La “stabilità”, le piccole intese e il futuro magari per la terza repubblica.

Anche la legge sulla stabilità è un’occasione mancata. Sullo sfondo e a danno dei cittadini la disputa tutta interna ai partiti per archiviare questa penosa seconda repubblica. Le colombe a destra, Monti al centro e il congresso del PD. Le speranze di rinnovamento della politica nelle idee e nelle persone.

La legge di stabilità (un tempo finanziaria) è la cartina di tornasole del momento politico italiano. Una storia che la dice lunga su quanta ipocrisia ci sia dietro alle parole che sembrano tutte intente agli interessi dei cittadini italiani.
Vedremo che in realtà questa legge nasconde il riposizionamento del quadro politico italiano in vista di importanti appuntamenti, quali il congresso del PD e le prossime elezioni europee.

In questo complesso crocevia si snodano diverse “fratture”; il centro con Monti che strappa uscendo da Scelta Civica e rompendo l’alleanza con UDC di Casini; lo scontro, tuttaltro che concluso, all’interno del PDL ed infine il PD dove la battaglia congressuale assume sempre di più toni aspri e polemici.

Ci si attendeva e sperava in una legge di stabilità che favorisse la crescita economica, il famoso shock che avrebbe dovuto risvegliare il mondo del lavoro e delle imprese, in realtà il risultato è una leggina che forse rassicurerà (e non so quando) Bruxelles, che consentirà, pur prolungando la stagnazione e recessione attuale, allo spread di mantenersi sui livelli attuali (bassi di differenziale), lasciando per il resto, incancrenire ulteriormente la difficile condizione economica del paese.

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Un governo di larghe intese che unisce in una grande coalizione i due partiti che per venti anni si sono combattuti fieramente ed inutilmente in una guerra di trincea che ha paralizzato il paese è un’anomalia, aggravata ulteriormente dal fatto che il PDL di Berlusconi è non solo di destra ma anche populista. E’ evidente che sia estremamente difficile fare leggi, a volte necessariamente impopolari, con un partito populista.

Eppure è esattamente quello che una grande coalizione dovrebbe fare approfittando della corresponsabilità di governo, nella certezza che nessuno possa trarre profitto dall’impopolarità dell’altro. Da qui l’anomalia italiana che porta ancor più a bloccare il sistema paese.

Ecco quindi che le auspicate e profondamente riformatrici larghe intese sono sempre più diventate piccole. Nel caso del governo Letta, unica opzione possibile, visto il “gran rifiuto” dei grillini, non si è nemmeno avuto un avvio di legislatura interessante, con tutte le critiche possibili, come si ebbe viceversa, col governo Monti e la sua riforma delle pensioni. In realtà, si è andati avanti a passettini, con qualche apprezzabile risultato, specie in sede europea, con l’uscita dalla procedura d’infrazione a cui Berlusconi ci aveva trascinato, ma null’altro. Un vivacchiare sulle soluzioni urgenti e radicali da offrire al paese, mentre in realtà si andavano a regolare le questioni interne ai partiti presenti nella coalizione.

A chi si aspettava risposte sul taglio della spesa pubblica, su una riforma del catasto che permettesse di rivalutare le imposte sugli immobili, alla luce della realtà attuale, a chi chiedeva il taglio del cuneo fiscale e finanche una seria riforma della politica per il quale si erano costituiti gruppi di saggi per una riforma della seconda parte della Costituzione, a chi, infine, reclamava una politica di riassetto industriale, risposte per l’occupazione giovanile, con finanziamenti e strategie di lungo respiro, non si è risposta nulla.

E’ evidente che sono risposte che non possono venire dalla legge di stabilità, ma pur con le piccole cifre attuali era lecito attendersi di più, seguendo le indicazioni provenienti dal mondo imprenditoriale, dagli stessisindacati e in generale dalla società civile.

Si è detto abolire l’IMU (il PD non avrebbe dovuto accettare una tale scelta, avrebbe dovuto proporre viceversa una razione una rimodulazione dell’imposta n.d.r.) che di fatto resta sotto mentite spoglie. Per il taglio delle spese pubbliche si è fatto capire che si è impotenti; ne parlano tutti, ma poi ci si limita impotenti a dire che non è possibile farla (la realtà è che nessuno vuole rischiare il proprio consenso elettorale su questo delicato terreno). Finanche la lotta all’evasione fiscale, con tanto di redditometro in funzione, sembra caduta nel vuoto con i suoi 140 miliardi annui che fuggono alle casse dello Stato. Gli stessi tagli alla sanità, che avrebbero dovuto bilanciare la sproporzione di spese e gestione tra nord e sud del paese sono finiti nell’ombra.

