E la destra?

Nelle scorse settimane ci siamo soffermati a lungo sui problemi del PD e dei M5S, ma le ultime amministrative hanno dimostrato la forte dipendenza della destra da Berlusconi. E dopo? Quando Lui non ci sarà più cosa ne sarà della destra? Sociale, liberale, liberista o conservatrice sembra allo stato incapace di rinnovarsi.

Abbiamo lungamente parlato dei grillini, del PD nelle settimane scorse, e anche se per questi due terzi di Luna la cronaca è sempre ricca di novità, è giunto il momento di chiedersi cosa fa la destra.

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Le ultime amministrative sono state un’autentica débacle per il PDL. Eppure tutti i sondaggi lo davano in crescita e primo partito a livello nazionale.
Questa oscillazioni del consenso popolare sono il dato dell’attuale volatilità dell’opinione politica del nostro elettorato. Il successo del PD che conquista tutti i principali comuni compreso Roma dimostra che ci sono allo stato due dati solidi. Il primo è l’astensionismo. In pratica la metà degli italiani chiamati ad eleggere i sindaci non ha votato, cosa gravissima se si considera che il Sindaco è il referente politico più vicino ai cittadini. Il secondo dato è che, pur con le sue contraddizioni e le sue conflittualità, il PD è l’unica forza genuinamente politica nel paese, ovvero forza che ha un radicamento nel territorio, una sua strutturazione organizzativa.

Tempo fa tale radicamento si era riscontrato anche nella Lega Nord che, colpita da scandali e logorata del duello Maroni vs. Bossi, ha finito nel disperdere la sua proverbiale concretezza per perdere elettori e militanti che in parte sembrano essere confluiti tra i grillini e nella maggior parte nell’area dell’astensione.

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A destra la vera crisi è nel PDL di Berlusconi. Il cavaliere ha snobbato le amministrative ed il risultato è sotto gli occhi di tutti. La destra non esiste più.
O meglio una gran parte di italiani continua ad identificarsi con l’uomo di Arcore, ne assume le difese, lo sostiene, e tanto amore è alimentato dagli enormi mezzi di cui dispone, televisioni e non solo. Quello che manca è proprio il PDL, il partito. Il quale risulta fragilissimo, privo di dibattito, frustrato nella sua aspirazione a darsi un’organizzazione strutturata. Qualcosa si vede all’orizzonte. Anche la destra ha il suo aspirante rottamatore, si chiama Cattaneo è il filoeuropeista sindaco della storica città di Pavia e da poco presidente dell’ANCI (l’associazione dei comuni) essendo subentrato al neo ministro Del Rio.

Il PDL è spaccato (si dice tra colombe e falchi, ma la questione è più complessa). Non si tratta solo di una frattura generazionale, è una frattura su due concezioni della politica.

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I berluscones (i presunti falchi) sono fautori del “nessun cambiamento”, al massimo del ritorno a Forza Italia per sostituire il Popolo delle Libertà che era nato in funzione bipolarista per aggregare Fini e i suoi (ormai scomparsi dalla scena politica) e Casini e i suoi (approdati al centro di Monti). Sostanzialmente l’ala più conservatrice del partito si stringe intorno al suo vecchio leader godendo (si fa per dire) del presente senza chiedersi cosa avverrebbe se all’improvviso il suo leader per motivi giudiziari, di salute o altro, dovesse abbandonare il partito. Sono i fautori del partito “leggero” non strutturato, con i parlamentari che girano per il paese magari con il “capo” nelle occasioni elettorali e che organizzano iniziative estemporanee per aggregare i supporters. Tra di loro le vestali del cavaliere: Santachè, Biancofiore, Di Girolamo ed altri come Brunetta.

Dall’altro lato vi sono (le presunte colombe) che si pongono la preoccupazione del dopo Berlusconi, che reclamano una strutturazione organizzata sul territorio del partito, qualunque nome assuma. Reclamano a venti anni dalla celebre discesa in campo la possibilità di eleggere democraticamente un proprio esecutivo, che vengano eletti responsabili locali, che si organizzino sedi o club che consentano una più costante attività sul territorio. Vorrebbero una convita adesione al Partito Popolare Europeo e quindi si dichiarano europeisti critici più che scettici. Infine, puntano ad una modernizzazione dell’organizzazione sul web con forum e dibattiti, insomma un’organizzazione politico come dire più tradizionale nel suo impianto ma ma più democratica e moderna. Tra di loro con Cattaneo ci sono Cicchitto, Alfano, Quagliariello e l’altro ministro Lupi.

Naturalmente, per far partire questa seconda proposta occorrerebbe il via libera da Berlusconi che allo stato non sembra disposto a concessioni nel suo partito personalizzato.

La vera madre di tutte le battaglie è proprio questa; tra partiti rappresentativi e partecipati dai cittadini e partiti personalizzati ed essenzialmente populisti.

Finiti male i tentativi di costruire un partito di destra o centrodestra, moderno e organizzato (con i futuristi di Fini e poi con la scissione della Meloni e Crosetto che infine si sono ghettizzati in “Fratelli d’Italia”, fallito il tentativo “esterno” di Fare per fermare il declino inventato con molte speranze dal giornalista di economia Oscar Giannino), appare evidente che bisognerà attendere la fine biologica se non politica di Berlusconi per aspirare ad un reale rinnovamento a destra.

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Diversamente dai grillini, la destra continuerà ad esistere ancora a lungo, dato che si parla di un’area politica che puo’ attingere molto dalla cultura politica ed economica degli ultimi secoli, da un pensiero filosofico che da Max Weber ad Alexis de Tocqueville, al pensiero più moderno di Alain Touraine e Raymond Aron puo’ attingere a diverse visioni di società, fino ad arrivare alle moderne correnti italiane ed europee che attingono da Luigi Einaudi, Ernesto Rossi, Mario Pannunzio, Bruno Leoni e ricordiamo che un tempo anche la Lega aveva in Gianfranco Miglio il suo ideologo.

