Il centrismo radicale (e non equidistante) di Monti

Nelle democrazie contemporanee le élite competono tra loro al fine di formare maggioranze elettorali per il governo. Ma cosa sono le élite? Per definizione, le élite sono separate dalla gente comune nella misura in cui formano reti capaci di controllare risorse strategiche, terra, lavoro, capitale, informazioni.

Data questa definizione si può sostenere che, tendenzialmente, mentre le élite liberaldemocratiche cercano il consenso della gente comune con promesse di buon governo fondate su un’intrinseca abilità, quelle socialdemocratiche tentano di formare coalizioni che coinvolgano direttamente la gente comune, con impegni di maggiore uguaglianza mediante un ampliamento delle medesime reti.

Se la democrazia, a sua volta, può essere definita come una forma di organizzazione politica che coniuga libertà e uguaglianza sociale, allora una competizione bipolare tra élite liberaldemocratiche e socialdemocratiche dovrebbe essere funzionale al consolidamento democratico.

Per questa ragione, si è sempre lamentata l’assenza di forze effettivamente liberaldemocratiche e socialdemocratiche in Italia. Anche nel corso degli ultimi venti anni, caratterizzati da una tendenza al bipolarismo, un chiaro riposizionamento delle forze politiche nei termini appena accennati non c’è stato. Al punto che il ruolo del centro è tornato alla ribalta, forte della candidatura di Mario Monti alle prossime elezioni politiche di fine febbraio.

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Tuttavia il centrismo di Monti è molto strano, almeno quanto il suo recente governo. Per definizione, il centrismo interpreta i canoni del moderatismo e dell’equidistanza. Ma Monti ha dichiarato, al momento della sua salita in politica il 23 dicembre, che il nuovo centrismo è radicale. Radicale è opposto a moderato, e su questo non c’è dubbio.

Stando al dizionario Treccani, centrismo è addirittura sinonimo di moderatismo politico. Come spiegare questo incomprensibile ossimoro? Ovviamente è stato spiegato, poiché Monti ha fatto riferimento all’esigenza di riforme economiche radicali. Ma resta il fatto che occorre cogliere il senso di un radicalismo che si colloca in un’area moderata per definizione. Poi, secondo una notizia diffusa il 14 gennaio, Monti avrebbe aggiunto che il suo centrismo è anche non equidistante, poiché si contrapporrebbe in prima battuta al centro-destra di Berlusconi, ovviamente in vista di una possibile alleanza con il Partito democratico (qualora quest’ultimo vincesse le elezioni e, per effetto della legge elettorale, ottenesse la maggioranza alla Camera).

Ma come è possibile un centro che riesce a non stare in mezzo? La memoria può certo andare a Don Sturzo e a un noto articolo del 1923 sulla non equidistanza del centro, ma in quel caso si doveva tener conto del potere di Mussolini. Forse Monti pensa che Berlusconi sia un nuovo Mussolini? Certamente no.

La risposta ai nostri quesiti ha molto a che fare con la democrazia e la sua evoluzione. Sarebbe un errore cogliere nel lessico di Monti qualcosa di poco chiaro, un gergo che sa di politichese come al tempo delle convergenze politiche che restavano parallele. Monti evidentemente ha costruito la sua linea politica (chiamata Agenda) per rispondere ai mercati e alle attese di altri governi, quelli dell’Eurozona e degli Stati Uniti.

Le constituencies della sua lista, Scelta civica, vanno cercate non solo all’interno del paese, nelle reti senza risorse strategiche della gente comune, alle quali Monti si rivolge secondo una modalità tipicamente liberaldemocratica (significativo è l’appoggio di Montezemolo, esponente della grande industria) e solo parzialmente socialdemocratica (poco strutturato, infatti, è il contributo di un esponente di spicco dell’associazionismo cattolico, il prof. Riccardi).

Monti ottiene sostegno e risponde a interessi anche esterni, ossia di gruppi sociali che non votano ma possono far sentire il loro peso mediante quelle stesse reti attraverso le quali le élite si formano. Perché nell’epoca dell’europeizzazione e della globalizzazione tali reti sono sempre più transnazionali.

Se però questo peso è stato sufficiente a far cadere il governo di Berlusconi, non è detto che riesca a mettere in piedi un nuovo governo Monti uscito dalle urne. La democrazia sta cambiando pelle, ma la rappresentanza elettorale oppone qualche resistenza.

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Per governare Monti dovrà ottenere i voti degli elettori. Come? Tra i suoi competitori che impiegano modalità liberaldemocratiche ci sono Berlusconi e Oscar Giannino, quest’ultimo definito dall’ex ministro dell’economia Tremonti come il Cetto La Qualunque dei ricchi.
La lista di Giannino, Fare per fermare il declino, è in realtà molto più rivolta al futuro che al passato qualunquista. Ma se già Monti appare troppo avanti rispetto alle resistenze della democrazia elettorale, figuriamoci Giannino. Allora Monti deve prendere i voti degli elettori di Berlusconi.

Per fare questo non gli è sufficiente promettere di essere in grado di abbassare le tasse, come ha già iniziato ad assicurare, ma deve fare qualche promessa in più rispetto alla sua personale abilità di riuscire a fermare il declino. Innanzi tutto, dovrebbe attaccare solo Berlusconi e sul piano della credibilità, così chiarirebbe cosa significa non essere equidistante. In seconda battuta, dovrebbe riscrivere l’Agenda per dare contenuto al suo radicalismo (ovviamente narcotizzando Casini, il suo principale alleato che è tradizionalmente centrista).

Se non fa queste due cose, allora può solo sperare che Berlusconi non vinca e quindi proporsi quale Presidente della Repubblica in cambio del sostegno a Bersani in Senato (Casini permettendo). Con qualche successivo ritocco alla Costituzione, in modo da rafforzare i poteri di rappresentanza del Capo dello Stato, le élite transnazionali potrebbero ritenersi comunque soddisfatte.

(Nella foto in basso: Oscar Giannino, leader di Fare per fermare il declino).

Emidio Diodato

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Emidio Diotato
Professore associato di scienza politica presso l'Università per Stranieri di Perugia