Con Marina Valensise all’IIC di Parigi il sole sorge a Sud.

“Il sole sorge a Sud” (Ed. Marsilio, 2012) è il titolo del libro di Marina Valensise. Un viaggio contromano dalla Sicilia a Napoli, per parlare del Sud Italia. La direttrice dell’Istituto italiano di Cultura di Parigi, calabrese doc, con passione e vis polemica ci racconta il suo Sud. Fatto di gente che non si arrende, di occasioni mancate, di malapolitica, di ambiente, cultura, lavoro, educazione e di terre dalla bellezza rara, luoghi unici al mondo, una risorsa e un’occasione da non perdere più.

NG. Partiamo del suo recente libro “Il sole sorge al Sud” che ha un interessante sottotitolo: Viaggio contromano da Palermo a Napoli. Perché contromano?

Marina Valensise

MV. Contromano perché intanto è un viaggio che va da Sud a Nord quindi guarda il sud come se fosse il nord, un sud proiettato verso il nord, mentre noi abitualmente guardiamo il sud partendo da nord. L’ottica cosi è diversa. Cambia il punto di vista. Quindi è un viaggio da Palermo a Napoli mentre ancora una volta, abitualmente, chi va a sud parte da Napoli e poi va a Palermo. Poi contromano perché è un viaggio che disloca, non solo da un punto di vista geografico ma anche da un punto di vista intellettuale; cerca di andare contro i luoghi comuni, i pregiudizi, cerca di dare un’immagine diversa del sud. Noi siamo abituati ad avere un immagine nefasta del sud, come un mondo corrotto, in declino, brutto, abbandonato, pieno di abusi di potere. Non nego che sia in parte vero, pero’ nego che sia l’immagine unica, l’immagine dominante, l’immagine che bisogna trasmettere. Non è così. Questo libro dimostra che accanto a questo stereotipo « gomorra », che è stato vincente in questi ultimi anni, c’è un sud diverso fatto di normalità, di tradizioni, di buone abitudini, di consapevolezza, anche di orgoglio, di persone che sanno che li’ si vive benissimo, che la qualità della vità è eccellente, che c’è una dimensione comunitaria molto forte.

NG. Non so se sia dovuto al libro di Saviano, pero’ quando si sente parlare all’estero dell’Italia del sud la maggior parte (specie dei giovani) conoscono la mafia, la ‘ndrangheta, la camorra, ma non sanno quasi niente del Settecento napoletano, della ricca storia borbonica, del melodramma, di Pergolesi, …Al di là dell’immagine pessima ma realista del sud che ha potuto dare il libro “Gomorra”, non c’è anche una responsabilità della politica nella promozione di quello che è l’immagine del sud Italia?

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MV. Certo c’è una responsabilità politica perché l’italiano meridionale è un italiano costretto a emigrare, quindi l’italiano meridionale nel 90% dei casi odia la terra matrigna che lo ha visto nascere e lo ha costretto ad emigrare, a cercare una vita migliore in Argentina, in Germania, in America, in qualsiasi posto e questa altra vita sarà sicuramente migliore e più speciale di quella che ha avuto ad Avellino, a Tricarico … e quindi si porta dietro questo tasso di rancore e di disaffezione nei confronti della sua terra. E questo ha contribuito notevolmente al fraintendimento, alla non conoscenza effettiva del meridione.

Poi, ci sono gli italiani che emigrano e restano legati alle loro origini, ma questi sono solo i fortunati o le persone che hanno qualcosa di molto speciale e che possono restituire quello che hanno ricevuto, ma è lo 0,2% della popolazione! In genere, purtroppo, le persone sono
normali, ordinarie, non hanno avuto il tempo, i mezzi di studiare, non hanno avuto l’educazione per apprezzare, per avere un alto senso di consapevolezza.