Il tutto mentre il paese perde pezzi di economia, cresce la disoccupazione e malgrado una piccola ripresa internazionale (già agganciata dalla Francia), l’Italia continua a sprofondare nella recessione, malgrado i confortanti annunci (ancora una volta) del ministro all’economia Saccomanni.

Si è all’ennesimo rinvio e si ripete quanto visto con Monti. Letta incassa la simpatia e l’apprezzamento dell’Europa (sempre più negligente, pericolosamente negligente, alla vigilia delle sue elezioni parlamentari), di Obama, ma la realtà, al di là della facciata, è che ben poco cambia. Si continua a non cambiare la legge elettorale, non si va ad un voto (finalmente decisivo) per portare chiarezza politica nel paese e tutto sembra essere rinviato per finalità che esulano dalle urgenze dei cittadini di vedere efficaci risposte alla loro difficile quotidianità.

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Il teatro del governo diventa allora, la plastica immagine di una battaglia che in realtà si sta combattendo nei corridoi dei partiti e dei palazzi del potere che non sempre sono quelli istituzionali.

Credo che Monti abbia ragione ad essere critico verso la nuova finanziaria. Credo anche che abbia avuto parole inusitatamente, nel suo stile, dure; parlando di genuflessione del governo al populismo di Berlusconi. Il professore peraltro, coglie occasione per rompere Scelta Civica uscendo dall’equivoca posizione laico-cattolica a cui la convivenza con Mauro e Casini l’aveva costretto.

L’avevamo detto all’epoca (sembra passato un secolo) che fosse meglio che Monti evitasse di “salire” in politica, che il rinnovamento politico dei cosiddetti “moderati” imponeva al senatore a vita di proporre una forza civica si, ma assolutamente sganciata dai vecchi politici della prima e soprattutto seconda repubblica. Sarebbe stata un’operazione (quella si) di rinnovamento della politica non solo negli uomini, ma anche nelle idee. Un’operazione che oggi convince Monti anche se forse fuori tempo massimo.
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Sul “Porcellum” va detto che ormai appare chiaro che la mancata modificazione della legge elettorale, non è frutto di noncuranza oppure del prevalere di altri interessi nazionali (quali interessi? Visto che la classe politica è da venti anni bloccata, incapace di proporre una sola riforma strutturale degna di nota), ma è solo il frutto del consapevole intento di una generazione politica che vuole solo perpetrare stancamente se stessa anche a danno di tutto il paese. In tale chiave, appare evidente che c’è chi punta a costruire al centro, chi non vuole il bipolarismo e chi semplicemente sa che bloccando il paese con un’iniqua legge elettorale puo’ continuare a esercitare un ruolo di potere con tutti i suoi privilegi.

Tuttavia, in un contesto politico cosi frammentato, lo spappolamento del PDL, puo’ determinare delle novità importanti verso la strada di una nuova politica più vicina ai cittadini. Occorrerebbe, in quel campo, più coraggio, archiviando definitivamente l’esperienza Berlusconi, aprendosi ad una visione più liberale o anche conservatrice in chiave europea. Ma per chi a destra si muove come il sindaco di Pavia Cattaneo o altri che sono ancora nell’ombra, si tratta di strappare con il populismo, che non a caso è quanto di più lontano dall’Europa. Vedasi Le Pen in Francia o gli stessi Berlusconi e Grillo in Italia.

Il punto in uno scenario politico putrefatto, in una situazione socio-economica che più che stabile appare morta, come quella attuale, diventa essenziale la ricostruzione morale del paese, che si impone come prima emergenza e che è presupposto anche delle ulteriori.

