Venezia 70. Il pro e il contro, l’ultimo Gilliam: « Teorema Zero ».

Come spesso capita ai film del sempre “straordinario” Terry Gilliam anche il suo ultimo film, in concorso a Venezia, non lascia indifferenti. Su “The zero Theorem” ecco due opinioni divergenti. Un segnale che si tratta di un film che scatena riflessioni sulla società di oggi e anche sul cinema.

Pro

Londra, in un futuro non troppo lontano : Qohen Leth lavora sui computer ed ha una produttività altissima. Ma è ossessionato da una telefonata che deve assolutamente ricevere a casa. E chiede alla ditta alla quale lavora di poter lavorare dalla sua abitazione. Il grande capo, detto Management, esaudisce la sua richiesta e gli affida una missione segreta, trovare la soluzione al misterioso « Teorema Zero ». Leth si isola totalmente e si butta a capofitto nel nuovo lavoro. Fino a concludere che la soluzione non esiste. Il contatto con Bainsley, una femme fatale, gli sconvolge l’esistenza ….

Questo film è la dimostrazione che anche con una produzione indipendente, con pochi soldi, è possibile fare film grandi, ed anche grandiosi. Basta avere i talenti giusti. A cominciare dall’inarrivabile 73-enne di Minneapolis Terry Gilliam (Monty Python [1975], JABBERWOCKY [1977] , I BANDITI DEL TEMPO [1981], Brazil [1985], Le avventure del Barone di Munchausen [1988], PAURA E DELIRIO A LAS VEGAS [1998] , La leggenda del Re Pescatore [1991], L’esercito delle 12 scimmie [1996], I fratelli Grimm e l’incantevole strega [2005], Tideland – Il mondo capovolto [2005], Tideland – Il mondo capovolto [2005], Parnassus – L’uomo che voleva ingannare il diavolo [2009]).

Terry Gilliam ha deciso di fare questo film a giugno dell’anno scorso. E ad ottobre era già a Bucarest ad iniziare le riprese. Dopo aver convinto uno stuolo di talentuosissimi professionisti a lavorare senza compenso, per pura passione cinematografica e per il piacere e l’onore di lavorare con lui. Andando a comprare stoffe e vestiti a peso al mercatino dei cinesi , inventando scenografie che definire strepitose è riduttivo.

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Come per i film precedenti di Gilliam, ne vien fuori un sorprendente capolavoro di inventiva, di visionarietà. In cui ogni inquadratura è studiata nei minimi dettagli. In cui nulla è mai banale e scontato. Un sublime piacere degli occhi e dell’anima. Trovate brillanti, come la panoplia di decine di cartelli di divieto (anche i più assurdi) nel parco, oppure il gingle quando si apre la scatola della pizza da asporto. Surrealismo di qualità, coniugato ad un non comune spettacolarità.

Forti anche le tematiche e le taglienti denunce. Contro un mondo che perde sempre di più umanità. Dove tutto deve essere sempre più veloce e sempre con meno senso (anche la religione non funziona più : la metafora della chiesa bruciata dove vive il protagonista). Un meccanismo che stritola gli esseri umani, incapaci di ribellarsi al sistema. Riecheggiano le tematiche orwelliane di Brazil, aggiornate all’epoca dell’informatica e del controllo remoto, continuo ed assoluto su tutto e tutti. L’eroe di questo film, Qohen Leth, alla fine riesce a ribellarsi (anche se a carissimo prezzo), e diventa più forte, più sicuro di sé (consente al sole della realtà virtuale finalmente di tramontare).

Christoph Waltz è impeccabile e creativo, come sempre. Gli fa da spalla un magnifico e poliedrico attore di scuola inglese, David Thewlis. E, a parte un cameo di classe di Matt Damon, è da sottolineare la esplosiva, prorompente, deliziosa Mélanie Thierry (che oggi alla presentazione del film a Venezia, è arrivata con un bel pancione, già piuttosto pronunciato). E’ nata una nuova Brigitte Bardot. Da non perdere.

Frasi del film :

“ Sei stanco del Buddismo, non sopporti più Dianetics? Prova con Batman Redemption!”. (Annuncio pubblicitario digitale mobile ).

“Ti chiedi chi sei? Perché fai le cose che fai? ManCom, dare senso alle cose!”. (Annuncio pubblicitario digitale mobile ).

