Lavoro e (è) Democrazia.

Il diario del nostro Italo Stellon Presidente dell’INCA-CGIL di Parigi che ha partecipato alla “storica” manifestazione di Piazza S. Giovanni del 22 giugno che ha visto riunire insieme i sindacati nella lotta per il lavoro. Tra disoccupati, giovani disoccupati, cassaintegrati, esodati, precari, un diario completo (di temi ed emozioni) nel disperato universo del non-lavoro, in questa Italia nella tempesta della peggiore crisi economica della sua storia.

« Mi dica, in coscienza, lei può considerare veramente libero un uomo che ha fame, che è nella miseria, che non ha lavoro, che è umiliato perché non sa come mantenere i suoi figli e educarli? Questo non è un uomo libero! Sarà libero di bestemmiare, di imprecare, ma questa non è la libertà che intendo io”.

(Sandro Pertini)

Palloncini rossi, verdi e blu hanno colorato Piazza San Giovanni a Roma, i colori dei tre sindacati confederali che dopo 10 anni sono tornati a riempire la storica piazza romana con le parole d’ordine ‘Lavoro è Democrazia’.

La ricostruzione animata del quadro : Quarto Stato di da Volpedo

Certo che il primo impatto con la manifestazione arrivando a Piazzale dei Partigiani è mi ha prodotto sensazioni forti. Davanti a me un gruppo di manifestanti della CISL con le loro bandiere Bianche e Verdi e immediatamente due sentimenti contrapposti: voglia dei battere le mani e dire “bentornati”, voglia di gridare a voce alta “ma dove eravate in questi ultimi 10 anni”.

Poi l’incontro con le bandiere della Cgil e l’animo che si placa salutando vecchie amiche e amici che mi considerano “il Parigino”. Immediata la domanda “ma da voi come va?”. Immediata la risposta “non va neppure in Francia come dovrebbe andare e – racconto – mentre dopo 10 anni in Italia si torna insieme, in Francia dopo tante lotte unitarie il sindacato si divide e cominciano i problemi”.

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Ho ben chiare le ragioni che hanno indotto CGIL CISL e UIL a scendere unitariamente in piazza. Non c’è più tempo per aspettare, la vera emergenza del Paese è il lavoro. Il lavoro rimasto da salvaguardare e il lavoro nuovo da creare, per garantire la democrazia del Paese. Sì, per garantire la democrazia nel Paese perché senza lavoro si minano le basi della convivenza civile, si moltiplicano le diseguaglianze, si sconvolgono le relazioni sociali.

E’ un messaggio ribadito a gran voce dai tre sindacati confederali al fianco di migliaia di lavoratrici e lavoratori giunti da tutta Italia. E’ il sentire comune che percepisco ascoltando le voci di chi manifesta: donne, uomini, anziani, giovani. E’, in effetti, una risposta forte a chi insiste stupidamente nell’esaltare il cosiddetto conflitto generazionale tra giovani e anziani, tra chi lavora e chi è alla disperata ricerca di una soluzione che non vede.

Sono alla testa del corteo. Altra sensazione forte: il pensiero va alle tante manifestazioni organizzate dalla sola CGIL nel primo decennio di questo nuovo secolo e, osservando i Compagni che hanno il compito di gestire le migliaia di persone arrivate, gli occhi diventano lucidi e, salutandoli, mi verrebbe da chiedere se “serve una mano”. Poi capisco che il mio tempo è passato e mi godo l’intensità della manifestazione.

Arriva lo striscione della Basilicata anticipato da una stupenda banda in costume che ci fa cantare dimostrando che noi, le nostre manifestazioni, il nostro gridare la rabbia che ci accompagna, noi siamo i protagonisti di questa democrazia e intendiamo rimanerlo.

Da Piazza dei cinquecento è partito l’altro corteo. S’incontreranno a Piazza San Giovanni luogo simbolo di tante manifestazioni e di tante lotte. Mi dicono che un gruppo di giovani ha animato e dato vita al famoso quadro di Pelizza da Volpedo dedicato al « Quarto Stato’ del 1901 ». Iconografia mai così attuale in una situazione che vede costantemente crescere la povertà di tanti e la ricchezza di pochi. Esattamente come allora.

Slogan forte quello di lavoratori dell’Indesit Company partiti con 4 pullman da Fabriano e che rappresentano i 1.425 esuberi annunciati con il piano di ristrutturazione dal gruppo di elettrodomestici. Ristrutturazione che ovviamente presuppone delocalizzazione verso Paesi più poveri e dove il lavoro è sfruttato in maniera selvaggia. Per questo il grido è ‘1.425 volte no: la storia siamo noi’.

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E’ chiaro a tutti che Il Paese non può più aspettare. Il tempo di promesse e annunci è finito mentre assistiamo ogni giorno allo stillicidio d’imprese che chiudono e al moltiplicarsi del ricorso alla Cassa integrazione e alla disoccupazione.

Ancora una volta a incalzare il Governo è Susanna Camusso, la mia Segretaria Generale. Per il lavoro bisogna avere il coraggio di decidere ora e non fra qualche mese”. “Serve un cambio di passo, perché quanto fatto in questi mesi, non ci accontenta. Bisogna avere il coraggio di trovare soluzioni considerando che per salvare il Paese bisogna innanzitutto risolvere le emergenze a partire dalla disoccupazione e quindi dal rifinanziamento degli ammortizzatori in deroga“.

