La magica realtà del Quaderno quadrone – Che mestieri fantastici!

Intervista a Massimo De Nardo, autore con il disegnatore Tullio Pericoli del formidabile ed inconsueto: “Quaderno quadrone, che mestieri fantastici!” pubblicato dalla casa editrice Rrose Sélavy. Un’operazione culturale che vede coinvolto l’anagrammista Stefano Bartezzaghi. Un “miracolo” editoriale ricco di fantasia che ci permette di vedere la realtà sotto altri occhi.


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Chi l’ha detto che in tempi di crisi non c’è spazio per le favole? Il libro di De Nardo, Pericoli e Bartezzaghi si basa su due racconti dai titoli suggestivi: “Il riparatore di nuvole” e “Il cercatore di parole”. I protagonisti non a caso si chiamano Nimbo e Dizzy con riferimento alle nuvole e al dizionario. Nuvole e parole che sono di passaggio, che vanno ricercate e a volte riparate, che ci allargano gli orizzonti e ci rendono più viva la visuale. Un racconto plurale dove il testo e gli anagrammi, giocano e dialogano con le magnifiche illustrazioni di Tullio Pericoli. Una favola….? forse, ma attenzione perché questo (libro…librone) parla all’uomo che cresce in ogni bambino ma anche al bambino che resta prigioniero (ma che evade con un libro cosi) dentro ognuno di noi. Una « combinazione magica » ricca di stupore ma anche capace di far riflettere e sorridere, con il suo gioco di nuvole e parole, di ecologia e purezza in un tempo che cerca di ritrovare l’innocenza dei suoi valori.

Nelle intenzioni degli editori, “Che mestieri fantastici!” è soltanto la prima pubblicazione della collana «Quaderno quadrone», che, ci si augura, possa proseguire il suo percorso con nuovi lavori in cui le parole (il “quaderno”) riescano nuovamente a fondersi armoniosamente insieme alle immagini (“il quadrone”).

Abbiamo incontrato Massimo De Nardo. Ecco cosa ci ha detto.

Intervista a Massimo De Nardo

Francesca Sensini per Altritaliani: Fin dalle primissime parole che leggiamo sulla copertina di questo libro, entriamo nella dimensione del gioco – di parole ma anche gioco “tout court” – e della ricerca di una parola capace di dare senso, o di dare un senso nuovo alla realtà che cerchiamo di nominare, di esprimere linguisticamente. Faccio riferimento naturalmente al bisticcio (o meglio all’anagramma) «quaderno quadrone».
Ci può spiegare meglio cosa è il «quaderno quadrone» e quali sensi prende nel suo progetto di scrittura (e forse di una collana a venire)?

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Massimo De Nardo: Quadrone è l’anagramma di quaderno. Grande quadro, dunque, perché in questo quaderno, come in altri auspicabili futuri quaderni, le immagini hanno un ruolo fondamentale. Non commentano, si affiancano al testo. Vanno insieme. Si fanno compagnia, e speriamo che siano – testo e immagini – di buona compagnia anche per il lettore.

Sì, c’è il gioco, da subito. L’intenzione del “Quaderno quadrone” è di cogliere la parte più malleabile delle parole per trasformarle, senza tuttavia alterarle, ma prendendo ciò che hanno già dentro o trovando parole nuove dalla combinazione con altre parole. Gli anagrammi sono l’esempio più semplice di quello che sto dicendo. La parola che contiene un’altra parola, bè, questo non solo meraviglia, ma è un modo per iniziare a raccontare. Ad esempio, anagrammando la parola “bibliotecario” viene fuori “beato coi libri”. Non è straordinario? È già l’inizio di una piccola storia: abbiamo un personaggio, uno stato d’animo, un luogo. Raccontare è, ne sono convinto, un’azione sociale, perché si fa insieme a qualcun altro. Io racconto, tu ascolti e intervieni con altre parole e io ascolto, e così di seguito.

F.S.: Partendo dal presupposto che i disegni di Tullio Pericoli non sono propriamente illustrazioni dei suoi due racconti – “Il riparatore di nuvole” e “ Il cercatore di parole” – ma disegni indipendenti da essi, con un proprio racconto silenzioso, qual è la relazione che avete voluto creare, in « Mestieri fantastici », tra parola e immagine?

