Valerio Mastandrea in Francia nel film Gli Equilibristi: un’Italia ai tempi della crisi.

Abbiamo incontrato a Parigi il regista Ivano De Matteo per la presentazione del suo ultimo film, Gli equilibristi (Les équilibristes), scritto a quattro mani con la compagna Valentina Ferlan. Si tratta di una “commedia italiana drammaticamente amara”, per usare le parole del regista italiano, che cita tra i suoi riferimenti i film con Alberto Sordi (in particolare Detenuto in attesa di giudizio di Nanni Loy e Il boom di De Sica) e le commedie “famigliari” di Ettore Scola. A noi è venuto in mente un altro film di De Sica, Umberto D (considerato uno dei suoi capolavori) che, come Il boom, è stato scritto da Cesare Zavattini.

La storia narra della caduta repentina di Giulio, un uomo di quarant’anni apparentemente sereno, senza troppe preoccupazioni ma neanche troppi slanci, se non quelli che gli procura l’affetto per la famiglia, una moglie e due figli. Quest’uomo ha davanti a sé un’esistenza tranquilla, scandita dai ritmi del lavoro (è un impiegato comunale) e da quelli della vita dei figli, verso i quali si mostra attento e premuroso.

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Potremmo dire che quella di Giulio è una di quelle famiglie del ceto medio al riparo dalla profonda crisi economica e sociale che attanaglia l’Italia. Perché anche sua moglie lavora e perché casa, famiglia e lavoro compongono, sin dalle prime sequenze, un quadro che dà l’impressione di una certa solidità.

Un evento pero’ scuote l’equilibrio di questa famiglia, come un colpo di vento che fa tremare i piedi sul cavo teso e che manda all’aria tutte le labili certezze di una vita tranquilla.

Giulio infatti ha tradito sua moglie, e sua moglie lo sa. E lo sa anche lo spettatore, che ne viene edotto sin dalle battute iniziali del film.

Un lungo piano‐sequenza girato in steady cam si sviluppa tra i casellari di un sotterraneo, li’ dove Giulio lavora e dove si è nascosto con la sua amante, una collega.

Verremo a sapere, più tardi, che sua moglie Elena ha scoperto la relazione extra‐coniugale del marito leggendo gli sms che i due amanti si scambiavano (e come potrebbe essere stato altrimenti, nell’era della comunicazione digitale?).

Ma lo spettatore sa già anche che lei sa. Perché Elena è scura in volto, e la tensione nel suo sguardo comunica tutta l’inquietudine per una decisione che ha già preso: cacciare il marito fuori di casa, espellere il corpo infetto dal seno della famiglia.

La macchina da presa, invece, d’ora in avanti non lo lascerà più, seguendolo come un’ombra, prendendolo di sorpresa, scomparendo, sinuosa, tra gli oggetti in primissimo piano.

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E’ curioso guardare De Matteo mentre illustra – durante l’incontro informale per la presentazione del film ‐ la modalità di ripresa e i movimenti del corpo che l’operatore di macchina ha dovuto mettere a punto per soddisfare le esigenze del regista.

Campi e controcampi, carrellate, quinte nell’inquadratura. E’una piccola, divertente, lezione di cinema.

Giulio è tallonato da un occhio tanto discreto nei movimenti quanto avido nel voler spiare ogni dettaglio di questa sua personale discesa agli inferi dell’esclusione sociale.

Ogni piccolo gesto, ogni cambiamento nel volto diventano un segno ulteriore di una progressiva e inarrestabile perdita di identità, che segna l’inesorabile fuoriuscita del protagonista da una società che non lo accetta più. E che è il prodromo di un processo ancora più grave e carico di nefaste conseguenze, la perdita di sé davanti ai propri stessi occhi.

Valerio Mastandrea presta in maniera molto efficace il volto e il corpo a questo personaggio di giovane uomo derelitto, permettendoci di leggere nelle espressioni che gli solcano il viso e nelle parole sempre più biascicate, l’evolversi di un dramma personale che un paesaggio urbano sordido accentua e rende universale.

La Roma delle strade buie e dei sudici parcheggi sotto i cavalcavia rimbomba del traffico ininterrotto soprastante. E’ qui che Giulio trova rifugio durante le sue fredde notti fuori casa.

Un posto uguale a mille altri in una metropoli occidentale qualunque.

Un non‐luogo che ospita un non‐più‐uomo, un habitat ideale per poter scomparire senza lasciare traccia.

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I meccanismi dell’assistenza sociale organizzati e gestiti dalle strutture comunali sono inefficaci e sottodimensionati, e la solidarietà anonima e silenziosa delle istituzioni religiose rimane allora l’unico appiglio per sopravvivere e per provare a rimettersi in piedi.

Ma Giulio non è capace di ritrovare la strada, si è perso e non riesce più a rialzarsi.

La famiglia è persa, la casa si è ridotta ad un abitacolo di utilitaria, il lavoro non basta a pagare i debiti, tutto sembra oramai lontano, ridotto all’eco delle parole di un tempo.

Ci torna in mente Umberto D quando vediamo Giulio, oramai quasi perso in una dimensione di non‐coscienza, compiere un ultimo passo disperato.

E’ una donna che riesce a raccogliere il suo affannoso spasmo di aiuto, è sua figlia Camilla.

De Matteo ce lo racconta con una battuta: “Ve la ricordate quella pubblicità…com’era? Ah, ecco: una telefonata salva la vita..”.

Raffaello Scolamacchia

Gli equilibristi (Les équilibristes)
Regia: Ivano De Matteo

Scenario di Valentina Ferlan e Ivano De Matteo
Interpreti: Valerio Mastandrea, Babora Bobulova, Rolando Ravello, Maurizio Casagrande, Rosabell Laurenti Sellers, Grazie Schiavo, Antonio Gerardi
Origine: Italia, Francia, 2012
Medusa Film
Distribuzione francese: Bellissima Films
Durata: 113′

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1 COMMENTAIRE

  1. Valerio Mastandrea in Francia nel film Gli Equilibristi: un’Italia ai tempi della crisi.
    Raffaellooooo, che bello incontrarti attraverso questa bella recensione, ti abbraccio Lucia

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