Cade il governo. Lo statista dei giorni pari.

Cade il governo a causa dei problemi personali di Berlusconi e della sua condanna definitiva. L’Italia è un paese in cui puo’ accadere finanche questo. Il segno dell’estrema decadenza politica e della necessità di un profondo cambiamento.


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Berlusconi dimissionando i suoi ministri, senza alcun confronto interno, dandone solo comunicazione al suo segretario Alfano, ha di fatto aperto la crisi di governo. Una scelta terribile, una pugnalata alle spalle agli italiani e ai suoi elettori. Ha ragione Giorgio Napolitano ad esprimere a voce alta la sua indignazione per cosa è diventata la politica in Italia. Ha ragione Letta a parlare di gesto folle ed irresponsabile.

Ha prevalso infine, l’interesse personale (ancora una volta del cavaliere), piuttosto che l’interesse generale del paese.

Alla riflessione generale sulla politica del Presidente Napolitano, aggiungo una riflessione particolare su cosa sono diventate la destra e la sinistra italiane.
Nell’Italia che attraversa, possiamo dirlo senza esagerare, una delle crisi più profonde della sua storia repubblicana, si tengono bloccate le grandi riforme che l’Europa reclama, ma che, al di là dell’Europa, sono essenziali per il rilancio produttivo ed economico del paese. Mentre va a pezzi il tessuto industriale del paese con l’ILVA a rischio chiusura per le sue note problematiche giudiziarie ed ambientali, l’Alitalia va verso la Francia a condizioni ben meno vantaggiose di quelle con cui anni dietro poteva darsi all’Air France, la Telecom (pare incredibilmente all’oscuro del suo Presidente Bernabè e senza neanche un’opa) viene ceduta, per un piatto di lenticchie, alla società spagnola Telefonica. Mentre accade questo ed altro, assistiamo all’ennesimo tragico scontro sul nulla tra Forza Italia (ex PDL) e il PD.

La politica italiana per due decenni è rimasta bloccata, in una stagnazione economica infinita, chiusa, anche culturalmente, in una guerra di posizione tra berlusconismo e antiberlusconismo, chiusa al mondo, in un mondo che stava cambiando.

Cosa è diventata la politica italiana se, mentre accade tutto questo, si passano due mesi per discutere del condannato in via definitiva Silvio Berlusconi e il PD, a causa del suo attuale gruppo dirigente, passa il suo tempo a discutere ancora una volta, di regole che già ci sono nello statuto per il nuovo congresso e addirittura si perde in estenuanti riunioni per definire la data congressuale, per il solo motivo di cercare d’impedire al suo vincitore (leggasi Renzi) di vincere?

Tutto questo, mentre i nulla facenti del M5S, dopo essersi per mesi combattuti sulle diarie e poi sulle regole interne, oggi si affidano alle dichiarazioni del loro blogger Grillo che propone solo invettive nella incapacità di offrire la benché minima strategia politica.

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Un paese il nostro affidato ad una classe politica priva di orizzonte, appiattita e priva di idee e spesso d’ideali, che, ad esempio, invece di tagliare gli inutili costi della politica, abolendo le provincie, di attuare le sempre promesse riforme della seconda parte della Costituzione, al fine di uscire dall’attuale empasse istituzionale, o di almeno, provedere a modificare la stupida ed infame legge elettorale attuale, continua a trastullarsi, in beghe interne che di politico non hanno nulla, di discutere di sentenze che in quanto definitive non andrebbero nemmeno commentate.

Nella drammatica situazione attuale, una politica sana avrebbe mille cose da fare, e provvedimenti da assumere, viceversa le poche cose fatte sono quasi tutte propagandistiche ed essenzialmente inutili se non dannose. Si era voluto dare l’illusione di togliere l’IMU, compiacendo il ricatto del PDL, che nascondeva con quell’azione il suo vero ed eterno scopo, offrire un salva condotto per il pregiudicato Berlusconi, mentre urgeva tagliare il cuneo fiscale per favorire una maggiore capacità d’investimento delle imprese, riducendo i costi record che il lavoro ha in Italia.

Siamo nelle mani di una politica irresponsabile, dove Letta a New York cerca di rassicurare gli investitori stranieri, promettendo stabilità, come ha ricordato dalle nostre pagini il politologo Diodato, venendo smentito dalle minacce continue imposte dal cavaliere e dai suoi. Le dimissioni di massa minacciate dai parlamentari PDL e poi il ritiro “d’autorità” dei ministri imposto da Berlusconi, con la conseguente inevitabile caduta del governo, proiettano un’immagine sinistra di follia, sulla credibilità di un paese già provata dagli ultimi anni di scandali, dando cosi un ulteriore segnale negativo ai possibili investitori stranieri..