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M. De N.: Come accennavo prima, le immagini sono protagoniste come le parole. Dopo aver scritto i due racconti, ho subito pensato alle nuvole di Tullio Pericoli e ai suoi libri dentro altri libri. Le sue nuvole sono magnifiche. Pericoli le ha disegnate facendo riferimento all’Isola di Robinson; Nimbo le ha viste e le ha fatte sue. Dizzy ha sfogliato il grande libro che contiene altri libri e lì ha trovato le parole che cercava. E così è venuta fuori questa “combinazione magica” tra il mio testo e i suoi disegni. Tullio Pericoli (che non finirò mai di ringraziare) ha usato proprio questa espressione durante la trasmissione Le storie, condotta da Corrado Augias, su Rai 3, alla quale siamo stati invitati il 2 aprile: “Una combinazione magica”. Mi ha fatto piacere, immensamente piacere. Quello che volevamo creare è un piccolo stupore. Con le immagini lo stupore è immediato, anche se poi conviene soffermarsi sui particolari; in un testo quello stupore bisogna andarlo a trovare leggendo anche tra le righe, cogliendo un tipo di frase, accorgendosi di un suggerimento simbolico. In questi due racconti tutto è comunque chiaro, subito svelato.

F.S.: I giochi linguistici – le ambiguità proprie delle parole tra loro, omografi, omofoni, anagrammi, bisticci e quant’altro – sono per lei una fonte ricorrente di ispirazione. Penso, in particolare, a Se dici parole, 16 parole, sedici omografi in forma di racconto (2006, Nicola Milano Editore). Qual è il loro fascino, quali sono le loro potenzialità per lei?

M. De N.: I sedici omografi scelti per Se dici parole, 16 parole (e che si trovano in un libro di scuola, Guida di italiano per la classe V) svelano non tanto l’ambiguità delle parole (se a volte lo sono, ambigue, è solo colpa nostra) quanto la ricchezza dei significati partendo da una identica etimologia o da una sconosciuta somiglianza. “Amare”, per esempio (uno dei sedici omografi), è verbo – un bellissimo verbo – e anche aggettivo (le cose amare, cioè non dolci). Oppure “credenza”, che è un mobile e anche un’idea che ha a che fare con le religioni, con le tradizioni popolari, con la superstizione. Oppure “mondo”, che vuol dire pulito, ed è anche il nostro mondo, il nostro pianeta, che invece stiamo sporcando.

F.S.: Ne Il riparatore di nuvole è evidente la coscienza ecologica, in senso lato, del protagonista, Nimbo. Nimbo non vuole, dopo i suoi interventi, lasciare il cielo in disordine o sporcarlo, lasciando in giro, attrezzi o altro materiale di lavoro, perché «sarebbe un dispetto che faremmo solo a noi stessi». In altri momenti, si esprime in toni risentiti contro la pratica della caccia e delle ragioni superficiali, se non francamente irricevibili, che la motivano. Qui la realtà entra nella finzione del racconto; qual è, secondo lei, il contributo che la dimensione fantastica può dare a quella della riflessione sui problemi della realtà e sul nostro ruolo nella loro risoluzione?

M. De N.: Un contributo enorme, indispensabile. La realtà diventa più reale se osservata con sguardo fantastico. Non è un controsenso. La realtà, attraverso il linguaggio, è un accumulo di similitudini, analogie, metafore, modi di dire. La fantasia è il traduttore delle nostre emozioni, dei nostri stati d’animo, dei nostri pensieri, aiuta ad esprimerci meglio e con maggiore efficacia quando la usiamo al momento giusto.

F.S.: Abbiamo detto di Nimbo, nome ‘parlante’ – nuvola di luce sulla testa di divinità e affini, latinismo per «nembo», nuvolone scuro, portatore di pioggia (e Nembo Kid c’entra qualcosa, mi chiedo? Chissà) – del tutto appropriato al mestiere del riparatore di nuvole. Il cercatore di parole, invece, si chiama Dizzy che in inglese vale per « frastornato, confuso ». Sembrerebbe un nome antinomico, visto che Dizzy è tutt’altro che confuso; anzi, aiuta coloro che confusi non trovano la parola giusta. Come mai la scelta di questo nome?

