Il ’68 e la guerra dei mondi.

Guardo alla TV il nuovo, ennesimo, talkshow politico dal suggestivo nome: «La guerra dei mondi», dove si confrontano la nuova e la vecchia generazione. Un confronto di stringente attualità. In Italia è in corso una vera guerra generazionale dall’inevitabile risultato che vedrà, prima o poi, prevalere, come è naturale che sia, i giovani.

I vecchi di oggi sono quelli che ieri hanno fatto la rivoluzione del ’68, quelli che contestavano le regole, che nelle case e in ogni ambito sociale attaccavano e criticavano radicalmente i “matusa” (gli anziani). Sono quelli che volevano il sei politico a scuola e combattevano la “meritocrazia di classe” che privileggiava i borghesi e i potenti.

Viceversa, i giovani di oggi invocano regole e il rispetto di queste, chiedono più merito e meno raccomandazioni e privilegi, che nelle strutture sanitarie, come nell’università, come nella magistratura, le assunzioni non passino da padri a figli, ma secondo regolari, ma veramente regolari, concorsi. Chiedono solidarietà agli anziani. Una ragazza fra loro dice: “Dateci la vostra esperienza, insegnateci, aiutateci”.

Mi viene spontanea una riflessione.

Prima del ’68 le clientele politiche esistevano, la politica, specie quella di governo, si fondava sulla letterina di raccomandazione il passe-partout che prevaleva su qualsivoglia titolo o competenza.

Poi c’è stato il ’68. Alcuni protagonisti di quella contestazione generale sono oggi direttori di giornali (Giuliano Ferrara del Foglio), dirigenti influenti come Paolo Mieli (RCS), e tanti altri sono influenti figure che occupano posti di comando, potrei dire di potere.

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Da quell’anno in poi è cresciuta una classe politica che non ha cambiato nulla del sistema politico che, imperterrita, si è mangiato tutto il patrimonio pubblico, assegnando posti, costruendosi reti d’influenza, collassando le risorse pubbliche, costruendo in buona parte un di debito immenso che avrebbe lasciato in eredità alle nuove generazioni. Un’intrigata spesa pubblica fatta di pensioni avute con pochi anni di lavoro e spesso senza merito, di ogni sorta di spreco. Una spesa contro la quale nessun governo osa fare tagli (tagli puo’ significare licenziamenti, fine di privileggi, ed altro ancora).

Arrivata al potere quella generazione non ha cambiato il sistema, l’ha rigorosamente mantenuto e consolidato, riuscendo ad annientare tutto quanto si era costruito negli anni del dopoguerra dove con sangue, sudore e lacrime si era realizzato il miracolo economico italiano con una crescita oltre il 6% del PIL (oggi siamo in recessione e la decrescita è del – 2,2%).

Personalmente continuo a credere che in sé il “68 fu una stagione bellissima, ricca di fermenti e di conquiste (più sociali e culturali che squisitamente politiche), la vera delusione si è avuta dopo, quando i contestatori del sistema sono diventati il sistema.

La generazione vecchia, di cui faccio parte, che oggi detiene il potere, non è nemmeno capace di un rivoluzionario guizzo di generosità, restando ostinatamente legato al potere, al posto di lavoro, non è disposta anche, di fronte alla più grave crisi economica che attraversa il paese dalla sua nascita, a rinunciare a niente, ipocritamente da dello sfaticati, choosy, bamboccioni, a dei giovani a cui è negata qualsivoglia prospettiva di futuro.

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I giovani, che accumulano una rabbia enorme, sono ormai uomini e donne che sono prossimi alla mezza età. Giovani di 40anni, che si accorgono che il tempo passa e che il loro tempo si riduce sempre più, incalzati da 20enni che li guardano con angoscia. Questi giovani chiedono, lo abbiamo detto, regole, opportunità, speranza e che venga finalmente riconosciuto il merito. E’ incredibile ma nell’Italia del 2000 la cosa più rivoluzionaria è invocare le “regole”, il merito, proprio quelle cose che iln quell’anno fatale erano aborrite.

Questi giovani che oggi, con rassegnazione e spesso titoli di studi universitari, vanno a Londra, a Parigi, molti in Germania a fare i camerieri nei bar, ad accogliere i turisti nelle receptions degli hotel, a cucinare in ristoranti, nella speranza almeno li’ di avere una possibilità.

Come i nonni che emigravano, costruendo le loro fortune in giro per il mondo, quando l’immaginazione non era al potere e si sudava sangue per costruire il paese. Quei vecchi “matusa” che si arresero al ’68, al nuovo che avanzava, ad una società moderna che oggi vuole solo conservare la sua gerontocrazia, il suo potere, che non permette una nuova rivoluzione. Una rivoluzione delle regole e del merito.

Veleno

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