In Italia esiste una carenza, ormai strutturale, di cultura della legalità. Un deficit di democrazia drammatizzato in questi ultimi venti anni. Un deficit determinato in parte da Berlusconi e per altri versi da una classe politica che ha gestito la cosa pubblica ed in generale il consenso politico in un modo che ha avvilito ogni coerente rispetto delle istituzioni. Le cifre di una corruzione che lo scorso anno è stato per un volume di “affari” da 70 miliardi di euro dà il senso di qual è l’humus su cui tanto si è coltivato e prodotto a danno del paese. Pur perdendo 5/6 milioni di elettori, un quarto degli italiani resta fedele a Berlusconi, malgrado i suoi comportamenti, le sue condanne finanche definitive, le sue condotte etiche che hanno gettato nello scandalo il paese agli occhi del mondo intero. Questo vuol dire che una buona fetta d’Italiani, vive le istituzioni, le regole, la compartecipazione, le tasse come un fastidio da cui sfuggire. Una tale cultura dell’illegalità, va ben oltre gli elettori di Berlusconi e nella quotidianità della vita coinvolge moltissime persone, direi la moltitudine.

L’evadere le tasse, il lavoro nero, il mancato rilascio di ricevute o scontrini a pagamenti avvenuti, sono un andazzo che indica uno ”stile” di vita italiano che in prospettiva europea è preoccupante. In Europa non si fa cosi. Avere più dell’80% di italiani che in modi e misure diverse evade le tasse è sintomatico del fatto che ancora si fatica ad essere cittadini con la c maiuscola.
Nella loro miopia politica le attuali dirigenze dei partiti non comprendono l’entità di questo sfacelo nazionale.

Diventa quindi decisivo sul piano delle speranze di rinnovamento politico, anche il ruolo del PD e del suo imminente congresso. Il PD, in quanto unica forza strutturata nel paese, resta anche l’unico partito capace di proporre un progetto di società e di convivenza credibile. Credo che con obbiettività si possa dire che dietro alla corsa alla leadership si nascondono anche visioni e progetti diversi di società. Un tema su cui bisognerà ritornare con analisi più accurate. Intanto, possiamo dire che al netto di Pittella che sembra nell’impossibilità di vincere le primarie, la vera lotta dovrebbe circoscriversi tra Renzi e Cuperlo, anche se qualche simpatia raccoglie anche Civati (come ad esempio qui in Francia).

Ancora una volta appare evidente che ci sono due visioni totalmente diverse del partito e del rapporto che questo deve avere con la società. Vedendo la prima uscita pubblica di Cuperlo, appare subito evidente chi sono i suoi referenti: Bersani, D’Alema, Marini, Fassina, insomma, senza voler essere semplicisti, tutta la vecchia nomenclatura che ha, e non solo di fatto, diretto il centrosinistra in questi venti anni. Quella stessa che nel tempo ha ostacolato prima Prodi agli inizi dell’Ulivo (leggi D’Alema), gli stessi che fecero regredire la svolta del lingotto di Veltroni, costringendolo poi alle dimissioni con continue lotte interne. Quelli dell’antiberlusconismo “militante” e che hanno garantito al cavaliere venti anni di regno in Italia.
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Sul carisma di Cuperlo, la dice lunga la fine della sua convention; quando tutta la stampa ando’ ad intervistare lo “smacchiatore” Bersani, lasciando il candidato nella sua desolante solitudine.

Civati è una brava persona, ha un piglio da ragazzo da collettivi studenteschi, sogna di riunire il PD a SEL 3% di elettori e al IDV di Di Pietro (lo ricordate?) 1,2%, non sembra interessato al PSI (un altro 0,2% di voti i )*, è invece interessato ai grillini (quelli che non si capisce chi sono) un giorno amici di Casa Pound, nemici della politica, quei democratici che espellono chiunque al minimo dissenso, quelli che propongono di abolire il reato di clandestinità e poi al fischio dei boss Grillo e Casaleggio, scompaiono e magari ritirano la proposta.

Certo che bisogna recuperare i voti dei grillini, fra loro c’è molto malcontento verso la politica e lo Stato. Sarebbe, tuttavia, un errore credere che i grillini abbiano un’anima di sinistra, sono una forza populista e nemmeno di sinistra come fu, ad esempio, il partito di Di Pietro che si collocava nella categoria di un populismo di sinistra, rudemente giustizialista. Tra loro ci sono persone che hanno anche istanze giuste, ma la galassia grillina, nella sua assenza d’identità politica, in teoria puo’ essere attratta dalle più diverse offerte politiche e non escludo che vi siano anche moderati (personalmente penso che oggi i moderati sono i più incazzati di tutti), che vorrebbero vedere meno corruzione e malcostume e più efficienza e rispetto delle regole.