Ci sono delle eccezioni che io racconto. Nel mio libro parlo anche di Francis Ford Coppola, uno dei più grandi registi contemporanei, l’autore del « Padrino ».
Bernalda

Lui è ritornato a casa (proviene da una piccola cittadina della Basilicata), in provincia di Matera, ha acquistato Villa Margherita che era il palazzo di una vecchia famiglia di Bernalda, trasformandolo in un resort a cinque stelle, poi ha comprato uno o due ristoranti (lì ci sono tutti i suoi cugini e parenti) dove si mangiano i « lampascioni », una specialità locale tipo cipollotti, e ha ridato vita ad una dimensione che diciamo è molto nobile perché lui ha potuto riconquistare, riassaporare quello che era “l’humus” in cui erano cresciuti i suoi nonni. E’ il segno che qualcosa sta cambiando, che il fatto di essere meridionali non è una tara di cui vergognarsi ma è un dato del quale tenere conto e che puo’ essere valorizzato. Perché li’ per motivi strani, che descrivo nel mio libro, non c’è stata l’industrializzazione, non c’è stato questo stravolgimento della vita anelato, non c’è stata questa anomia dei grandi centri urbani, li’ ci sono dei valori che resistono ancora, c’è un modo di vivere che rende la vita molto più gradevole di quanto non lo sia in posti sperduti come… le miniere di Metz.

NG. Ho notato che rispetto al testo della controcopertina dove emerge un certo pessimismo verso il meridione, nel suo racconto emerge viceversa un certo ottimismo. Lei citava l’esempio di Coppola. Ma a più riprese, sia parlando della Sicilia, quando mette in rapporto Palermo con Catania, sia quando parla della Puglia e non solo, lei fa emergere molti esempi di persone nell’ambito dell’arte, dello spettacolo, dell’impresa o del commercio, che sono delle persone vincenti che possono dare un futuro al Sud, una visione positiva…

MV. Diciamo che “Gomorra” dà le ragioni per fuggire, per morire, io invece dò le ragioni per vivere, resistere, per sperare, per essere contenti al Sud.

NG. Ecco, Lei parlava della industrializzazione; dal suo libro desumo che Lei non sia stata molto favorevole a un certo progetto di industrializzazione che si è sviluppato a partire degli anni ’60. Penso alle industrie chimiche in Sicilia, piuttosto che l’Ilva di Taranto, all’Italsider di Bagnoli a Napoli. Rispetto a questo processo lei sembra dire che in fondo questo smantellamento del sistema industriale nel sud Italia può aprire delle nuove prospettive e speranze.

Tramonto sullo Stretto di Messina

MV. Guardi, io non parlo di smantellamento perché penso che bisogna conservare quello che è stato fatto e cercare di farlo funzionare bene per garantire la salute, la sicurezza dei cittadini. Non sono favorevole allo smantellare. Certo ci sono esempi che gridano vendetta perché quando tu nel posto più bello del mondo, non solo d’Italia, che è lo stretto di Messina, con queste montagne che cascano a picco sul mare, e di fronte hai la visione dell’Etna, di tutta la montagna messinese, costruisci un porto che non serve a niente perché ci hai un impianto per la trasformazione delle proteine chimiche che è una bufala, che fai con questo porto abbandonato come una cattedrale nel deserto? Lo scandalo, te lo ricordi. Quella è veramente una cosa triste. E’ stata una truffa fatta a danno di una regione tra le più sfavorite d’Italia.

Bergamotto della costiera di Reggio

E’ la stessa cosa quando pensi che hanno espropriato centinaia e centinaia di migliaia di ettari nella zone più fertile della piana di Gioia in Calabria, per costruire il quinto centro siderurgico – quando la siderurgia era già in crisi in tutto il mondo – e volevano fare un’altra cattedrale pero’ poi il progetto è stato miracolosamente fermato dalla dissennata mano dell’uomo…, come è stato fermato il progetto di trasformare una centrale siderurgica in una centrale a carbone che avrebbe avuto delle ripercussioni di impatto ambientale tremende su tutta la vegetazione. E, adesso, un industriale genovese lungimirante ha avuto l’idea di farne un porto container. No, io in questo libro descrivo le scelte che sono state, non dico sbagliate, ma condivisibili solo in parte, sono state scelte dettate dalla cultura degli anni 50, 60, 70, una cultura fondata sull’industrialismo massiccio, sull’aiuto di stato, e sulla idea che bisognasse trasformare questa regione per creare dei proletari nuovi, un idea legata a questa ideologia della sinistra, che è un’ideologia che ha fatto diversi danni.

