Il futuro è già passato, e non ce ne siamo neanche accorti.

Il film “C’eravamo tanto amati” di Ettore Scola, riproposto di recente dalla televisione italiana è uno dei migliori omaggi alla storia recente d’Italia e al suo cinema. Possibilità, prospettive, illusioni, e quel futuro a portata di mano, che, come la sabbia stretta in un pugno, si lascia cadere.

Un capolavoro questo che avrà sempre un futuro.


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Ogni volta che si riesce a rivedere “C’eravamo tanto amati” di Ettore Scola, film che forse più di altri è l’autentica fotografia dell’Italia dal dopoguerra in poi, si viene spinti dentro ad una emozione non consueta, almeno per quelle generazioni che hanno raccolto il testimone incauto di troppe speranze seminate ed andate perdute nei decenni successivi. E per le cose che non si è riusciti a cambiare; e tutti un po’ delusi come i tre compagni così diversi e così avvinti dal sogno, e che solo la Resistenza, in un soffrire comune, aveva cimentati. Per il resto, il Tutto li inghiottirà, persino l’amore verso Luciana, amata (e riamata) dai tre.

“È l’affresco di un’epoca storica e di un’epica generazionale” – riflette lo scrittore Rocco Dibono. Ettore Scola lo ha girato nel 1974, scritto con Age e Scarpelli.
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“Il futuro è già passato, e non ce ne siamo neanche accorti” l’amara conclusione di Gianni (Vittorio Gassman) nel finale cocente di questo film fra i più profondi e nel contempo ilari della Storia del Cinema, è un bagno di nostalgia e di rancore, per come è andata la Storia della seconda metà del Novecento, e di come siamo finiti ora, mentre il futuro (auspicato da quegli idealisti, appassionati e pragmatici) è passato, senza nemmeno essercene accorti, fino ad oggi, in questa catastrofe estetica. Idealista come Nicola (Stefano Setta Flores), appassionato e coerente come Antonio (Nino Manfredi), pragmatico e un po’ cinico come Gianni (Vittorio Gassman). E Lei, Luciana (splendida come rare volte, Stefania Sandrelli) a fare da specchietto per le allodole, o da contraltare nei sentimenti di quella generazione che tanto aveva sofferto. Ma anche Elide (Giovanna Ralli) riesce a rilanciare quell’idea che solo la cultura consentirà di modificarsi, e forse avvilirsi all’idea che comunque non si approda verso un’auspicabile evoluzione collettiva.

Il titolo del film è il verso iniziale di una celebre canzone di Armando Gill del 1918, “Come pioveva” che pure era stato anche un cavallo di battaglia del giovane Vittorio De Sica. Il regista, che reciterà se stesso in un cammeo, è scomparso proprio mentre il film era in fase di montaggio, ed è per lui la dedica finale.
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Gianni, Antonio e Nicola si innamorano tutti di Luciana, e mediante l’amore per lei percorreranno la storia di trent’anni del dopoguerra italiano, vivendone le speranze e le delusioni di un futuro migliore che non si realizzerà come lo avevano sognato ai tempi delle lotte partigiane. Scola identifica dunque in Antonio, colui che non svende i propri ideali a costo di emarginazione e sacrifici, e in Nicola i movimenti intellettuali del dopoguerra, privi di base popolare e politicamente inconcludenti. Gianni rappresenta invece l’idealismo che viene a compromessi con il potere e che a esso si vende per denaro, accusa che allora veniva rivolta dalla sinistra ai partiti che governavano insieme alla Democrazia Cristiana. Luciana, infine, rappresenta un po’ l’Italia, da tutti e tre amata e da due di loro delusa, che alla fine rimarrà con chi non l’ha mai tradita, Antonio (che non ha tradito neanche i suoi principi).

Intrallazzi e potere, palazzinari ignoranti e corrotti, efficacemente impersonati da Aldo Fabrizi, in una delle sue ultime interpretazioni cinematografiche.

Il film è una ilare quanto concreta radiografia, vista da sinistra, delle occasioni mancate, delle energie sciupate, delle speranze e degli ideali traditi.

La fotografia ci regala immagini dapprima in bianco e nero, per poi passare al colore a metà del film, in una scena di commiato dei tre amici l’uno dall’altro,destinati a ritrovarsi solo dopo 25 anni. Emblematica l’inquadratura del passaggio al colore, sull’inquadratura di una Sacra Famiglia dipinta sul pavimento di una piazza da un madonnaro. A simboleggiare la rapida e per certi versi traumatica trasformazione in quel periodo della storia d’Italia, da paese agricolo e arretrato a paese industriale e moderno, nel segno (forse) di una religiosità che viene dal basso.

Film corale, fra i meglio riusciti degli anni ’70, con citazioni appassionate del neorealismo di Vittorio De Sica (“Ladri di biciclette”); ma anche di Federico Fellini mentre gira la scena della Fontana di Trevi de “La dolce vita” con Marcello Mastroianni: i due geni nel ruolo autoironico di se stessi. Pure la Televisione, quella di Mike Bongiorno (nella citazione di Lascia o raddoppia) ha una sua citazione d’autore. La colonna sonora del film è del grande Armando Trovajoli.

Possibilità, prospettive, illusioni, e quel futuro a portata di mano, che, come la sabbia stretta in un pugno, si lascia cadere. “…E non ce ne siamo neanche accorti.”

Armando Lostaglio

TRAILER DEL FILM

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Armando Lostaglio
ARMANDO LOSTAGLIO iscritto all'Ordine dei Giornalisti di Basilicata; fondatore del CineClub Vittorio De Sica - Cinit di Rionero in Vulture nel 1994 con oltre 150 iscritti; promotore di altri cinecircoli Cinit, e di mostre di cinema per scuole, carceri, centri anziani; autore di testi di cinema: Sequenze (La Nuova del Sud, 2006); Schermi Riflessi (EditricErmes, 2011); autore dei docufilm: Albe dentro l'imbrunire (2012); Il genio contro - Guy Debord e il cinema nell'avangardia (2013); La strada meno battura - a cavallo sulla Via Herculia (2014); Il cinema e il Blues (2016); Il cinema e il brigantaggio (2017). Collaboratore di riviste e giornali: La Nuova del Sud, e web Altritaliani (Parigi), Cabiria, Francavillainforma; Tg7 Basilicata.

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