Il tutto infischiandosene che i sindacati e Confindustria abbiano firmato un documento comune che chiedeva più lavoro e politiche per le imprese. Forza Italia dopo essersi imposta sull’IMU anche a favore di chi quella tassa poteva ottimamente pagarla, aveva reclamato il non aumento dell’IVA, cosa che ora dimentica nel nome del suo proprietario Berlusconi.

E’ evidente che la caduta del governo implicherà a partire da ottobre l’automatico aumento dell’imposta con tutti i suoi effetti su una situazione già grave di recessione. E’ questa la pugnalata che Berlusconi, dopo venti anni di “affari suoi” riserva agli italiani.

E’ di tutta evidenza che lo “statista” Berlusconi che volle di nuovo Napolitano per salvare l’Italia dal baratro, che invoco’ le grandi intese era ed è soltanto un bluffatore, che come sempre e come da sempre diciamo ha un solo interesse, i suoi affari o se preferite la sua persona, per la quale è pronto a sacrificare l’intera nazione. Muoia Sansone con tutti i filistei.

Gettata la maschera appare il volto di cultura mafiosa che ha caratterizzato il ventennio berlusconiano, un ventennio fondato sul disprezzo delle istituzioni e delle legge, ma in definitiva della stessa nazione, e che ha trovato terreno fertile in un paese che negli anni ha smarrito una già precaria cultura della legalità.

Ma anche la politica a sinistra non brilla se è vero che la nomenklatura PD più che preoccupata dell’attuale situazione italiana, si occupa di come impedire al vincitore Renzi di essere tale, preoccupandosi di bloccare ogni possibilità di rinnovamento della sua classe politica ma anche della sua linea politica, costi quel che costi, anche il riconsegnare, ancora una volta, il paese alla destra.

Ma lo sfogo di Napolitano ci induce a delle domande di fondo.

In quale paese occidentale sarebbe stato possibile tutto cio? In quale paese si sarebbe accettata per venti anni, un’anomalia come il berlusconismo? Perché questa anomalia non è stata rimossa prima? Quali effetti ha avuto questa anomalia sull’evoluzione della società italiana? In quale paese democratico, occidentale e civile un politico condannato in via definitiva, ricatta un intero paese perché non vuole che venga eseguita la sentenza definitiva che impone anche il cedere il proprio seggio senatoiale? In quale paese si puo’ impunemente accettare di negare lo stato di diritto?

Sono domande non facili, anche se le risposte possono sembrare scontate. Non sono facili perché mettono in gioco la società italiana tutta e il ruolo che almeno dagli anni ottanta ha avuto la politica italiana. Sono domande che richiederebbero un libro per poter descrivere compiutamente ogni passaggio che ci ha portato a questo stato di cose. Inevitabilmente, questa analisi sarà sommaria, ma cerchiamo solo di offrire qualche spunto di riflessione e discussione.

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In primo luogo va notato che il rapporto cittadini e politica ha subito numerosi colpi sul piano del consenso, mettendo a dura prova anche la credibilità democratica della politica. Ricordo che un primo allontanamento dalla partecipazione e da quella che negli anni settanta (in tempi di terrorismo e di stragi) era detta la vigilanza democratica, fu dato proprio dalle estenuanti vicende degli anni di piombo con il suo cimitero di morti ammazzati a sinistra come a destra e culminata con il tragico e desolante “affaire Moro”.

Dopo quell’omicidio, la credibilità delle istituzioni e dello stesso Stato inizio’ ad essere profondamente incrinata. Negli anni ottanta esplose il fenomeno del riflusso, che si espresse in varie forme. Il movimento femminista, che aveva rappresentato una forza attiva e presente in tutte le piazze italiane, si vide in poco tempo ridimensionare. Le sezioni politiche che nei primi anni settanta erano il punto d’incontro di tutti si svuotavano e le stesse organizzazioni e collettivi presenti nelle scuole e università, andarono sparendo. E’ da ricordare che, all’epoca, chi non si dedicava alla politica o non ne era informato era sostanzialmente emarginato dal consesso sociale.