Noi quando diciamo il comunismo è durato 70 anni, dimentichiamo che per farne la storia vera anche delle sue ripercussioni negative sulla vita della gente, bisognerebbe aggiungere altri 70, altrimenti prima di 70 non si capisce quello che è stato il vero danno, e il danno secondo me è consistito nel fatto che ci sia stata questa ideologia statalista, assistenzialista e molto fondata sulla collettivizzazione che anziché sviluppare delle forme di imprenditoria diffusa, anziché dare degli incentivi alle persone singole che producevano in modo giusto, nuovo e innovativo, anziché favorire l’associazionismo, come nella Piana di Sibari dove ci sono cooperative agricole che hanno determinato una situazione molto più ricca e florida di quanto non sia nella piana di Gioia dove le cooperative non ci sono perché la proprietà è parcellizzata. Invece di fare tutto questo sviluppo legato alla ricchezza, all’idea, allo spirito d’iniziativa hanno pensato che questa ricchezza bisognava prima produrla e poi distribuirla secondo un progetto che ha favorito il nord anziché il sud.

NG. Insomma, creare delle industrie che non erano proprio legate al territorio?

MV. Non solo non erano legate, ma ne erano la negazione. Quando fai il centro siderurgico a Taranto, vuol dire che non hai idea di cosa puo’ essere lo sviluppo turistico. Pensi se al posto dell’Ilva di Taranto, avessero fatto un immenso porto turistico.

NG. Io ricordo che negli anni ’70 c’era una battaglia a Coroglio (vicino Napoli n.d.r.) sulla questione ambientale, c’era non solo l’Italsider o la Cementir ma l’Eternit che produceva amianto e ricordo che c’era una dura opposizione da parte del partito comunista e della sinistra in generale nei confronti di questa deindustrializzazione.

MV. Volevano non il posto di lavoro dell’operaio, ma una massa di operai per averne i voti.

NG. Secondo Lei la sinistra quanto sconta questa situazione ad esempio rispetto alla storia dell’Ilva di Taranto dove c’è questo conflitto tra lavoro e ambiente?

MV. La sinistra l’ha scontata, tanto è vero che non c’è più la sinistra. In Puglia c’è un Vendola, che è un ectoplasma della sinistra diventato ecologista e pure lui cerca di fare questa equazione impossibile sul fare ecologia con lo sfruttamento del territorio.

L’ecologia è una cosa nobile, bellissima ma se per fare l’impianto solare distruggi piantagioni intere…, e, poi, hai il problema degli scogli e dell’eolico. Siamo al punto di partenza. Bisogna trovare delle forme di sfruttamento che non siano cosi devastanti da un punto di vista ambientale che è l’unica vera risorsa che abbiamo. Una volta che costrusci una pala eolica non la puoi distruggere, e poi, il costo è assurdo perché la pala eolica produce un’energia che va consumata subito.

NG. Il sud è vulcanico cosa ne pensa del biotermico?

MV. Non siamo all’avanguardia nel biotermico che nessuno vede perché viene dalla terra e invece vogliono fare le pale eoliche, un vero business.

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NG. Il suo libro me ne ricorda uno che ho amato molto; mi riferisco a “Viaggio in Italia” di Piovene che fra l’altro Lei cita un paio di volte. Un ormai, per me, mitico e bellissimo viaggio nell’Italia negli anni cinquanta quando c’era questa grande speranza del boom economico.

MV. Bellissimo libro.

NG. Lei ha fatto un viaggio nell’Italia del Sud. Rispetto all’Italia di cui racconta Piovene, come trova cambiato il Sud della sua infanzia?

