L’addio a Benedetto Gravagnuolo, gran signore del territorio e della razionalità urbana.

Ci ha lasciato Benedetto Gravagnuolo, ex preside della facoltà di Architettura dell’università Federico II di Napoli, uno tra i grandi urbanisti del secolo scorso e dell’inizio di questo terzo millennio. Per lui il recupero e la riqualificazione delle periferie di Napoli, Scampia e Secondigliano in particolare, era, in assoluto, la più urgente delle priorità urbanistiche di Napoli. Ha speso la propria esistenza per migliorare le condizioni di vita in quella che diventa sempre più difficile definire Città.

Ci sono momenti che ti segnano la vita per l’importanza del personaggio che incontri, per il bagaglio di idee che ti propone, ma soprattutto per la grandezza del messaggio che ti affida, facendolo filtrare con umiltà, dote dei grandi, tali proprio perche non ti fanno pesare la loro grandezza, fatta soprattutto di immensa umanità.

Benedetto Gravagnuolo

L’occasione dell’incontro con Benedetto Gravagnuolo fu la ricerca voluta e promossa da Vincenzo D’Onofrio, presidente del Comitato per la Qualità del Vivere, sulle periferie di Napoli ed il loro recupero urbanistico.

Ricerca che coinvolse quattro Università italiane (Federico II e Parthenope di Napoli, Università di Salerno e Cattolica di Milano), Università Ramòn Llull di Barcellona, l’Atelier parisien d’Urbanisme e l’Ecole Nationale Superieure d’Architecture de Paris-Belleville.

Lo studio coinvolse per due anni urbanisti, sociologi ed economisti, il cui lavoro, attraverso numerosi convegni, fu portato a sintesi in un volume dal titolo “Il Recupero delle periferie di Napoli”, dove l’impegno convinto di Gravagnuolo prese corpo in un lungo intervento dal tema “La speranza progettuale per la riqualificazione della periferia nord di Napoli.”

Per l’urbanista napoletano la riqualificazione delle periferie, e di Scampia in particolare, era, ed è, in assoluto la più urgente delle priorità urbanistiche di Napoli, ragioni etiche, prima ancora che tecniche ad imporre tale urgenza. Tutt’al più gli interrogativi possono vertere non sul se, ma sul come intervenire. A Napoli, ancor più che in altre città italiane, nella seconda metà del XX secolo, l’estensione delle periferie è stata abnorme e indicare l’abusivismo o l’assenza di pianificazione come cause primarie della degenerazione del costruire è, a parere dell’urbanista napoletano, una scorciatoia concettuale, priva di fondamento storicamente verificabile.

Le periferie sono l’esito di una caotica sommatoria di interventi pubblici mal coordinati, di pianificazioni settoriali, di infrastrutture deturpanti, di amorfi agglomerati di alloggi sociali e di attrezzature collettive prive di qualità architettonica.

Continuare ad aggiungere, a parere dello studioso, in queste lande senza forma urbana, nuove quantità di alloggi + servizi + verde, solo per rispondere alle astratte numerologie degli standard, equivarrebbe ad un’ostinata volontà di perseverare negli errori della cattiva pianificazione. E’ un problema di qualità. Se è vero che Secondigliano e Scampia sono periferici rispetto a piazza Dante o a piazza dei Martiri, resta innegabile che essi sono comunque centrali nel più vasto ambito dell’area metropolitana. Ed è una condizione topografica che va colta come straordinaria opportunità.

Scampia

Del resto, Scampia è solo un esempio, la punta di un malessere diffuso. C’è da chiedersi, piuttosto, quale interrelazione possa innescarsi tra il degrado urbano ed i comportamenti violenti o criminali. Non è facile rispondere a tale interrogativo, a meno di non voler ricorrere alle formulette del determinismo socioeconomico. Ma è fuorviante confondere i carnefici con le vittime, i camorristi con la stragrande maggioranza dei cittadini onesti che subiscono l’oppressione criminale.

Fuor di metafora, sarebbe irresponsabile (per usare un eufemismo) dare per perduta una parte significativa della nostra città (o, ancor peggio, l’intera Napoli). Dilungarsi nella ricerca delle colpe, a parere dell’urbanista, è un esercizio critico che rientra ormai a pieno titolo nel campo della storiografia. E’ evidente che il peccato originario risale alla fine degli anni Sessanta, quando, credendo di rispondere all’ingente domanda sociale di case, si è realizzato nella periferia nord un quartiere di casermoni per circa settantamila abitanti senza progettare una forma urbana.

Scampia e Secondigliano: un mostro scaturito da un collettivo sonno della ragione.

L’errore più eclatante è stato l’aver concentrato una sola classe sociale in un luogo senza qualità, senza una piazza e senza centri di aggregazione, accumulando aritmeticamente, ma disordinatamente, residenze, infrastrutture e attrezzature sociali senza un disegno civile.

Gravagnuolo conclude la sua riflessione rivolgendo l’invito, nessuno escluso, a trasformare un non luogo in una parte moderna della città, individuando con lucidità interventi puntuali atti ad innescare processi collaterali di rigenerazione.
E’ il modo per evitare che la città contemporanea diventi sempre più una gabbia angusta, per dirla con Corrado Beguinot, altro noto urbanista che ha svolto un ruolo importante nella Ricerca, un contenitore all’interno del quale si consumano i più atroci delitti.

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Le periferie sono ancora là e chissà per quanto tempo mostreranno effetti che sembrano diventare sempre più irreversibili.

La città è diventata un killer, spietato, e pare che sia giunta l’ora che l’istituzione, se non vuole assurgere al ruolo di mandante di questo killer, si procuri di rimuovere le cause di questo disagio che vede coinvolte nazioni che fino a qualche anno fa erano l’esempio di città esemplari di vivibiltà assoluta.

E’ da qualche tempo che anche i paesi scandinavi sviluppano momenti di insopportabilità di convivenza civile. Sarà il segno dei tempi, ma credo che compito primario dei governanti sia quello di far tesoro delle raccomandazioni di chi, come Benedetto Gravagnuolo, ha speso la propria esistenza per migliorare le condizioni di vita in quelle che diventa sempre più difficile definire Città, ma che presentano col passare del tempo solo connotati di agglomarati informi.

Addio Benedetto, grazie per la lezione che ci hai donato. Lassù nell’altrove dove ti sei recato, avrai senz’altro occasione di poter godere il disegno urbanistico accattivante e le bellezza architettonica di un territorio superiore, quello della città celeste.

Raffaele Bussi

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Raffaele Bussi
Raffaele Bussi è nato a Castellammare di Stabia. Giornalista, scrittore e saggista, collabora con importanti quotidiani e periodici nazionali. Ha collaborato a "Nord e Sud", "Ragionamenti", e successivamente a "Meridione. Sud e Nord del Mondo", rivista fondata e diretta da Guido D'Agostino. E' stato direttore editoriale della rivista "Artepresente". Collabora al portale parigino "Altritaliani" e alla rivista "La Civiltà Cattolica". Ha pubblicato "L'Utopia possibile", Vite di Striscio", "Il fotografo e la Città", "Il Signore in bianco", "Santuari", "Le lune del Tirreno", "I picari di Maffeo" (Premio Capri 2013 per la critica letteraria), "All'ombra dell'isola azzurra", romanzo tradotto in lingua russa per i tipi dell'editore Aleteya, "Ulisse e il cappellaio cieco" (2019). Per Marcianum Press ha pubblicato: "Michele T. (2020, Premio Sele d'Oro Mezzoggiorno), "Chaos" (2021), "L'estasi di Chiara" (2022), "Servi e Satrapi" (2023).

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