Questo ritorno al privato, ebbe le sue colonne sonore, ebbe il suo cinema, vide il trasformarsi, direi finanche antropologico, dei suoi cittadini. Si andavano modificando il linguaggio, i gusti e finanche l’abbigliamento, si ando’ registrando una crescente esaltazione dell’individualismo in contrapposizione ad un collettivismo che forse, a volte, era stato finanche troppo presente. Cambiava la televisione e cosi, anni dopo la lottizzazione della RAI, iniziavano ad affermarsi prima le radio e poi le TV private.

Ecco allora arrivare la disco dance, forme nuove di divertimento, la lingua stessa inizia a cambiare, il “noi” tipico del politichese è sempre più sostituito dall’io, come affermazione della individuale soggettività in contrasto proprio con quel senso di appartenenza che aveva dominato per oltre trenta anni la vita sociale. Un io che si mette in competizione, dove le massaie vanno nelle varie televisioni private ad affermare una loro “presunta” libertà concedendo scadenti streep tease in tarda notte. L’illusione delle TV libere e plurali viene ben presto soppiantato dall’affermarsi di TV private.
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La Mediaset (Berlusconi) attraverso i suoi canali, rivoluziona l’uso espressivo del mezzo televisivo fornendo una televisione fisica ed urlata bombardata di pubblicità che va a travolgere i canoni pedagogici ed educativi della vecchia TV di Stato.

L’avanzata del senso civico degli italiani, sorretta da un costante richiamo alla cultura della legalità, che dalla liberazione dal fascismo, nel ricordo delle lotte partigiane, e poi nella ricostruzione del paese puntellato da aspre lotte operaie ed agrarie che avevano caratterizzato tutti gli anni cinquanta fino alla riprese economica e poi al “boom” con l’avvento di nuove problematiche, suscitate da un’autentica rivoluzione culturale, che scosse le famiglie, con una nuova visione della sessualità e dei rapporti finanche interni alla famiglia si era bloccata prima sotto le pistolettate e le bombe degli “oscuri” anni settanta e poi con una generale crisi della politica che ebbe il suo battesimo proprio a cavallo degli anni ottanta.

Lo sviluppo di una critica politica ando’ perdendosi, anche con la morte di intellettuali come Pasolini, voce troppo spesso solitaria in un contesto d’intellettuali che in Italia, convengo con chi la pensa cosi, come Erri De Luca, non ha mai brillato per particolare coraggio.

La parola d’ordine “il personale è politico” che in se conteneva un richiamo proprio al senso civico, alla regola di base che è in una solida educazione alla legalità, ovvero che il proprio credo politico deve riflettersi anche nella condotta di vita individuale, andava a frantumarsi.

E’ vero che la politica ha sempre avuto il vezzo di controllare ed influenzare ogni campo della vita degli italiani. A partire dalle nazionalizzazioni di cruciali settori dell’economia e nella costruzione di strategiche imprese pubbliche, ma è negli anni ’80 che inizia un uso scientifico di questa pratica per costruire un consenso che ormai è perso. In tal senso fu decisivo il declino del vecchio PSI e nel passaggio a Craxi, negli anni settanta, vi erano i prodromi del disastro politico italiano.
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Furono gravi le responsabilità di quello storico partito che si lascio’ invadere dal craxismo senza riuscire a controbattere e reagire in modo adeguato, limitandosi perlopiù a qualche critica interna senza posizioni chiare e nette. In questo il PSI trovo’ comodo sostegno nella DC e in una certa misura anche nel PCI. Sia chiaro, di fatto il PCI non ebbe mai un ruolo concretamente governativo, ma la pratica partitocratica e di lottizzazione del “sistema” non lo vide all’opposizione sul metodo. Berlinguer pose un tema che ancora oggi è di attualità: ” La questione morale”, ma quanto veramente il PCI seppe fare suo questo tema caro al suo segretario?

Dalla RAI alle cooperative, dall’ENI, a tutte le imprese pubbliche, fino ai servizi di amministrazione della cosa pubblica (Ferrovie, Poste, ecc.), il controllo della politica divenne sempre più forte ed invadente.

Potrei testimoniare che allora giovanissimo, mi fu proposta la segreteria della UIL ambiente di una regione, con tanto di scrivania e stipendio, purché “mi facessi” craxiano. Cosa che rifiutai sdegnosamente, malgrado all’epoca fossi pressocché disoccupato.

Ricordo sindacalisti della CGIL che invitavano a votare gli amici di Craxi o qualche uomo di Forlani o Andreotti solo perché avevano un figlio da “sistemare”.

