L’Italia torna virtuosa.

Come previsto la Commissione ha archiviato la procedura d’infrazione per deficit pubblico nei confronti dell’Italia, che ora potrà ritrovare un po’ di credito e risorse per avviare il suo rilancio economico. Percorso non facile per un governo che vive tra colombe e falchi.

La Commissione europea con la chiusura della procedura d’infrazione per l’Italia che vede rientrare le stime del disavanzo pubblico non oltre il 3% (c’è anche chi prevede per fine hanno un disavanzo sul 2,8 o 2,9%), è stata riammessa nel club dei virtuosi. Un passo importante che dà respiro all’economia del paese che a questo punto potrà disporre di un tesoro di un 10 – 12 miliardi di euro essenziali per riavviare il motore economico italiano.

Come lo stesso Enrico Letta ha riconosciuto, questo rientro virtuoso dell’economia italiana ha un nome e un cognome: Mario Monti, il quale è stato oggetto in questi mesi d’ingenerosi attacchi e critiche, quasi che a determinare il tracollo economico del paese fosse stato il suo anno di gestione e non piuttosto le infinite occasioni perdute nei venti anni della seconda repubblica a cominciare dall’entrata, sofferta e faticosa, nell’euro.

La terapia durissima imposta da Monti avrebbe potuto offrire risultati ancora più favorevoli se i partiti non si fossero messi di traverso nelle riforme che si andavano a realizzare. Penso in materia di lavoro, specie per i giovani, penso alle mancate liberalizzazioni, tema tabù in un paese in cui le caste (leggi ordini professionali, ma non solo) impediscono più delle lobby finanziarie, qualsivoglia azione politica per lo sviluppo.

Certamente, la sobrietà e le misure austere prese specialmente in materia di pensioni, nonché la stessa autorevolezza in sede internazionale di Monti hanno favorito tutto questo. Ed ora messi a regime i conti pubblici occorre avviare quell’azione d’impulso alla crescita e alla produttività che tutte le categorie lavoratrici, la confindustria, ma direi le stesse famiglie, si attendono.

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Il nuovo governo dovrà fare in fretta nell’indicare dove spendere questo piccolo tesoro che l’uscita dalla procedura d’infrazione ci consente e come operare sullo scacchiere delle possibili mosse per il rilancio dell’economia.

Sembrano tre i punti d’intervento su cui muoversi. Punti che non mancano fra di loro di alcune connessioni. In primo luogo la riproposizione di un cuneo fiscale che consenta una ragionevole riduzione delle imposte cosi che si possa favorire l’avvio al lavoro di giovani, senza particolari oneri per i datori, in una certa misura potrebbe essere la ragioneria dello Stato a farsi carico di eventuali oneri contributivi (almeno in una fase iniziale) a favore dei nuovi assunti.

Certamente un’altra parte di questo tesoro che si movimenta grazia alla virtuosità italiana, sarà necessaria come ammortizzatore sia per gli esodati, sia per la cassa integrazione, dal momento che quest’ultima è prossima al prosciugamento.

Ma sarebbe anche importante, oso dirlo, anche la nazionalizzazione dell’ILVA di Taranto che venduta proprio per farvorire l’entrata dell’Italia in Europa, rischia oggi la chiusura, segnando di fatto la fine dell’industria italiana. Viceversa, credo si converrà che l’Italia non possa rinunciare all’industria, già molto ridimensionata negli ultimi quarant’anni, e che una fabbrica come l’ILVA, leader siderurgico in Europa, va difesa ma rilanciata con un riassetto che la renda ecocompatibile come del resto avviene per gli altri paesi europei.

Nelle sue raccomandazioni la Commissione ha, contestualmente, ricordato al governo italiano il mantenimento dei conti pubblici e ha insistito sull’avvio di riforme strutturali che riordinino il paese. Non è casuale aggiungere che l’OCSE, quasi contemporaneamente, rivelava per l’Italia, le sue stime al ribasso prevedendo addirittura un ulteriore aumento della disoccupazione anche per il 2014, costringendo il nostro governo a definire una strategia di politica economica che non potrà limitarsi al contenimento della spesa pubblica e all’ammortamento per chi perde il lavoro. Il mantra della crescita richiede per la sua effettiva realizzazione scelte coraggiose e non immuni da ulteriori sacrifici.

In tal senso, bisogna essere chiari e i partiti politici che responsabilmente si sono assunti l’onere di un governo difficile da mantenere in vita, date le innumerevoli contraddizioni al suo interno, devono essere altrettanto responsabili nelle scelte strategiche che non potranno essere né comode elettoralmente né demagogiche..

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Ad esempio, occorre puntare sull’occupazione e sulla difesa e sviluppo delle imprese. Prima il cuneo fiscale, poi, il mantenimento dell’IVA senza aumenti e infine, una riconsiderazione dell’IMU. La quale non puo’ essere semplicemente abolita; in primo luogo perché, imposta da Berlusconi, questa tassa, nelle sue attuali dinamiche, è proprio uno dei segni della serietà della passata amministrazione governativa che ci ha ridato credibilità anche in sede europea.

