Intervista a Marco Spagnoli a 40 anni dalla morte di Anna Magnani.

Marco Spagnoli è un giornalista e critico cinematografico che a Venezia ha presentato il documentario: « Donne nel mito: Anna Magnani ad Hollywood« , film documentario per celebrare la grande attrice. L’abbiamo incontrato per il pubblico di Altritaliani.net.

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M.R. : A Venezia i documentari piacciono e vincono…

M.S.: Non solo a Venezia. La crisi del racconto di finzione del cinema italiano, sta portando a sempre più interessanti esplorazioni nel campo del cinema del reale, in virtù di un nuovo interesse del pubblico e per un benefico effetto collaterale della visione dei reality show. Un campanello d’allarme per il conformismo di alcuni sceneggiatori e di tanti produttori alla ricerca di una semplificazione del racconto che sembra non interessare nessuno, anche a fronte di un insistere su temi e trame, forse, abusati. La realtà interessa sempre più al pubblico di una finzione fragile e spesso banale.

M.R.: Considerata la sua ancora giovane età, cosa rappresenta, per lei, Anna Magnani?

M.S.: Un’icona. Anna Magnani è l’icona di un cinema del passato che non esiste più, ma da cui possiamo imparare ancora tanto. E’ il simbolo di una femminilità prepotente e anticonformista capace ancora oggi di commuovere e divertire tramite le sue interpretazioni, ma anche di affascinarci. E’ un simbolo, ma anche un monumento: una donna vera che a differenza di tante altre continua ad affascinare per la mitologia che la circonda, per il suo essere il simbolo di un’intera città come Roma.

M.R.: Come le è venuta alla mente l’idea di mostrare la Magnani ad Hollywood?

M.S.: Avevo incontrato i capi di Universal NBC Global Networks per parlare di un altro progetto e mi hanno chiesto se avevo qualche idea rispetto ad un possibile documentario su Anna Magnani in vista del quarantennale della sua scomparsa. Ci ho pensato qualche giorno e poi sono partito dalla mia stessa ignoranza del periodo hollywoodiano di Anna Magnani per approfondire quanto si vede nel documentario a partire dalla sua grande amicizia con Tennessee Williams di cui non conoscevo la profondità e la ‘portata’.

M.R.: Il ritratto che è riuscito a ricavare dell’attrice romana può suscitare interesse per chi non conosceva bene la sua vita. Come mai la sua bravura non ha suscitato grande interesse? Era troppo difficile per lei scalzare le Rita Hayworth e la Bett Davis?

M.S.: Non è solo questione d’arte o talento: la vita e la fortuna degli attori è spesso determinata dalle persone che le circondano, dagli agenti, dagli uffici stampa e – soprattutto – dalle occasioni. Non bisogna dimenticare che Anna Magnani è andata in America sulla soglia dei cinquant’anni. Un’età non facile per le attrici, in particolare, all’epoca. In più Hollywood non è un luogo per innovatori e talenti così particolari. La Magnani avrebbe dovuto adattarsi ad una serie di ruoli anche minori per arrivare ad altre parti più importanti. Inoltre, avrebbe dovuto trasferirsi negli USA, magari a New York e lavorare con l’Actor’s Studio e da lì concentrarsi su una nuova carriera.

M.R. : A quarant’anni dalla sua morte ci si aggrappa ancora alla sua icona e a tutto quel cinema attraversato dal neorealismo così ricco di talenti. Secondo il suo parere cosa manca oggi al cinema italiano? Coraggio, idee, soldi?

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M.S.: I soldi non ci sono, ma questo è secondario rispetto al fatto che quei pochi presenti vengono per la maggior parte delle volte impegnati per commedie così così e per un cinema d’autore, talora, autoreferenziale al massimo grado, al limite dello « jettatorio ». Non è un caso che il cinema più interessante prodotto in Italia sia quello delle opere prime o di alcuni registi il cui sguardo ha un respiro più ampio ed internazionale. Purtroppo le persone che decidono quale cinema viene fatto in Italia sono diventate troppo poche e le idee in circolo non possono necessariamente essere tantissime… In più il tema vero è che a fronte di un mercato bloccato le scelte dei film sono fatte per la maggior parte su valutazioni di ordine commerciale, forse, troppo restrittive e non adatte alla realtà circostante di un pubblico alla ricerca di stimoli e di (belle) sorprese.

In un’età in cui la narrativa della grande televisione americana arriva nelle nostre case o sui nostri computer quando vogliamo, sceneggiatori e produttori devono spremersi le meningi per convincere il pubblico ad uscire di casa,
parcheggiare, pagare un biglietto. Il che non è di per sé un male, anzi. È una sfida importante, che credo si possa raccogliere e si possa vincere. A patto di esserne consapevoli, perché se continuiamo ad insistere su commedie borghesi in un’epoca di crisi, beh…allora la realtà torna irrimediabilmente vincente per la sua forza emotiva e il suo riguardarci strettamente.

Massimo Rosin

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Massimo Rosin
Massimo Rosin nato a Venezia nel 1957. Appassionato di cinema, musica, letteratura, cucina, sport (nuoto in particolare). Vive e lavora nella Serenissima.

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