“Dignità Autonome di Prostituzione” è uno spettacolo di Luciano Melchionna (dal format di Betta Cianchini e Luciano Melchionna), arrivato forte del successo di pubblico raccolto in passato e per la sua originalità, al quinto anno di repliche. E’ attualmente in scena al Teatro Ambra Jovinelli di Roma, fino al 4 novembre. Abbiamo incontrato il regista per fargli alcune domande.
B.: Come nasce “Dignità autonome di prostituzione”?
M.: DAdP nasce da un percorso: è un punto d’arrivo che si è trasformato immediatamente in un nuovo punto di partenza. L’idea di “Dignità” è nata a Pompei da me e Betta Cianchini che eravamo in giro con un mio spettacolo e riflettevamo sugli attori che si ‘s-vendono’. Abbiamo buttato giù l’idea immediatamente, e l’abbiamo depositata come format, visto le mille potenzialità del progetto. Poi ho cominciato a realizzare quell’idea attraverso la mia poetica, il mio mondo visionario e allora ho creato la “strana Famiglia” tenutaria del bordello e ho scelto le location e gli artisti, pescando prima nel mio bagaglio di regista e poi attraverso accurati provini. Con gli attori io muovo un lavoro minuzioso e ‘maieutico’ – come amo definire il mio ‘metodo’. Da allora ad oggi ho lavorato con oltre 170 artisti in questo spettacolo. E ogni edizione di DAdP è ogni volta assolutamente diversa dalle precedenti.
B.: Un incontro importante, quello con la Cianchini, da cui è nato DAdP…
M.: Sì, un incontro avvenuto molti anni fa, quando sostituì casualmente un’altra attrice in un mio spettacolo. Da allora è una mia geniale e speciale compagna di viaggio, ormai. Ci siamo immediatamente sintonizzati sulle frequenze dell’anima, del ‘sentire’, e ogni cosa che facciamo prevede prima di tutto meritocrazia, rispetto e profonda onestà intellettuale.
B.: Come nascono le “pillole di piacere”?
M.: La prima pillola che ho messo in scena è stata “Nella” con Lucia Mascino in una stanzetta di un centro sociale/culturale. Le chiamo pillole perché funzionali ad una terapia di riavvicinamento del pubblico al teatro, che altrimenti viene vissuto in modo quasi “punitivo” ormai, troppo spesso a ragione. Se camminando per strada vedo qualcuno che stimola la mia fantasia, provo a immaginare la sua storia e la scrivo pensando a “Dignità… ” che infatti risponde proprio a questa mia esigenza profonda. Emozionare e pensare sono per me sinonimi: non credo si possa emozionare solo utilizzando il cuore. Alla fine dello spettacolo non mi basta il “Bravo”, preferisco: “Mi hai emozionato”.
B.: Come mai nel Gran Finale hai privilegiato uno stile d’avanspettacolo che stride con lo spessore emotivo delle “pillole”?
M.: Nel Gran Finale c’è la commedia dell’arte e la satira della televisione e delle sue starlette, e per televisione intendo quella peggiore ovviamente. Buttarla in caciara è provocazione pura: “Finiamo in bellezza! Che vuoi che sia!?”. Ma dentro le stanzette il pubblico ha ricevuto emozioni forti. A quel punto non mi sembra necessario chiudere sullo stesso tono, infierire ancora sull’emotività del pubblico, sarebbe un eccesso di presunzione e di superbia intellettuale. Uscendo dal mio spettacolo il pubblico ha avuto sufficienti imput emotivi e non.
B.: Quanto il concetto della prostituzione dell’arte è importante nell’economia dello spettacolo e quanto vuol essere una denuncia?
M.: È esattamente sui due piani. L’elemento della prostituzione funziona, perché è sia un ironico “specchietto per le allodole”, sia fortemente provocatorio e di denuncia. L’attore per poter esistere deve esibirsi, e dunque spesso lo fa in qualsiasi condizione e a qualunque costo. Questo spettacolo è una provocazione che non riguarda solo il pubblico, infatti, ma anche gli attori. L’arte va tutelata di più, e gli artisti stimolati a tener alto il loro senso critico e la ‘dignità’ che troppo spesso “i macellai della cultura” tentano di schiacciare.
B.: Scene corali, proiezioni video, musica, monologhi e finale in stile avanspettacolo: eclettico, miscellaneo, postmoderno. Un aggettivo per il tuo spettacolo?
M.: Posso essere presuntuoso?
B.: Presuntuosissimo…
M.: Ne conio uno, ora: Melchionna! Nel bene e nel male, ovviamente! Io sono questo miscuglio di contrasti. Ho 45 anni e in me vivono moltissime nozioni che si confondono, contaminandosi in continuazione.
B.: Luci rosse e trucco squagliato: perché hai scelto questa atmosfera di decadenza?
M.: Mi piace l’idea di raccontare un mondo vizioso, discinto, senza bellurie: perché è così che lo vedo. E a me non piace girare intorno alla verità, alla mia almeno. Mostrarla mi rende più positivo e ottimista di tanta gente che si dichiara tale facendoti vedere un mondo patinato e perfetto, perché mi costringe a rimboccarmi le maniche per migliorarla.
B.: Melchionna dopo?
M.: Forse si rimette a studiare e sparisce dalla faccia della terra. Scherzi a parte, ho in giro alcuni monologhi tra cui “L’anno del pensiero magico” e “Post partum” (della stessa Cianchini). Una mise en space de “La calunnia”, il testo da cui è stato tratto il film degli anni ’60 “Quelle due”, e sto preparando “Ricorda con rabbia” di Osborne con Stefania Rocca e Daniele Russo, con il quale tornerò all’Ambra Jovinelli di Roma ad aprile. Ho in mente anche un bellissimo film ma è ancora un segreto…
Intervista di Carlo Baghetti