Si puo’ convenire sulla sua rimodulazione, sull’abolizione per la prima casa per chi ha redditi bassi e nella casa ci vive, ma francamente sembra velleitario ed “elettoralistico” chiedere l’abolizione per tutti come vorrebbe imporre il PDL di Berlusconi. Del resto l’imposta sulle case e sui grandi patrimoni è ormai presente in gran parte della zona Europa e davvero non si capisce perché l’Italia dovrebbe fare eccezione. Piuttosto, l’uscita dai vincoli imposti dalla procedura d’infrazione riapre il discorso di disponibilità ed impiego economico, a proposito del patto di stabilità, per quei Comuni virtuosi, che finalmente potrebbero disporre in chiave produttiva, delle loro risorse economiche fin qui tenute bloccate.

E’ evidente che ci si puo’ assumere l’impegno e la responsabilità di una grande coalizione se almeno quest’impegno e questa responsabilità sono condivise. Nessuno puo’ fare il furbetto cercando di accaparrarsi meriti particolari, scaricando gli oneri di una tale impresa, sempre sullo scomodo alleato.

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In una situazione simile è chiaro che colui che rompe il giocattolo, colui che per prima farà detonare questa alleanza si assume dei rischi non indifferenti, rispetto ad una popolazione che ha tanto sofferto e che ancora tanto dovrà soffrire. Malgrado quello che dice Grillo, la realtà è che una buona parte degli italiani è più matura della sua classe politica e ha compreso che in questa fase delicata occorre un governo e quindi guarda con rispetto ma anche con attenzione a chi questo governo ha dovuto farlo anche turandosi il naso. Cio’ detto è evidente che il PD non puo’ giocare il ruolo della vittima designata, limitandosi ad accontentare l’agenda Berlusconi. E, tuttavia, questo travagliato partito non è apparso penalizzato (come tutti credevano) nelle recenti amministrative. Amministrative di complessa lettura se si considera quel 50% di italiani che sembrerebbe aver perso ogni fiducia in questa classe politica ed anche in chi come Grillo, si proponeva di abbatterla.

Il reperimento di altre risorse per il riavvio di un’economia ferma da un ventennio, passa sia da una lotta seria alla evasione fiscale, ma anche qui le soluzioni vanno ricercate anche in sede europea, in primo luogo con una comune e seria politica di deterrenza nei confronti dei paradisi fiscali, ma anche con un coraggioso taglio delle spese pubbliche. Un taglio che ha il suo simbolo nei costi della politica ma che richiederebbe ben altra sostanza in merito alle mille spese inutili ed improduttive di questo paese sia in sede locale che in sede nazionale.

Penso ai mille enti che sopravvivono inspiegabilmente a qualsiasi crisi economica e che andrebbero chiusi senza esitazioni (capisco il dramma di chi si trova senza lavoro, ma è accettabile che il denaro pubblico venga investito in questo modo?), penso alle centinaia di consulenze ben pagate e di alcun risultato concreto, penso ad un patrimonio immobiliare abbandonato e che potrebbe essere sfruttato in modo da recuperare risorse e cosi via dicendo. Insomma, la famosa spending review va affrontata con coraggio.

Ed infine, il parlamento all’unanimità ha chiesto che la pubblica amministrazione paghi i suoi debiti ai numerosi imprenditori che oggi rischiano il fallimento per credito (paradossale ma è cosi). In un paese dove si chiudono 40 imprese al giorno. E’ l’ora di rispettare gli impegni assunti.

E’ evidente altresi che sul tema delle liberalizzazioni si rischia all’occorrenza di toccare nervi scoperti dei vari partiti, ma è proprio questo “non volersi fare del male” che alla fine ha portato un male maggiore per tutto il paese.

L’Italia, coma la Spagna, la Grecia, sono paesi dove si teme di creare sofferenze nel momento in cui si tagliano rami secchi o s’impongono maggiori competitività e mercato. Ma è proprio la competitività e il mercato che consentono un miglioramento dell’impresa e dei prodotti, un apertura ha nuove imprese e danno impulso anche alla ricerca che in passato era stato uno dei terreni più favorevoli alla nostra economia. La stagnazione in regimi di privilegi crea frustrazione, disagio, finisce per uccidere la competizione, per impedire l’innovazione, spezza le gambe a quelle capacità creative che sono state per decenni il sale delle nostre aziende.

E’ evidente che questo governo dovrà muoversi nel solco del compromesso, in equilibrio instabile, sempre esposto a possibili cadute, tuttavia i “pontieri” che lo compongono, devono per il tempo necessario, cercare ogni punto su cui si possa muovere l’attuale quadro economico e del lavoro. Ogni segnale in tal senso non potrà che essere apprezzato. Ma dei segnali bisogna offrirli da subito specie ora che grazie a Monti l’Italia è tornata ad essere virtuosa.

Nicola Guarino

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Nicola Guarino
Nicola Guarino, nato ad Avellino nel 1958, ma sin dall’infanzia ha vissuto a Napoli. Giornalista, già collaboratore de L'Unità e della rivista Nord/Sud, avvocato, direttore di festival cinematografici ed esperto di linguaggio cinematografico. Oggi insegna alla Sorbona presso la facoltà di lingua e letteratura, fa parte del dipartimento di filologia romanza presso l'Università di Parigi 12 a Créteil. Attualmente vive a Parigi. E’ socio fondatore di Altritaliani.