Fu evidente che la crisi di fiducia nella politica “pulita” e fondata sull’ambizione del “bene comune” portava ad una politica incapace di raccogliere consensi a cercare nuove forme di adesione, meno trasparenti e quindi molto torbide. Quanto accadeva a Roma e a Milano, avveniva anche a livello locale in tutta Italia e fu chiaro che l’agibilità economica e finanche culturale era legata ad un sistema di clientele e corruzione che sempre più occupo’ capillarmente ed ossessivamente la vita degli italiani.

In un tale putibondo humus, la già precaria cultura della legalità ed il senso civico degli italiani, figli di una patria giovanissima e che non aveva, come non ha, una solida storia alle spalle, andarono disperdendosi.

Nei primi anni novanta. Tangentopoli e il sacrificio di Falcone e Borsellino, divennero l’emblema di una possibile “rinascita” italiana. Ma anche questi due episodi storicamente rilevanti e densi di significato, furono vanificati dai tessitori di una nuova, ma nello spirito vecchia visione della politica, tesa non al bene comune ma al mantenimento e consolidamento di privilegi di ogni sorta, da parte di alcuni gruppi di potere.

Eliminati da tangentopoli, i vari Forlani e Craxi e buona parte dei loro consiglieri e portaborse, eliminato dalla storia il PCI, con la caduta del muro, ma eliminato tutto il sistema del cosiddetto multipartitismo esasperato. Si apri’ la possibilità di rinnovare il sistema, di modernizzarlo, attraverso il maggioritario che soppiantava il proprorzionale (grazie al referendum di Mario Segni), si sperava in una profonda pulizia nel mondo politico con una liberazione effettiva della società e dell’economia, dai continui balzelli e ricatti a cui era stato sottoposta, si credette nella possibilità di voltare pagina ridando dignità alla repubblica.

Ma in realtà questa possibilità fu bloccata proprio dall’avvento del cavaliere che con la sua discesa in campo e la sua indubbia capacità di comunicatore, riusci’ a presentarsi non come l’innovatore, ma la sintesi di una società ormai ammalata nei suoi valori basici, nutrita di una televisione che proprio l’imprenditore Berlusconi aveva affermato con il compiacente aiuto di Craxi e i suoi. Un veleno che aveva finito per sacralizzare dei disvalori, come un credo per l’affermazione individuale, un modello populista e semplicista che trasformava l’analisi politica rigorosa in promesse e spot pubblicitari di facile appeal e molto ingannevoli.
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Il gruppo di potere si presentava questa volta senza la mediazione politica. Andando a perfezionare un’opera di destrutturazione dei valori su cui si era costruita la repubblica italiana antifascista e fondata sul lavoro. Un processo di revisione e stravolgimento dei principi cardini della società italiana cosi come era stata intesa nei primi decenni della sua vita.

Il paese che credette nel grande comunicatore che si opponeva ad una sinistra, che rivendicava le sue “mani pulite” convinta che questa bastasse a garantirle il successo elettorale. Una sinistra che tuttavia non sembrava capace di proporre quella modernizzazione e quella ‘nuova repubblica” che era, invece, magnificamente sintetizzata negli spot elettorali del cavaliere. Una sinistra che sottovaluto’ gravemente il fenomeno, pensando che la sua “gioiosa macchina da guerra” avrebbe spazzato via l’imprenditore di Arcore. Nella sinistra la sottovalutazione è frequente, basti ricordare l’ingloriosa fine del suo “smacchiatore”.

Da allora in poi, Berlusconi ha visto crescere enormemente le sue ricchezze e le sue società, mentre l’Italia è rimasta sostanzialmente paralizzata. In una stagnazione economica senza fine vedendo sfumare le possibilità di rilancio economico che altri (si veda la Germania) hanno saputo cogliere.

Non vi è stata alcuna riforma sostanziale, uno stillicidio di provvedimenti che hanno reso l’economia priva di una sua complessiva riprogrammazione industriale, finendo per essere sempre più involuta. Si sono evocate grandi opere, ma in realtà il paese è invecchiato nei suoi uomini e nelle sue cose e infrastrutture. Ha subito l’evoluzione del mondo, con i suoi fenomeni di globalizzazione senza riuscire a trarre vantaggio da queste occasioni. Ha visto finire in miseria il nord-est che negli anni ottanta era una grande risorsa di piccole e medie aziende, ha visto spegnersi il suo comparto industriale e immiserirsi le sue città.

