Senza Jannacci. Una Milano e un’Italia che non ci sono più.

Senza Iannacci. Una Milano e un’Italia che non ci sono più.

Non c’è più Enzo Jannacci, quasi un segno dei tempi. Tempi grami, quelli di un paese che sembra senza storie, che nel clamore e clangore di voci, di suoni, di luci non conosce più una via privata alla vita.

E si che Enzo ne raccontava di storie, spesso milanesi, dell’hinterland, con personaggi talmente reali da sembrare surreali. Esponente di una Milano ormai agonizzante che un tempo, ancora recente, annoverava personaggi che riuempivano una generazione; con i suoi Beppe Viola, Dario Fo, Giorgio Gaber, il gruppo dei Gufi, Cochi e Renato, Rivera contro Mazzola, emblemi dell’ironia e del disincato che sono la cultura milanese.

Da oggi quel filo del racconto sembra spezzato per sempre. Un racconto fatto di lavoro, amarezze e sogni. Fatto di emarginati, che mescolano il gergo, a volte della mala, a storie operaie. Nicchie emarginate come quella dei gay di Silvano, vicino a storie intime, di passione popolare.

Jannacci era la tragedia di un paese ridicolo o il ridicolo di un paese tragico.

La sua Milano non era omologata, era una Milano riconoscibile, fatti di Navigli e di fabbriche che chiudono, di strade uggiose di periferia che come in un sogno sono scuarciate da un sole improvviso che subito va a morire.

Una Milano che non è quella da bere degli anni d’oro del debito pubblico che esplode ai tempi del “benedetto” maledetto Bettino Craxi, ma è la Milano della “Vita agra” di Luciano Bianciardi, fatto di osterie dove si mangia con quattro soldi, dove si racconta di sogni e ci si arrabbia, mezzi ubriachi, perché la tua donna ti ha lasciato per un altro.

Jannacci il cantante e l’eterno medico volontario che aiuta chi le cure non se le puo’ permettere, che senza troppi clamori faceva il volontario, con una generosità che tutti gli riconoscevano.

Enzo Jannacci che non faceva sconti, nemmeno a se stesso e ai suoi colleghi.

Armando, il Dritto, Veronica, Maria nomi non mirabolanti, nomi normali, non come quelli di oggi, tutti protagonisti antieroi, che con l’Italia di “successo’ di oggi (a pensarci verrebbe da ridere) non avevano nulla a che vedere.

Una Milano vera, autentica fatta di bella gente autentica, ma non amata da quella “cultura” (verrebbe ancora da ridere°) che l’ha ridotto senza più un’anima, triste e buia chiusa sui soldi che non ha, priva di cielo e di sogni, una Milano che fatica ad essere solidale che oggi più di ieri vive l’emigrante come una minaccia che fa paura.

BRUTTA GENTE

Testo di Enzo Jannacci & Beppe Viola; musica di Enzo Jannacci; edizioni musicali

Mettere tante divise,

servire tanti padroni,

scappare sempre in posti sbagliati,

e poi recitare troppe orazioni,

e vedere che in giro c’è sempre,

sempre troppa allegria,

superbia piena di malinconia

degli uomini ubriachi di miniera.

e poi mercanti vestiti di lana

che non sapranno mai capire,

non potranno mai ascoltare

chi canta nelle osterie.

E’brutta gente che cammina

e va sporcando la terra.

E’brutta gente che cammina

e va sporcando la terra.

E dappertutto vedere

gente che guarda smarrita,

e come le mosche impazzite

che non vanno neanche più verso la torta

e non conoscon la fretta,

ma neanche un giorno di festa,

e non conoscon la fretta,

ma neanche un giorno di festa,

e se c’è il vino bevono il vino,

e se c’è il vino….

E se non c’è vino,

se non c’è vino, pazienza.

E’la mia gente che cammina

dicon che sporca la terra.

E’la mia gente che cammina

dicon che sporca la terra

E’giusto un giorno come un altro

credono di, di addormentarsi,

senza sapere che c’è sopra

c’è sopra un metro di terra

Ora che Jannacci non c’è più e l’Italia si avvita nella sua disperazione e si è resa conto che non era vero che non poteva essere sempre oggi e che ormai siamo al domani e non abbiamo più tempo, ora che Lui non c’è più come ci salveremo?

Nicola Guarino

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Nicola Guarino
Nicola Guarino, nato ad Avellino nel 1958, ma sin dall’infanzia ha vissuto a Napoli. Giornalista, già collaboratore de L'Unità e della rivista Nord/Sud, avvocato, direttore di festival cinematografici ed esperto di linguaggio cinematografico. Oggi insegna alla Sorbona presso la facoltà di lingua e letteratura, fa parte del dipartimento di filologia romanza presso l'Università di Parigi 12 a Créteil. Attualmente vive a Parigi. E’ socio fondatore di Altritaliani.

1 COMMENTAIRE

  1. Senza Jannacci. Una Milano e un’Italia che non ci sono più.
    Uno  » stivale  » che calza poco.ritratto di un momento del nostro paese sperando che passi in fretta.

    Storie e canzoni di un paese che vive nelle su gioie e dolori. Le elezioni e le ultime novità sul panorama internazionale disegnano un’Italia  » ingessata » nelle sue realtà geopolitiche tanto e troppo circoscritte in un panorama dove ognuno pensa o crede di preservare i propri poteri e interessi. Vediamo la Lega a Milano e il poco interesse nel conciliarsi a sinistra all interno delle forze politiche. Confindustria dice che non cè più tempo né  » ossigeno » e allora ?

    Siamo in stallo e fin quando non tiriamo giù il muso dell aereo per andare avanti come nella fisica di un aereo rischiamo di avvicinarci sempre di più al suolo.
    Sarebbe giunto il tempo di agire non di rimanere in atteggiamento flemmatico e agire sempre di riflesso.Ci aspettano da oggi ancora tempi con l economia italiana incerta e poco forte per investimenti da e per l’Italia.

    Milano e come scriveva Nicola Guarino é ostile alle novità sociali e rimandava i problemi come se potessero risolversi con il domani e lo specchio dell Italia.

    Leggendo gli esiti e le reazioni siamo un popolo schizzinoso » ed egoista nella sua parte intima. Ognuno pensa a essere bello ricco e forte per se stesso e non si cura di allargare i confini della sua città e del suo popolo. Gli stranieri come risorsa come valore aggiunto risorsa; non come una minaccia e da osteggiare da timorosi come se fossero ospiti pericolosi.

    Siamo nella nostra  » paranoia » siamo sempre noi davanti allo specchio. Dobbiamo smettere di essere nostalgici perché il futuro dovrà essere diverso e nuovo perché tutti possano resistere e sopravvivere. Per questo serve servire il paese da parte di chi stà nelle stanze dei « bottoni »

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