Venezia 70: Tra cronaca e storia con Amos Gitai e Patrice Leconte.

La mostra del Cinema di Venezia con Berlino è il festival più attento alla cultura e alla realtà del tempo. Ecco, insieme, un film di Gitai sulla convivenza israelo/palestinese, un racconto letterario di Leconte sull’amore alla vigilia della prima guerra mondiale tratto da un romanzo di Stefan Zweig e un documentario su Rumsfeld l’uomo di Bush di Errol Morris, un attento documentarista.

ANA ARABIA di Amos Gitai (Israele, Francia, 84‘, v.o. ebraico/arabo s/t inglese/italiano) con Yuval Scharf, Uri Gavriel, Norman Issa, Yussuf Abuwarda, Shady Srur, Assi Levy.

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L’israeliano Amos Gitai (Haifa, 1950), regista, sceneggiatore, documentarista, attraverso i suoi innumerevoli lavori (“Berlin-Jerusalem”, “Kadosh”, “Kippur”, “Eden”, “Carmel”) ha sempre sostenuto che una pacifica convivenza tra israeliani e palestinesi possa esistere sullo stesso territorio. Un’ulteriore conferma lo offre il suo ultimo film in concorso alla Mostra del Cinema: “Ana Arabia”.

La pellicola, girata con un unico piano sequenza della durata di 84’, mostra una giovane giornalista israeliana, Yael (l’attrice Yuval Sharf) che intervista un gruppo di arabi ed ebrei. Essi vivono insieme in un quartiere povero di tuguri cadenti al confine tra Jaffa e Bat Yam. Il motivo è quello di ricostruire la storia di una donna ebrea (l’Ana del titolo) morta da poco tempo che, scampata da un lager nazista, nell’immediato dopoguerra aveva raggiunto Israele e in quel quartiere (ora circondato da palazzi-alverari) aveva conosciuto un giovane arabo che poi era diventato suo marito. Col tempo erano nati dei figli e poi dei nipoti.

La giornalista ascolterà il marito, e poi i figli, ormai adulti, rimasti in quel povero quartiere, e una nuora; insieme a loro anche amici di famiglia, persone che sono nate e cresciute in quel luogo. Con un occhio documentaristico, basandosi su una storia vera, ma con la naturalezza di una recitazione di attori professionisti molto convincenti, Gitai con la macchina da presa esplora in un quieto pomeriggio, questo mondo di tolleranza e di pace che resiste in un angolo di Israele nonostante tutte le avversità e la degradazione. Un film intenso, molto dialogato e un po’ lento.

THE UNKNOWN KNOWN di Errol Morris (Usa, 105’, v.o. inglese s/t italiano) con Donald Rumsfeld.

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“The Unknown Known: The Life and Times of Donald Rumsfeld” (L’ignoto noto) è un documentario, sempre in concorso a Venezia 70, del regista Errol Morris (Long Island, N.Y., 1948) già autore di altre inchieste storico-politiche, tra le quali la più nota è “The Fog of War” (premio Oscar 2004 per la sezione documentaristica) dove ha raccontato la vita e le azioni di Robert McNamara, ascoltato consigliere politico durante la presidenza Kennedy. Con la stessa struttura, cioè basandosi su interviste dirette al protagonista, e confrontando le sue dichiarazioni con quelle svolte durante le conferenze stampa al Pentagono, Errol Morris pone al centro di questo suo ultimo lavoro Donald Rumsfeld, ex segretario alla Difesa degli Stati Uniti durante la presidenza Bush Jr. ripercorrendo la sua vita e le sue tappe politiche (era entrato alla Casa Bianca già con l’era Nixon) fino alle dimissioni dal dicastero dopo la scoperta da parte della stampa delle torture ai prigionieri musulmani nei campi detentivi in Iraq e a Guantanamo.

Utilizzando sia materiale di repertorio di stampa e televisione, sia quello messo a disposizione del vasto archivio di note e appunti dello stesso Rumsfeld, il regista ritrae, con scrupolosa attenzione, un personaggio ricco di luci (poche) e di ombre (molte) che è stato testimone sul campo degli ultimi avvenimenti (l’11 settembre, la guerra in Iraq) che hanno segnato la storia sia statunitense che mondiale.

Un bel lavoro di inchiesta, che cerca di far emergere quei fatti ignoti che, secondo Rumsfeld, invece sono “verità nota” e non ha nessun lato oscuro.

UNE PROMESSE di Patrice Leconte (Francia, Belgio, 95’, v.o. inglese s/t italiano) con Rebecca Hall, Alan Rickman, Richard Madden.

Une promesse: Rebecca Hall in una scena del film con Richard Madden

Fuori concorso è invece l’ultimo film del regista francese Patrice Leconte, “Une Promesse”. Basandosi sul romanzo “Il viaggio nel passato” di Stefan Zweig, Leconte (Parigi, 1947) autore di pellicole di successo (“Il marito della parrucchiera”, “Il profumo di Yvonne”, “L’insolito caso di Mr.Hire”, “L’uomo del treno”) con questo film ci riporta alle atmosfere in costume degli anni antecedenti la Prima Guerra Mondiale. In Germania, nel 1912, Friedrich (l’attore Richard Madden) un giovane di modeste origini, ma di grande talento, con laurea in metallurgia, entra a lavorare per un ricco magnate dell’acciaio, Karl Hoffmeister (Alan Rickman).

Quest’ultimo ben presto si renderà conto delle notevoli capacità lavorative del giovane e lo prenderà sotto la sua ala protettiva, al punto da ricevere sempre più incarichi di responsabilità all’interno della fabbrica. Friedrich verrà accolto nella casa del ricco proprietario, dove conoscerà la sua giovane moglie, Lotte (l’attrice Rebecca Hall) e suo figlio Otto.

Col tempo il rapporto tra Lotte e il giovane non sarà più una semplice amicizia; mentre le condizioni di salute del magnate si aggraveranno, Friedrich si innamorerà, ricambiato, di Lotte. Sarà poi un impegno di lavoro in Messico e poi lo scoppio della Prima Guerra Mondiale, a separare per ben otto anni i due segreti innamorati. Al suo rientro finalmente in patria, Friedrich troverà molte cose cambiate, ma non l’amore di Lotte.
“Une Promesse” è improntato sul genere melò classico, con accuratezza di ambientazioni ed interni. Tutti gli attori recitano impeccabilmente; tuttavia il film, molto calligrafico, non offre spunti di originalità e tutto sembra un “deja vu” (palpiti d’amore compresi) che però non lascia tracce emotive nello spettatore.

Da Venezia

Andrea Curcione

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