Gli Outback: una realtà musicale italiana tutt’altro che “di provincia”!

Ogni città che si rispetti ha moltissimi appassionati di musica con il grande sogno nel cassetto di sfondare; a Terni in Umbria gli Outback sono decisamente sulla buona strada, con lo sguardo rivolto ben oltre i confini nazionali.

Trovare gruppi musicali emergenti validi, in questo periodo di tecnologie avanzate che facilitano (un po’ troppo!) le cose e di amanti della musica che si sentono grandi divi, è davvero difficile, eppure a Terni abbiamo la fortuna di averne uno decisamente degno di nota, nonostante la provincia non offra molto spazio a realtà di questo tipo. Stiamo parlando degli Outback, ovvero Gianluca Pantaleo, Gabriele Raggi, Francesco Nesta e Eugenio Della Mora, quattro ragazzi con le idee chiare su quello che vogliono e anche su come ottenerlo. Dopo un album interamente in italiano ed esperienze adrenaliniche come l’apertura del Rock in IdRho 2011 (dove hanno calcato lo stesso palco di Foo Fighters, Iggy Pop e The Hives, tanto per nominarne due!) hanno raccolto la sfida dell’inglese, creando un album studiato fin nei minimi particolari e “un po’ meno commerciale”, come ci hanno detto Eugenio e Gabriele durante la nostra chiacchierata, anticipato dal singolo “I Never”, il cui video è stato curato dallo stesso cantante.

Come sono nati gli Outback e come mai questo nome?

Eugenio: Per il nome è una questione a tutt’oggi aperta: loro si sono dati questo nome all’inizio, Gabriele e Francesco suonano insieme da quando sono piccoli e anche con Gianluca si sono incontrati (artisticamente parlando) dai primi anni del liceo e facevano cover (Queen, Muse…). Pur essendo cresciuti poi è rimasto questo nome anche se vorremmo cambiarlo: siamo alla ricerca di un nome migliore, ma poi alla fine abbiamo vissuto belle esperienze con questo nome e non riusciamo ancora a cambiarlo!

Gabriele: Per quel che riguarda il “come siamo nati” la storia è un po’ lunga, ma cercherò di farla breve: abbiamo iniziato a suonare io e Francesco, poi dopo qualche tempo, quando cercavamo un cantante, appena dopo che ci eravamo sciolti da quella che era un’altra situazione, è arrivato Gianluca Pantaleo; abbiamo dato vita a quella che è un po’ la solita band che gira per i locali facendo cover, poi è arrivato un batterista che ha avuto una storia breve e alla fine è arrivato Eugenio e con lui abbiamo iniziato a fare un po’ quelle che possiamo definire le esperienze “serie”.

Una vostra canzone come nasce? Qual è il processo creativo che c’è dietro?

Gabriele: In questi anni abbiamo cambiato parecchio il nostro approccio alla scrittura! Prima facevamo la canzone strumentale, poi Gianluca ci trovava la melodia e le parole; adesso invece è un po’ cambiato, grazie anche alle nuove tecnologie, che ti permettono di arrivare in sala prove magari con un pezzo già pronto, già fatto, lo metti dentro al pc, lo riguardi tutti insieme e la melodia ne fa già parte!

Eugenio: Anche l’album che uscirà a breve è testimonianza di questo cambiamento anche perché abbiamo qualche strumento elettronico che ci ha permesso di attuare questa svolta diciamo: è cambiato il modo perché magari uno sta a casa e lavora con i synth, i set e il Mac e arriva con il pezzo quasi bell’è fatto, anche perché abbiamo cambiato suono! Prima era una scrittura essenzialmente collettiva; per quel che riguarda le parole Gianluca all’inizio ci canticchiava sopra in finto inglese, poi ci metteva le parole in italiano.

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I lati positivi e negativi di cercare di emergere da una realtà come quella di Terni?

Gabriele: Positivi penso che non ce ne siano proprio…

Eugenio: Sono veramente pochi: dobbiamo sempre e comunque spostarci; certo, qui ormai la visibilità l’hai raggiunta e quando suono non vedo solo i miei amici, vedo gente che non conosco e questa è la cosa che preferisco! Se volessi suonare per i miei amici suonerei a una festa, insomma! Uno alla fine questa scelta di vita la fa per crescere, non per essere profeta in patria, quindi doversi allontanare è fondamentale! Poi qui tra ordinanze e mancanza di spazi… vi lascio immaginare! Abbiamo fatto belle cose, vissuto belle esperienze, eh, ci mancherebbe! Ad esempio, abbiamo fatto un live, durante la notte bianca, suonando per strada, in mezzo alla gente! Serata bellissima, ma comunque incredibile, se ci pensi: all’arrembaggio!

Gabriele: Avevamo già provato a fare una cosa del genere una volta, ma era arrivata la Polizia e ci aveva fatto sgomberare, almeno con l’occasione della notte bianca non ci hanno cacciati!