MV. E’ molto cambiato. E’ più ricco. Non si vedono più le donne con i piedi nudi, che trasportavano le olive sulla testa, sempre vestite nello stesso modo con una specie di camiciola nera. Le contadine che ho visto quando ero piccola non le vedo più. Oggi tutte le persone indossano jeans attillati, scarpe con il tacco, si truccano. C’erano queste donne con i capelli raccolti con la treccia intorno, il viso tutto pieno di rughe,
nessuno si metteva rossetto, rimmel. Adesso, c’è il benessere, la ricchezza. C’è un tasso alto d’istruzione, le persone parlano l’italiano. All’epoca mia molti parlavano solo il dialetto. Ora sono bilingue. Non è che sono 50 anni passati invano. Non dico che prima tutto fosse bello, ora tutto va male, dico solo che si poteva fare meglio. Il prezzo di questo benessere è che si è ad esempio devastato il territorio. Della Calabria conosciamo solo una piccola parte, conosciamo la costa, le balze dell’Appenino, ma non ne conosciamo l’interno.

NG. Lei fa e descrive un bellissimo percorso nell’interno.

Il sentiere dell'Inglese

MV. L’interno è una regione alberata e deserta. La Calabria sono alberi in mezzo al nulla. Ci sono posti bellissimi, di una bellezza eccezionale. Io sono tornata da poco da un viaggio nell’Aspromonte dove ho portato un amico fotografo che vuole fare un libro. Sono andata da Rosarno a Gioia, c’è una strade nuova che si chiama la “Ionica”, mi sono fermata in un posto che si chiama Limina, sono salita sulla super Limina e arrivata al passo del Mercante, che è un passo antico dove sono passati viaggiatori celebri come Edward Lear che andavano da un mare all’altro (perché non c’era la strada), sono risalita tutte le Serre fino a Gerace e poi….un altro giro, sono andata da Reggio fino a Pentedattilo. Il parco dell’Aspromonte è meraviglioso. Solo che quando racconto ai miei amici locali che ho fatto questo giro in macchina con questo amico dicono: « Veramente, non avete avuto paura?, che coraggio! perché nell’immaginario collettivo lì ci sono ancora i latitanti e i briganti che taglieggiano. Le strade sono abbastanza buone, si gira benissimo, una natura sontuosa, sublime perché sei sulla cresta di queste montagne, dove vedi solo cielo, monti, e al di là la Sicilia e i due mari. Spettacolare e nessuno la conosce.

Non nego che ci siano problemi di malavita, di criminalità organizzata però bisogna anche uscire da questa specie di gabbia mentale per cui Calabria = ‘Ndrangheta, quindi non ci metto piede.
Pentedattilo

Non è cosi. Hanno distrutto le coste, hanno urbanizzato in modo dissennato. Ad esempio, se lei va nel borgo antico di Nicastro vede un immenso viale, largo, sembra una piazza con palazzi antichi conservati benissimo poi esce dal centro antico e entra nella città moderna di Nicastro ed è un incubo. Ci sono palazzoni altissimi a 6-7 piani, l’uno sull’altro. Hanno voluto fare la metropoli come in alcuni posti in Sicilia. Mentre lì dovevano lasciare il piccolo centro di provincia che doveva respirare, doveva aver il suo rapporto con il territorio, doveva mantenere la sua struttura originale, fare case basse, magari farle più estese ma poche, e quindi un po’ la speculazione, un po’ l’insipienza, e anche il fatto che negli ultimi 50 anni i piani regolatori sono stati in mano a geometri che non avevano nessun controllo.

NG. Ma da questa industrializzazione, da un’idea del moderno si è passati ad un’idea postmoderna con la deindustrializzazione. Lei si sente di dare speranze al Sud? Come ci si salva? Cosa si dovrebbe fare?