Si coglie tra i manifestanti un senso di ribellione e nello stesso tempo d’impotenza. La speranza no, non è il sentimento attuale. E non lo è perché i fatti di questo Governo non rappresentano la discontinuità che una situazione tanto grave avrebbe dovuto alimentare.

E allora l’applauso alla denuncia del Segretario Generale della CGIL che chiede spiegazioni all’esecutivo “perché dopo aver annunciato lo stanziamento per la CIG in deroga non firma i decreti attuativi e rende disponibili le risorse” non è un applauso liberatorio ma un voler amplificare a mille voci la stessa denuncia.

I giovani e la loro condizione, la precarietà dilagante che incrementa sempre più il ricorso a un’illegalità diffusa per scaricare sul lavoro l’assenza d’innovazione, ricerca, capacità di essere attori di qualità nella competizione globale, tutto compreso la riduzione del salario di circa 3.300 euro, al netto delle tasse, per ogni singolo lavoratore.

L’altalena dei dati sulla cassa integrazione in tutte le sue articolazioni è dimostrativa di quanto oramai sia fuori controllo la capacità di reagire alla crisi. I dati salgono e scendono senza sosta segnalando un incremento del +6,74% rispetto ai primi 5 mesi dello scorso anno per un totale di ore pari a 457.258.239.

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Cresce la Cassa « ordinaria » di ben il 22,56% sui primi cinque mesi del 2012, cresce la « straordinaria » – del +27,42% sullo stesso periodo del 2012. Significativo il dato della Cassa « in deroga » – che cala rispetto al 2012 ma registra nel contempo un incremento vertiginoso pari al 139,02% nel mese di maggio se rapportato ai dati di Aprile.

Dati lontanissimi da quelli già preoccupanti del 2012 quando la media di cassa integrazione si attestava tra i 28/29 milioni di ore al mese, che ci segnalano una drammatica emergenza fatta di centinaia di migliaia di lavoratrici e di lavoratori che non stanno percependo alcun reddito, sebbene ne abbiano diritto ».

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« Mi dica, in coscienza, lei può considerare veramente libero un uomo che ha fame, che è nella miseria, che non ha lavoro, che è umiliato perché non sa come mantenere i suoi figli e educarli? Questo non è un uomo libero! Sarà libero di bestemmiare, di imprecare, ma questa non è la libertà che intendo io”.

Era il 1983 quando Sandro Pertini pronunciò queste parole, oggi più che mai attuali ma ancora poco consone negli atti sia del Governo sia del mondo imprenditoriale.
Parole importanti, significative di un concetto alto della democrazia e della libertà, quelle pronunciate da Pertini e riprese nei concetti espressi dai tre leader sindacali nl concludere la manifestazione. Parole che non cancellano lo ‘sconforto’ determinato dalla fotografia reale di un paese alla deriva e sul crinale di un baratro.

Un paese composto di giovani disoccupati, precari senza futuro, cassaintegrati ‘condannati’ alla disoccupazione, esodati ‘in attesa di giudizio’, pensionati prossimi alla fame e i pochi che lavorano tartassati. Insomma una situazione drammatica e deprimente. E la parola “precarietà” è diventata l’altro nome della sofferenza.

I leader dei tre sindacati confederali insieme

Il governo assicura programmi di occupazione giovanile e possibili misure per far ripartire il lavoro, ma, di fatto, non ha realizzato finora azioni tangibili, il che spiega dunque « il leggero disappunto », o forse meglio « l’enorme incazzatura » chiaramente palpabile tra i gruppi oggi presenti alla manifestazione, che hanno rivendicato una svolta concreta e non soltanto l’ennesimo tirare a campare e l’ennesima enunciazione di proclami senza alcun seguito.

Dicevo all’inizio di questo mio diario sulla manifestazione del 22 Giugno che non bisogna, infatti, essere psicologi per capire che il lavoro è alla base dell’identità e dell’integrazione sociale della persona e che, senza lavoro chiunque si ritrova in una dimensione di sconforto e di depressione, perché senza lavoro è proprio l’insieme della vita che non si regge in piedi.

Il disoccupato, l’esodato, il cassaintegrato, il precario, vivono immobilizzati, incatenati, inchiodati in un presente intollerabile in attesa di un futuro inesistente. La garanzia del lavoro è l’antidepressivo più forte che esista. Ed è ormai chiaro e dimostrato che la flessibilità di solito tradotta in precarietà non è la soluzione per far ripartire l’economia.

« Lavoro è dignità, libertà e autonomia » ha affermato oggi la mia Segretaria Generale ed io sono proprio d’accordo con lei perché in questo mondo globalizzato dove c’è chi rivendica il ritorno ai miti dell’800 dove il padrone era il padrone e il lavoratore aveva solo il diritto di non protestare, riconoscere il valore del lavoro è la principale forma di emancipazione, partecipazione e democrazia.

La piazza a poco a poco si svuota e si ritorna verso i parcheggi e le stazioni. Lentamente, senza fretta, tanto si sa! Da lunedì si riparte difendere il poco lavoro che c’è e a lottare per il lavoro che si vorrebbe.

Italo Stellon

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