“mi piaci molto . massimo cervello, corpo minimalista!”. (Mélanie Thierry a Christoph Waltz).

“Che hai un topo in tasca? Perché parli al plurale?”. (Mélanie Thierry a Christoph Waltz).

Manager ha deciso di affidarti una missione molto importante : teorema zero, è una cosa segreta!”. (David Thewlis a Christoph Waltz).

“Bob chiama tutti Bob, dice che ricordarsi tutti i nomi delle persone è uno spreco di cellule neurali!”.

“Zero deve essere pari al 100%!”. (tormentone del sistema elettronico)


 “Chi sei tu?

 Risolvo problemi!”. (Christoph Waltz e Mélanie Thierry).

“io non faccio sesso. Non consentirò a nessuno di entrare dentro di me. Io sono per l’interfaccia tantrico bio-telematica!”. (Mélanie Thierry a Christoph Waltz).

“E’ questo il nostro destino finale. Un singolo punto di dimensioni zero!”. (Matt Damon a Christoph Waltz).

“La verità non è facile da mandare giù. Ma ti libera!”. (Matt Damon a Christoph Waltz).


 “Ci sono 33 tribù che considerano che l’anima sia nella parte inferiore dell’intestino. Ed hanno ragione. E pensa che le 33 tribù non hanno nessun contatto tra di loro e non sanno della esistenza delle altre. Come si piegherebbe allora che tutti hanno questa stessa convinzione?

 Dissenteria?”. (Mélanie Thierry e Christoph Waltz).

“Caos sintetizzato! …. Il caos paga!”. (Matt Damon a Christoph Waltz).

Da Venezia

Catello Masullo

*****

Contro

Gilliam prova a riflettere sulla società presente e quella immediatamente futura, immergendo in uno sgargiante domani di automobili elettriche, vestiti dai colori elettrici e cieli plumbei una società sempre più alienata, inseguita da pubblicità che teorizzano ricchezze irraggiungibili e offrono paradisi tropicali probabilmente irrimediabilmente perduti.

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Il lavoro è alienazione, o meglio tutta la vita, priva di qualunque senso, diventa costante alienazione. Una autoalienazione che raggiunge il suo massimo nella festa in cui ciascun invitato ascolta la propria musica e si riprende col proprio i-pad, una solitudine devastante eppure vissuta come il solo modo per stare insieme. Il film è la cronaca di un’esplosiva deriva da monadi deprivate dei sentimenti, delle idee, del contatto fisico, schiavizzate verso una produttività fine a se stessa.

Chi tira le file del sistema, obbliga i pochi che hanno ancora un briciolo di lucidità, per quanto straniati e destabilizzati non meno degli altri, a cercare le origini di tutto e la fine, l’esito finale della vita. Una ricerca ossessiva condotta dal protagonista, immerso tra il lavoro e la riscoperta delle emozioni, attraverso un amore che non riesce ad essere altro che virtuale, anche perché quando potrebbe concretizzarsi manca il coraggio, la forza, la certezza che non si tratti dell’ennesima manipolazione del sistema, che tutto controlla con occhiute e permanenti telecamere.

Il film tuttavia non offre idee nuove, certo non potrebbe offrire speranze di fronte a un declino non reversibile del così sistema occidentale, e il regista così si ingarbuglia tra espedienti comici o che almeno chiamano al sorriso e la cupezza generale, che travalica i fotogrammi e si fa concreta.

Ultimo è il buco nero, senso non-senso dell’universo e suo destino, anche della terra, con i suoi abitanti disperatamente decisi a fingere di non sapere, di non capire, a vivere illudendosi che quanto sta accadendo non li riguarda e non è da loro determinato, ma è solo la variabile impazzita di un mondo difficile da comprendere.
L’esito finale è la morte, il buco nero che tutto assorbirà, nel silenzio, mentre l’uomo arranca nella finzione per provare a sopravvivere.

Peccato Gilliam non riesca a dirci nulla di nuovo e abbia diretto un film che, tentennando tra registri diversi, che certo adopera con la consueta maestria, manca di restituirci la drammaticità di ciò di cui vuole parlare, ovvero una umanità alla deriva in un mondo ugualmente immerso in universo i cui esiti ultimo sono tragicamente scontati.

Davide Rossi

Istituto di Storia e Filosofia del Pensiero Contemporaneo – Locarno

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