” che fu edito nel 1975 e che costitui’ anche una delle opere, per certi versi, più “misteriosa” di quella bibliografia.

In tal senso, il romanzo corre sospeso nel tempo tra presente e passato con numerosi flashback. Si parte dal compimento dell’opera per poi rivenire sulle difficoltà anche materiali, oltre che esistenziali, che scandirono dal 1969, ma anche prima nel tempo, quella magnifica realizzazione.

Si compone quindi una struttura narrativa circolare con passaggi e ripassaggi che ci sembrano importanti per materializzare la complessità realizzativa di un’opera. Forse è anche la stessa difficoltà incontrata dalla Battista, ma credo in definitiva che sia una delle strade obbligate per chiunque si avvii alla scrittura. Una lotta non semplice e che richiede grande volitività. Non è un caso forse che il titolo del libro sia: “Anna Maria Ortese, la ragazza che VOLEVA scrivere ».

L’azione si muove tra la concreta Milano e l’amata Roma, sull’asse complesso del suo rapporto con una sorella pittrice, e il mistero dei loro sentimenti di complicità, amore, ma, anche, competizione ed incomprensione.

I suoi incontri con una giovane Dacia Maraini, con Enzo Siciliano ed altri intellettuali di quel tempo, ma anche l’attenzione alla normalità, se si vuole alla banale quotidianità della vita di una scrittrice, alle prese con la spesa, con i preparativi semplici e silenziosi della cucina.

E’ proprio anche questa semplicità che rende questo piccolo romanzo, una piccola magia. Perché io credo sia proprio cosi che nasce uno scrittore: nell’osservazione, certo l’immaginazione, ma anche la capacità di trarre la poesia dalle cose quiete della quotidianità. L’Ortese che esce da questo romanzo, curatissimo anche sul piano della realtà storica, è un’osservatrice innamorata dei luoghi, attenta e critica, consumata dalla passione per la scrittura.

“Maria appoggiava con cura sopra al letto una giacca, un vestito, una gonna e una maglia marrone. Ripiego’ uno scialle e un paio di calze. Apri’ i primi due cassetti del como’. – C’è persino una scarpiera – la informo’ sua sorella.

Oppure:

“Nel salotto Anna aveva preparato una ciotola di porcellana bianca con cetriolini, olive, e molti salatini. Aveva riempito il vassoio di pane imburrato con prosciutto, polli al vino bianco, e piccoli dolci al sesamo. – Hai fame? – Le chiese quando fu rientrata in camera.”

Questo tono semplice e gentile, non impedisce il trasparire dell’irrequietezza delle sorelle Ortese, in primis la scrittrice dall’anima e il corpo vaganti, e nel vagare tra i luoghi nel finale compare Rapallo in Liguria dove poi l’Ortese morirà nel 1998.

“Anna spera di scrivere altri libri di pura, meravigliosa, non realtà. Che poi per lei rappresentava il vero”.

Tutto tra la semplicità quotidiana e questa magica capacità di meravigliarsi della vita, da raccontare in un modo che non puo’ comprendersi con la semplice ragione. E’ proprio cosi che racconta l’Ortese, l’attenta e sensibile Adelia Battista.

Nicola Guarino

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Nicola Guarino
Nicola Guarino, nato ad Avellino nel 1958, ma sin dall’infanzia ha vissuto a Napoli. Giornalista, già collaboratore de L'Unità e della rivista Nord/Sud, avvocato, direttore di festival cinematografici ed esperto di linguaggio cinematografico. Oggi insegna alla Sorbona presso la facoltà di lingua e letteratura, fa parte del dipartimento di filologia romanza presso l'Università di Parigi 12 a Créteil. Attualmente vive a Parigi. E’ socio fondatore di Altritaliani.

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