M. De N.: Semplicemente perché Dizzy è l’inizio di “Dizionario”. Non ho pensato ai significati che ora lei mi indica. E nemmeno a Dizzy Gillespie, anche se amo molto il jazz. Non mi sono preoccupato dei significati che sarebbero venuti fuori nelle altre lingue. Forse avrei potuto farci caso. Quando vorranno tradurlo in inglese (un augurio?) vedremo di “aggiustare il nome”. O forse lo lasceremo così.

Il cercatore di parole

F.S.: Ma qual è poi questa “parole giusta” che Dizzy non riesce a trovare, anche se non per colpa sua?

M. De N.: Dizzy non la trova e di conseguenza la sua ricerca resta in sospeso. È una soluzione voluta, perché molto spesso non abbiamo le risposte giuste.

F.S.: Le nuvole e le parole non sembrano affatto due ambiti sganciati l’uno dell’altro. Nella sua introduzione al libro, Stefano Bartezzaghi scrive che «le parole sono come nuvole di gesso scritte sul cielo di una lavagna: basta riguardarle dopo poco tempo e hanno già cambiato forma, sembrano qualcos’altro.» Accanto a questa natura cangiante, multiforme ed effimera, hanno altro in comune tra loro nuvole e parole, Nimbo e Dizzy?

M. De N.: La definizione di Bartezzaghi è perfetta. Nel “Riparatore di nuvole” io scrivo che le nuvole invecchiano (e invecchiano presto), perché cambiando forma sono vive, e, si sa, tutto ciò che vive invecchia, a prescindere dalla durata del tempo che passa. È il “bisogno delle somiglianze” che ci permette di rendere familiare quello che conosciamo e, soprattutto, quello che conosciamo poco. Il bisogno di far assomigliare, per esempio, un luogo ad un altro luogo, un oggetto ad un altro oggetto, così non ci disorientiamo. Lo facciamo anche con le nuvole dando loro una forma: quella nuvola assomiglia ad un animale, ad un viso, eccetera.

F.S.: Nelle “Nuvole” di Aristofane, le Nuvole stesse, che formano il coro della commedia, sono la personificazione della moderna filosofia e dei sofisti – di cui Socrate diventa qui un rappresentante, in qualche modo – che ‘giocano’ abilmente colle parole per avere ragione degli altri, a discapito della verità, nascosta dalla fumosità dei loro discorsi.
Le sue nuvole – e le sue parole-nuvole – sono di tutt’altro registro. Qual è la loro specificità e il loro contributo nel trovare la “parola giusta”?

Nuvole

M. De N.: Le nuvole, quando ci sono, trasformano il cielo in un contenitore, in uno spazio a tre dimensioni. E dentro questo contenitore possiamo metterci tutto, pure la nostra vita. Forse sarà per questo che i pittori scelgono più spesso cieli con le nuvole. Le nuvole si fanno guardare per le loro forme, i loro colori. Accanto alla “visone pittorica” c’è l’aspetto pratico: la pioggia, la neve, il freddo, il caldo. Nuvole e previsioni meteo sono il nostro interesse di fine giornata, per il giorno dopo. Le nuvole di Nimbo sono belle nella forma (merito di Pericoli) e nei loro nomi (merito della meteorologia). Hanno dei nomi misteriosi, fantastici: le Canizie di Patriarca, le Piume di Fuoco, le Capelveneri serene, le Corredo di Bimba, le Nudi e Frutta. Non sono andato a cercarne i significati, sono nomi belli, alcuni molti enigmatici, meglio lasciarli così, sospesi. Io non penso che le “mie” nuvole aiutino a trovare “la parola giusta” (è più adatto Dizzy, in questo); so che hanno bisogno di essere riparate – come tutte le cose di questo strano mondo – perché a volte contengono più pioggia del necessario, altre volte sono secche. Nimbo le ripara per farle funzionare bene. Non è ricerca della perfezione e nemmeno bisogno di equilibrio (due condizioni impossibili), semplicemente si sta meglio quando le “cose” funzionano. Niente di più elementare. E senza troppi giri di parole.