Il personalismo politico dell’attuale destra populista ha disperso questo patrimonio di pensiero, finendo per radicalizzarsi su personaggi come Berlusconi, Bossi nella Lega, sostituito poi da Maroni che non hanno dato spazio alla riflessione e non hanno contribuito allo sviluppo di una visione strategica del futuro del paese. Si è cosi essiccata la destra anche nei suoi filoni storici più solidi e resistenti. La perdità d’identità della destra, scaduta a forme di antipolitica populista, ed incapace di produrre una classe dirigente che abbia carisma, è stata pagata pesantemente proprio nelle ultime elezioni amministrative.

La sconfitta romana di Alemanno e della sua parentopoli, è il segnale della fine di una destra sociale che dal MSI alla Destra Nazionale aveva proprio nella capitale, una sua consolidata forza. Depressa dagli scandali, abbandonata da esponenti politici storici, è risultata impresentabili come lo stesso sindaco uscente, con la sola, improponibile sponda, di una destra fascisteggiante come quella di Casa Pound. La destra sociale è assolutamente scomparsa e con se i suoi elettori.

Su questa fine la responsabilità dell’anima “leggera” del PDL ha pesato enormemente, come ha pesato la fine di tutta l’area ex DN, che di quella era il referente principale. La realtà è che Berlusconi, ha poco alla volta liquidato (politica liquida) dal suo partito quella componente più politicizzata, ha annientato, nel nome degli interessi particolare del capo e dei suoi fedelissimi, tutte le alleanze che avevano un’approccio più tradizionalmente politico come per esempio quello con l’UDC di Pierferdinando Casini.

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Cosi destrutturato, privato di un dibattito interno, incapace di crescere culturalmente, la destra si è ridotta ad una forza politica senza nerbo, che vive di contemplazione del suo sciagurato leader, che continua a dibattersi tra dispute giudiziarie, che come un novello Ceausescu, ogni tanto grida la sua innocenza e lancia qualche minaccia. Solo l’enorme gravità della situazione italiana con l’obbligo imposto di fatto dai grillini, di dare un governo di servizio al paese, ha dato la possibilità di un nuovo salvataggio e ritorno di un leader che ormai era finito da tempo.

Non esiste un destra leggera e una pesante, come non esistono partiti leggeri o pesanti, esistono partiti che a destra come a sinistra dovrebbero ascoltare i cittadini e secondo le proprie visioni politiche dare soluzioni ai problemi e progettare il futuro.
Personalmente credo che la destra dovrebbe avviare una profonda riconsiderazione di alcune sue esperienze, terminate male. Forse i tempi non erano allora maturi, come quando si costituirono i futuristi, che pure seppero essere una forza capace di legittimarsi e di legittimare, in una dialettica democratica, il confronto con i progressisti, i democratici, riuscendo persino a confluire con loro su alcuni valori condivisi.

La destra di oggi è priva di pensatori e quindi di pensiero, priva di organizzatori capaci di costruire una valida rete di consenso e partecipazione nel territorio. Appare priva di valori di riferimento, caduta nel grottesco delle olgettine, degli scandali, di una presentabilità sempre più complicata.

Prima di strutturarsi la destra deve avviare dei laboratori che puntino al coinvolgimento dei cittadini, non mancano in Italia studiosi del pensiero liberale che potrebbero dare un contributo valido. Agli albori del primo governo Berlusconi vi erano coinvolte figure come il flosofo Marcello Pera, lo storico Lucio Colletti, che avevano cercato di dare un contributo di pensiero, presto disfatto da un Berlusconi che ha puntato su un populismo che come sempre si è rivelato il principale nemico della politica e prima causa dell’antipolitica con tutto il suo gravoso cascame che ha contribuito a definire l’attuale situazione italiana, che, certamente, è frutto anche di una crisi globale del sistema economico, ma che ha anche un suo specifico nella costruzione demolitrice che è stata la seconda repubblica che non a caso è ricordata come l’era berlusconiana. Finanche in queste ore sembra prevalere l’idea di portare ai vertici del partito nomi ad effetto ed effetti speciali, ancora una volta l’apparenza sulla sostanza. Un modo per alimentare il populismo e quindi l’antipolitica o se preferite la malapolitica.

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La realtà è che la destra non ha ancora compreso che la seconda repubblica è al suo inevitabile declino e prossima all’estinzione. Per loro oggi occorre guardare ai suoi giovani a cominciare da Cattaneo non dimenticando la Meloni, come nella Lega a Tosi.

Per i Cinque Stelle, beh, li il discorso è più difficile. In questo movimento manca l’elemento identitario, manca la storia che unisce. Si tratta di una forza ricca di energie ma che ancora deve definire la sua identità, che parla di fine del sistema partitico, ma che non sa ancora proporre una concreta e credibile alternativa. Partito anch’esso personalizzato con l’aggravante di non avere neanche un pensiero e una storia alle spalle.

Nicola Guarino

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Nicola Guarino
Nicola Guarino, nato ad Avellino nel 1958, ma sin dall’infanzia ha vissuto a Napoli. Giornalista, già collaboratore de L'Unità e della rivista Nord/Sud, avvocato, direttore di festival cinematografici ed esperto di linguaggio cinematografico. Oggi insegna alla Sorbona presso la facoltà di lingua e letteratura, fa parte del dipartimento di filologia romanza presso l'Università di Parigi 12 a Créteil. Attualmente vive a Parigi. E’ socio fondatore di Altritaliani.