MV. E’ molto semplice. Puntare molto sulla scuola, sull’istruzione scientifica, su dei centri d’eccellenza. Dai Borboni che sono stati sempre denigrati perché si la ferrovia la facevano per il re, si la fabbrica di Santo Leucio ma la facevano per le tappezzerie reali, pero’ avevano ideato un sistema, perché Napoli era nel ‘700 la prima metropoli, il primo porto del Mediterraneo ed era sopratutto una città che competeva con Londra e Parigi in termine di grandezza, quindi a Napoli c’era una corte, un’intellighenzia, degli stampatori, dei libri, beh che cosa avevano fatto i re borboni, avevano stabilito che per l’industrializzazione o la modernizzazione dell’agricoltura nelle regioni del sud, che erano delle regioni povere, disabitate, dove la gente moriva di fame, si creassero delle cattedre itineranti di agrimensori, di agronomi che viaggiando con il loro equipaggiamento spiegassero alle popolazioni come coltivare la terra, quali produzioni favorire, come fare ricerca, le tecniche più adatte. Se lei legge il « Il ‘700 riformatore » di Venturi, capisce che il primo catasto moderno non è che l’hanno fatto a Milano, l’hanno fatto a Napoli all’epoca di Carlo III di Borbone. E lì succedeva che c’era un’attenzione scientifica, illuministica verso la “buona” amministrazione, verso la modernizzazione.

Noi dopo anni di dissennato populismo, di demagogia elettoralistica per cui qualsiasi deputato o aspirante tale arrivava, prendeva voti e non faceva niente, dovremmo ritornare alla buona amministrazione, naturalmente non dico borbonica, anche se spesso da una destra, come ricordo nel mio libro che proveniva dal nord come quella del ministro Zanardelli. Bisognerebbe fare un grandissimo sforzo per diffondere l’istruzione scientifica e per favorire l’innovazione tecnica, tecnologica. Diciamo che è una storia periferica, ma tutto è periferico e non può non esserlo. Bisognerebbe fare lo sforzo di valorizzare l’intelligenza locale e anziché aprire facoltà di lettere e giurisprudenza aprire più facoltà d’informatica di economia digitale di matematica. Ecco soprattutto la conoscenza scientifica e poi stabilire un sistema premiale, concorsi d’emulazione, favorire il merito, l’ingegno, la passione. La scuola oggi non offre abbastanza incentivi ai giovani

NG. Non le sembra che a distanza di 150 anni dell’Unità d’Italia che questo sud, come succede nel nord, resta segnato da un certo campanilismo ad esempio la differenza e il contrasto che lei racconta nel libro tra Palermo e Catania.

MV. Tutta l’Italia è segnata dal campanilismo.

NG. Come si spiega? E’ un segno di speranza, di rinuncia, l’attaccamento alla propria città?

Foto di Renato Marcialis

MV. Io penso sia un dato italiano pero non è solo italiano. Lo troverà anche qua in Francia. Se sei Bretono, Corso o di Marsiglia. In Francia c’è un amalgama, è un paese rivoluzionario, hanno creato un’elite sociale fondata sul merito, sull’educazione, sulla scuola e l’hanno fatto con una maggiore integrazione di quanto l’abbiamo fatto noi. Ecco, la Filipetti, voi non sapete che è figlia di un minatore italiano, tuttavia, grazie all’ENA (Ecole Nationale d’Administration), come pure Rachida Dati, ha avuto la possibilità di fare carriera fino a diventare ministro della cultura dell’attuale governo.

In Italia succede di meno, in modo meno strutturato, perché noi abbiamo un’istruzione diversa da quella francese. Il campanilismo quindi c’è in tutta Italia. Il campanilismo nel sud assume una tasso di passionalità che altrove non c’è. Nel caso positivo il calabrese è fiero di ritornare a casa sua, vuole mangiare le cose che gli faceva la nonna (vedi Francis Ford Coppola). Nel caso negativo vuole dimenticare il mondo in cui è nato, negarlo e fuggirlo. Io ho scritto questo libro per dimostrare che il sud è una risorsa a condizione che si sia consapevoli dei suoi pregi, si cerchi di capire che noi abbiamo un valore aggiunto in più rispetto al resto del mondo, che è fatto dalla bellezza naturale, fatta dalla genuinità, della componente umana, un caso raro, quasi unico, in un mondo in cui tutto si piega alla logica del mercato, invece lì troverà delle forme di generosità quasi sacrificale.

