Dal Festival del Cinema di Berlino 2013: La bellezza delle donne.

Tre film primeggiano per bellezza giunti a mezzo cammino della Berlinale 2013.
Un georgiano, un egiziano ed un palestinese, tutti e tre di registi donne.

Il georgiano è quanto di più bello visto fino a questo momento. Con poeticità che
stempera la durezza di un mondo che si fa violento e ostile in “Grzeli nateli dgeebi”, tradotto internazionalmente in “In bloom”, Nana Ekvtimishvili, racconta la storia di due amiche quattordicenni, Eka e Natia, che vengono travolte, in quel 1992, restituito con una splendida fotografia che vira al seppia, dai cambiamenti violenti della fine dell’
Unione Sovietica. La strada si fa luogo di bande armate, la famiglia luogo di alcolismo e disperazione, esasperando i drammi sociali della fine del sistema socialista che garantiva lavoro a tutti. Pure la scuola manca il suo compito, in mano a docenti esasperati e vittime del peggior difetto sovietico, l’autoritarismo. L’umanità delle due ragazze sarà più grande del mondo che intorno a loro crolla.

In bloom, di Nana Ekvtimishvili

L’egiziano “Al-khoroug lel-nahar” (Coming forth by day) di Hala Lotfy è profondamente cairota. La casa in cui madre e figlia accudiscono l’’anziano consorte/genitore morente è la tipica casa del centro del Cairo, il sole che squarcia la penombra delle finestre anche, come la confusione sui tetti circostanti e l’imperversare rumoroso del traffico che sale dal brulichio cittadino. La figlia percorrerà la città in una notte di pensieri, fino alla moschea di Husseyn, di fianco a quella universitaria di al Ahzar, camminando “Verso la luce del giorno”, questo il titolo. Anche lei troverà infatti
il senso alla complessità della vita nella luce di una nuova alba, non dissimilmente dall’’Egitto di oggi che cerca una via dentro la complessità.

Coming forth by day, di Hala Lotfy

Lamma shoftak”, ovvero “Quando ti ho visto”, è l’’opera seconda di Annemarie Jacir, che ha debuttato qualche anno fa con un capolavoro “Il mare e il sale”. Donna palestinese, parla sempre della Palestina, ma se nel primo film il dolore era attraversato nel presente, questa volta è affrontato con la leggerezza e la
spensieratezza dell’’anno terribile per il suo popolo, il 1967. È vero, è l’anno della sconfitta nella guerra dei sei giorni e dell’occupazione tremenda e tutt’oggi dolorosa della Cisgiordania e delle sue città, Betlemme, Gerusalemme, Hebron, Ramallah e Nablus da parte degli israeliani, ma è anche, come per i profughi dei campi in Giordania, il tempo della speranza e del riscatto. Così un ragazzino dalle strepitose
doti matematiche abbandona la scuola e raggiunge i Feddayn che si addestrano, tra kalashnikov e scarponi sovietici, canzoni della tradizione intorno al falò della sera, testi di Mao Ze Dong e di Lenin. La madre lo insegue, lo trova, ne asseconda il desiderio di rimanere con questi giovani convinti di poter liberare la loro terra. Un film bello, importante, girato e recitato magnificamente, toccante, in cui il sorriso, costante, è spezzato dalla consapevolezza che quel diritto alla propria terra ancora non è riconosciuto.

Lamma shoftak, di Annemarie Jacir

Aggiungo che ieri all’International, storico cinema di Berlino capitale della DDR, antistante il caffè Mosca con tanto di Sputnik, ho visto « La piscina »,
modesto film cubano, ma è stata una emozione sedersi nel meraviglioso cinema in stile real-socialista in cui negli anni ’60-’70-’80 tanti film cubani venivano presentati, mentre l’Occidente e l’Ovest manco li vedevano. Penso alle pellicole di Gutierrez Alea e ai tanti che con lui hanno reso il cinema cubano-rivoluzionario tra i più importanti del mondo.

Davide ROSSI

(presidente ASS. ANNA SEGHERS coll. CINECLUB VITTORIO DE SICA)

Da Berlino

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