Il risultato è che la battaglia di testimonianza di Civati, fa fare bella figura al PD, ma è una battaglia di retroguardia, chiusa all’interno della sinistra con il rischio di mentenere la stessa nella sua asfittica, storica e sterile soglia del 26/30% dell’elettorato (nella migliore delle ipotesi).

La realtà è che piaccia o no, l’unico politico capace, a volte con interventi ahimé troppo gigioneschi, di avere una visione moderna della sinistra in un quadro di prospettiva bipolare della politica, è proprio Matteo Renzi, che chiede meno banche e più politica, che era contro la cassazione dell’IMU e a favore di politiche d’incentivo al lavoro e alle imprese, che reclama più merito e meno raccomandazioni, un risanamento del paese che deve passare anche per un partito che si faccia modello di trasparenza, che chiede una politica delle imprese più razionale e legata alle vocazioni territoriali, che vuole effettivamente una riforma elettorale e non sono annunci e rinvii. Che reclama l’abolizione del finanziamento pubblico dei partiti. In tal senso va ricordato che uno dei suoi sostenitori, l’onorevole Giachetti è arrivato allo sciopero della fame dopo aver proposto vanamente il ritorno almeno alla vecchia legge elettorale, suscitando le ire della nomenclatura del PD che preferi ancora una volta mantenere il “porcellum”.

Il leaderismo di Renzi non deve far dimenticare il suo sforzo di coinvolgimento degli iscritti e degli elettori che simpatizzano per il PD. Va ricordato che non era certo Renzi ad opporsi a priamarie che consentissero la maggiore partecipazione di cittadini possibile. Nei prossimi giorni alla ormai celebre “Leopolda” di Firenze, si apriranno cento tavoli di dibattito su altrettanti temi a cui parteciperanno i cittadini attivamente insieme ai parlamentari.
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Francamente trovo insostenibile l’ipocrisia, dal vago sapore democristiano, di chi dice: “Ah…no! Renzi ha smanie da leader”. Oppure: “Sono contro all’uomo solo al comando”. Prima di tutto perché i fatti dicono che non è cosi, e poi, Togliatti aveva una leadership fragile? Oppure è vero che era il capo indiscusso del PCI? Al punto che chi lo contrastava era fuori dal partito. Berlinguer aveva poca leadership? Oppure era l’indiscusso leader del PCI del compromesso storico? Quindi evitiamo ipocrisie. Sempre i grandi partiti hanno avuto leadership riconoscibili e forti. Il Partito Comunista quando fu guidato dal poco carismatico Natta, non ha caso, visse un periodo catastrofico.

Avere un leader che si fa capire, che ha un seguito popolare e non populista è un pregio, mica un difetto. E se Cuperlo e Civati non hanno capacità attrattiva mica è colpa di Renzi.

Con i media Renzi è bravissimo, ma spesso sono proprio i media, che educati con ventanni di TV berlusconiana, fatta di gossip e non di sostanza, di creazione di personaggi e non di persone, finiscono per ridicolizzare i contenuti del sindaco di Firenze, attraverso una rete di immagini e battute fuorvianti, che non danno spazio agli argomenti della sua proposta. Una TV mangia e bevi che come al solito banalizza e trita tutto nel solito teatrino mediatico.

La realtà è che all’attuale establishment, Renzi non sta bene. Chi oggi controlla tutto, televisione inclusa, ha terrore del rottamatore e dell’aria fresca e nuova che potrebbe arrivare.

Si ritiene orribile che nel paese dei raccomandati possa essere premiato il merito, che dall’attuale foresta pietrificata si possa arrivare ad una società viva, mobile ed attiva. Una società dove, inaudito, ci si possa occupare di tre milioni di giovani disoccupati e non solo e sempre dei pensionati o dei cassaintegrati. Dove si fa politica per amore del paese e non solo per un proprio meschino tornaconto.

Solo in tal senso si possono capire certi apriorismi e certi pregiudizi contro il sindaco fiorentino..

Nicola Guarino

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Nicola Guarino
Nicola Guarino, nato ad Avellino nel 1958, ma sin dall’infanzia ha vissuto a Napoli. Giornalista, già collaboratore de L'Unità e della rivista Nord/Sud, avvocato, direttore di festival cinematografici ed esperto di linguaggio cinematografico. Oggi insegna alla Sorbona presso la facoltà di lingua e letteratura, fa parte del dipartimento di filologia romanza presso l'Università di Parigi 12 a Créteil. Attualmente vive a Parigi. E’ socio fondatore di Altritaliani.

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