Naturalmente in tanto degrado ha visto rifiorire le mafie, che sul piano degli investimenti e delle imprese sono indubbiamente spregiudicate e a loro modo capaci (basti pensare, ad esempio, all’affare rifiuti tossici), al punto da poter inquinare non solo i territori ma anche le istituzioni italiane non più solo nel mezzogiorno ma anche nel profondo nord.

L’assenza di politiche economiche ha gettato il paese nelle mani di speculatori che hanno derubato il paese senza quasi alcun contrasto (si pensi all’affare Parmalat, ma sulle diverse ruberie e scandali si sono scritti libri interi). Il meridione è in condizioni terzomondiste, mentre tutto il patrimonio culturale italiano è in un pesante abbandono e degrado (mancanza d’investimenti, si pensi al complesso parco archeologico italiano e alle sue attuali condizioni).

Mentre esplodeva la crisi economica mondiale, il paese era impegnato su temi come le intercettazioni telefoniche e a fare leggi “ad personam’ per salvare il capo della destra, si era dietro ai quotidiani scandali sessuali di Berlusconi. Il quale in verità era stato salvato anche dall’incapacità o dalla malafede di personaggi della sinistra come Violante o D’Alema, che ancora oggi hanno voce e consenso nel PD, mentre il conflitto d’interessi restava sempre tale e mai risolto.

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Mentre tutto questo accadeva e il paese soffriva enormemente con il suo numero crescente di disoccupati, per i suoi giovani cresciuti nel “benessere” e che si trovavano di colpo traditi nelle loro speranze e quel che è peggio abbandonati proprio da quella politica che li aveva illusi. Si consumava una sterile guerra di posizione tra berlusconismo e antiberlusconismo. Dove da una parte c’era un partito azienda che non aveva nessuna struttura democratica e partecipativa, che era dominato da un padrone che era pronto a cacciare finanche i suoi alleati (Fini) alla minima disubbidienza (in quale paese democratico vi è una destra cosi?), dall’altro lato un partito che con Prodi e Veltroni avviava un processo democratico per costruire un nuovo soggetto politico. Un percorso che ancora oggi fatica a completarsi per le interessate resistenze di una dirigenza vecchia ed inadeguata, che incapace di risolvere l’anomalia berlusconiana, fatica a togliersi dalla scena.

No, in nessun paese sarebbe stato tollerato qualcosa di simile. No, in nessun paese un condannato in via definitiva potrebbe dettare l’agenda politica di un governo e di un parlamento.

In Italia si. Perché in un paese che da oltre quarantanni ha perso il suo senso civico, la sua possibilità di partecipare (ma veramente, non nei modi grotteschi e fasulli proposti dai grillini), in un paese che ha smarrito la sua cultura della legalità, in un paese dove non suscita vergogna evadere le tasse, tanto che è una pratica diffusissima, in un paese dove intere generazioni hanno conosciuto solo Berlusconi e tutto il suo malcostume morale, dove si consiglia alle ragazze di prostituirsi per avere vantaggi nel lavoro, dove si chiama amico un dittatore come Putin, dove la corruzione è tornata peggiore dei tempi di Craxi, dove finanche condannati in via definitiva, si vuole imporre la propria presenza politica. In un paese in cui chi vale, non vale niente, tutto questo è possibile.

E’ per questo che bisognerebbe mandare via tutto questo teatrino, dare la possibilità alla destra e alla sinistra di ricostruire una dignità sociale e culturale all’Italia. E’ per questo che bisognerebbe cambiare lo scenario politico e i suoi attori, dando spazio ai tanti, giovani e meno giovani che vorrebbero ricostruire un’Italia nuova e responsabile.

Qualcuno la chiama terza repubblica. Chiamatela come volete ma che si faccia.
Il paese è stanco di attendere.

Nicola Guarino

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Nicola Guarino
Nicola Guarino, nato ad Avellino nel 1958, ma sin dall’infanzia ha vissuto a Napoli. Giornalista, già collaboratore de L'Unità e della rivista Nord/Sud, avvocato, direttore di festival cinematografici ed esperto di linguaggio cinematografico. Oggi insegna alla Sorbona presso la facoltà di lingua e letteratura, fa parte del dipartimento di filologia romanza presso l'Università di Parigi 12 a Créteil. Attualmente vive a Parigi. E’ socio fondatore di Altritaliani.

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