F.S.: Il gioco – con le parole, con i disegni – è senz’altro uno degli aspetti più specifici e affascinanti dell’infanzia. Nel gioco si crea la nostra propria realtà, il reale che più ci corrisponde. Ma come possiamo giocare con la realtà anche fuori della dimensione del racconto? Qualche suggerimento?

M. De N.: Difficile dare suggerimenti. Giocare con la realtà anche fuori della dimensione del racconto? Credo sia impossibile. Il linguaggio (verbale e visivo) mette in relazione le persone tra di loro, le fa comunicare, crea, come ho già detto, un’azione sociale, un risultato socializzante. Quindi, non dobbiamo mai smettere di “raccontarci e raccontare” la nostra vita.

Nella rivista Andersen, di aprile, Walter Fochesato ha scritto che Il riparatore di nuvole e Il cercatore di parole sono due racconti «di taglio surreale che non dimenticano la lezione di Rodari». Aggiungendo che Il Quaderno quadrone è «un’opera inconsueta, divertente e divertita. Per tutti». La lezione di Rodari c’è, voluta, cercata e anche inconsciamente seguita. Gianni Rodari è prezioso, almeno per me. E a proposito del rapporto fantasia-realtà, vorrei ricordare una frase di Rodari, che spiega ottimamente cos’è e a cosa serve l’immaginazione: «L’immaginazione non è fuga dalla realtà, ma conquista di una realtà più vera di quella che si rivela ad una vista ingenua: la realtà delle cose che non si vedono, la realtà delle cose possibili». Come si fa a non essere rodariani? Anche Nimbo e Dizzy la pensano così.

Intervista di Francesca Sensini

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Quaderno quadrone Che mestieri fantastici!
di Massimo De Nardo, con disegni di Tullio Pericoli e anagrammi di Stefano Bartezzaghi.
Pubblicazione edita da Rrose Sélavy, novembre 2012.

Massimo De Nardo

Gli autori:

Massimo De Nardo (Macerata, 1951), copywriter, responsabile di Rrose, trimestrale sulla creatività. Autore di testi teatrali e di racconti. Ha scritto Se dici parole, 16 parole (omografi), in Guida di italiano, per la V elementare (Nicola Milano Editore, 2006); Ogni tanto fatela suonare (romanzo, in ebook, Gruppo Gems, 2010).

Tullio Pericoli (Colli del Tronto, 1936), disegnatore, pittore. Ha collaborato e collabora con giornali italiani e stranieri. Ha disegnato scene e costumi per il teatro. Ultime pubblicazioni: Attraverso l’albero, una piccola storia dell’arte (Adelphi, 2012); 80 ritratti per 10 autori (Mondadori, 2012). La sua “avventura d’artista”, dalla provincia ascolana a Milano, è descritta da Silvia Ballestra in Le colline di fronte (Rizzoli, 2011).

Stefano Bartezzaghi (Milano, 1962) scrive di anagrammi e qualcos’altro su la Repubblica. Insegna Teorie della creatività allo Iulm. I suoi libri più recenti sono: Come dire (Mondadori, 2011); Una telefonata con Primo Levi (Einaudi, 2012); Dando buca a Godot (Einaudi, 2012).

Links: http://www.massimodenardo.it; http://www.rroseselavy.org

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Francesca Sensini
Francesca Irene Sensini è professoressa associata di Italianistica presso la Facoltà di Lingue e Letterature Straniere dell’Università Nice Sophia Antipolis, dottoressa di ricerca dell’Università Paris IV Sorbonne e dell’Università degli Studi di Genova. Comparatista di formazione, dedica le sue ricerche alle riletture e all’ermeneutica dell’antichità classica tra il XVIII e l’inizio del XX secolo in Italia e in Europa, nonché alle rappresentazioni letterarie e più generalmente culturali legate al genere.

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