I vostri videoclip non sono mai banali, come scegliete di farli?

Gabriele : Quello dell’ultimo singolo è il più bello di tutti ed è stato girato dal nostro cantante: nasce dal fatto che Gianluca ha sempre voluto trovare un filo conduttore tra la canzone e il pezzo, cosa che i registi in questo periodo non fanno. Lui poi ha l’estro e si occupa anche di fotografia, ha detto “Va bene, questo lo faccio io!”. Secondo noi è riuscito a rendere visibile il collegamento tra il pezzo e il video e con molta più libertà e molto più stile di quanto avrebbe potuto averne un video fatto da qualcuno di “esterno”!

Eugenio: Il video è davvero molto bello: lui è fotografo, si vede, è un video fotografico! A livello di stile, se erano curati gli altri (alle cose ci teniamo: ci abbiamo speso tempo e investimenti, non siamo l’armata Brancaleone e ci impegniamo!), questo è davvero il più bello; un passo importante sulla strada di quella che è la nostra evoluzione: ne vedrete sempre di più e sempre migliori.

C’è qualcosa di cui vorreste parlare durante un’intervista e di cui nessuno, finora, vi ha mai domandato?

Eugenio: Mi piacerebbe che venisse compreso questo, di noi: ci impegniamo, sono arrivati dei risultati che lo testimoniano; dobbiamo fare di più e meglio…ma adesso cerchiamo di farlo a modo nostro per sentirci più a nostro agio con le nostre produzioni. La nostra proposta è stata anche il risultato di alcuni compromessi necessari. In Italia se ti muovi in determinati settori ad esempio nel pop o per provare ad entrare in circuiti mainstream non puoi prescindere da alcuni di questi.
Il nuovo album a cui stiamo lavorando, invece è privo di questi compromessi: siamo tornati in studio con una logica e un attitudine oserei dire “diy” (do it yourself), scriviamo e registriamo i nostri pezzi, ci facciamo le grafiche ed i video, insomma stiamo dietro ad ogni cosa, a tutto il processo. Poi sarà completamente in lingua inglese, il che è abbastanza in controtendenza al momento: l’italiano è una lingua stupenda, a me piace molto scrivere, ho un’altra band con la quale canto nella nostra lingua, ma la vedo più adatta ad alcune realtà come ad esempio l’italian hc al quale sono molto legato (anche se non si direbbe ascoltandoci), piuttosto che a linee aperte o a canzoni che potenzialmente rientrano nel pop internazionale, come possono essere le nostre.
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Questo un po’ mi preoccupa, perché non so quanto potrà essere recepito dal pubblico a cui cerchiamo di arrivare, ma in fondo sono più felice e convinto di quello che stiamo facendo! Parlando in linee generali un grande problema in Italia esiste a livello culturale di massa (nell’underground ci sono da sempre ottime realtà), ad esempio basta andare a vedere la differenza sostanziale che c’è tra l’Italia e gli altri Paesi esteri in format come i reality stile X Factor: in Danimarca c’è gente che canta Bon Iver!

La situazione qui da noi è a livelli tali che ci sono produttori che ti dicono di ispirarti ai testi dei Modà e dei primissimi Finley o Lunapop, nel 2013… Nel 2013 (giuro: è successo)! La situazione nell’industria musicale è davvero triste e c’è tanta amarezza in chi vorrebbe proporre qualcosa di nuovo e si trova a dover andare contro queste vere e proprie cariatidi che, purtroppo, governano il tutto! Infatti il disco ce lo facciamo in casa da soli e a gusto nostro, non escludendo belle collaborazioni con artisti che stimiamo. Infine, vorrei spezzare una piccola lancia in favore di Sanremo: non l’ho seguito molto, però vedere Nardinocchi sul palco con Mac e campionatore è un piccolo segnale positivo rispetto al ritardo cosmico di cui costantemente soffriamo.

Gabriele: Dover ascoltare il resto delle proposte del mercato è normale, anzi, consigliato; ma non poter fare (in teoria, come vorrebbero loro… noi, poi, alla fine abbiamo scelto di fare quello che ci si addice di più e quello che ci sentiamo meglio addosso, accettando tutti i rischi che comporta!) quello che vorresti davvero è disarmante e desolante! Noi ci abbiamo provato due volte a fare quello che dicevano loro e due volte stavamo per scioglierci: ci sentivamo proprio male; non ti puoi guardare nello specchio! Quindi preferiamo prenderci i nostri tempi, ma arrivare ad ottenere determinati risultati seguendo le nostre modalità, rimanendo fedeli a noi stessi e facendo quello che più ci piace proprio perché ci piace e non perché dobbiamo!

Intervista di Chiara Colasanti

Outback – L’incostanza di un momento (Official Video)
http://www.youtube.com/watch?v=PtGlpkQHhMM

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