MG. Andiamo all’ultima. Nel suo libro Lei racconta un sacco di cose e da’ un sacco di informazioni e si sente anche la fortissima passione che la lega alla sua Calabria, in generale al Meridione. Ora finalmente lei è direttrice dell’IIC. Pensa di fare qualcosa per portare anche in questa sede parigina un po’ del sud?

L'Hotel de Galliffet

MV. Beh, intanto io ho inaugurato la mia direzione con quattro programmi:

Il primo si chiama “Les Promesses de l’Art” e noi ogni mese nella sede storica dell’Hotel de Galliffet che si apre a residenza d’artista ospitiamo un giovane artista, una volta uno scultore, un pittore, adesso abbiamo un fotografo, poi avremo un cineasta, uno scrittore, un musicista che vengono a Parigi, stanno per un mese e ci offrono un’opera che noi esponiamo. Poi un altro programma che si chiama “I Magnifici Dodici” in cui raccontiamo l’Italia attraverso la vita e la visione di uno dei suoi esponenti d’eccellenza, quindi abbiamo cominciato con i fratelli Taviani, poi Raffaele La Capria, Marco Paolini..e via dicendo.

Un altro progetto: “Dialogues d’auteurs” con uno scrittore o un autore italiano con il suo omologo francese. Infine “L’Italie et Moi”. Noi invitiamo delle personalità francesi o residenti in Francia a raccontare la loro Italia. Abbiamo inaugurato questo ciclo con una polacca che si chiama Bożena Anna Kowalczyk e che ha organizzato qui a Parigi la mostra su Canaletto al museo Jacquemart-André, poi con Dominique Fernandez in occasione della pubblicazione di « Rêveries italiennes ».

Ogni volta che noi abbiamo una di queste iniziative noi offriamo un « vin d’honneur » con dei prodotti tipici locali italiani e questo bicchiere di vino ogni stagione cambia. Per l’autunno era un vino toscano, il Castello di Romitorio, per l’inverno sarà un vino calabrese. Sarà un vino doc delle cantine Odoardi , una delle sette meraviglie del mondo, che viene prodotto da un medico di Sant’Eufemia Lamezia (vicino a Nocera) che ha ereditato di questi vini e attraverso studi di altissima tecnologia, ne ha fatto un prodotto eccellente. Un modo quindi molto concreto di rappresentare un mondo che nessuno s’immagina perché per i vini si dice ah, si c’è il Barolo, il Pinot grigio, invece uno dei migliori vini al mondo si chiama Odoardi e si beve pochissimo perché non è molto conosciuto.

Intervista a cura di Nicola Guarino e Michèle Gesbert di Altritaliani

Pubblicato il 20 dicembre 2012

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Nicola Guarino
Nicola Guarino, nato ad Avellino nel 1958, ma sin dall’infanzia ha vissuto a Napoli. Giornalista, già collaboratore de L'Unità e della rivista Nord/Sud, avvocato, direttore di festival cinematografici ed esperto di linguaggio cinematografico. Oggi insegna alla Sorbona presso la facoltà di lingua e letteratura, fa parte del dipartimento di filologia romanza presso l'Università di Parigi 12 a Créteil. Attualmente vive a Parigi. E’ socio fondatore di Altritaliani.

1 COMMENTAIRE

  1. Con Marina Valensise all’IIC di Parigi il sole sorge a Sud. C’è assolutamente bisogno di libri come questo
    Mi complimento per il suo libro che scopre tutto il positivo di questo territorio.
    Forse per meglio vederlo e capirlo bisogna uscir fuori dalla realtà contingente che ancora isola e rsttrista. Le risorse da sfruttare sono il sole e l’aria ed il verde delle campagne oltre al patrimonio storico remoto.

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