La Lione – Torino. Il treno dello scontro.

Treni ad alta velocità o No TAV? Un argomento che suscita divisioni e polemiche. La Lione – Torino; un’opera utile? Inutile? E i pacifici valleggiani che manifestano sono le vittime anche delle infiltrazioni politiche di esagitati, massa di manovra di politici che speculano? O le loro preoccupazioni e le loro proteste hanno una giusta ragione? Comunque la pensiate, Marina Mancini ci racconta l’incontro con una di loro.

Basta con le polemiche, cedo al silenzio e mi dedico a raccontare degli incontri e ieri, la mia domenica di pace e tranquillità intellettuale, è stata piuttosto feconda in questo senso.
Io amo il rischio, mia mamma me lo ha sempre detto che sono una scavezza colli, ma se una cosa non la conosco, se un pezzo di storia o attualità mi sfugge, faccio in modo di incontrarla.

E così, spinta da uno smisurato e smodato eccesso di curiosità, rischio la pelle e invito a casa mia una pericolosissima sovversiva NO TAV. A nulla servono le sue pretese di mostrarsi brava ragazza, una ventenne armata di giacchettina e jeans che da subito, al cancello, intrattiene rapporti amichevoli con i miei fidi e feroci animali ( le mie due cagnoline una tacca di coraggio e mezzo). Fortuna che la stazza della tipa è tale che, penso subito, anche un colpo di piedino ben assestato di Francesca la può mettere ko, se solo prova a usarci violenza, la pericolosa criminale!

Ma accetto il rischio perché c’è questo tunnel immaginario che unisce Francia e Italia, arcobaleno dei sogni in fase di messa in scena, e vuoi che proprio su questa rivista non se ne parli? Questo tunnel dei desideri che ci unisce e ci avvicina come un sol popolo. (“Urrà!!!” grideranno d’oltralpe)

E’ storia che gli amici francesi siano poco interessati alla faccenda, anzi, è notizia recente (12 luglio 2012) che la Francia stia ripensando al progetto della Torino –Lione perché troppo costosa. Gli italiani, se non fosse per quei quattro delinquenti che fanno casino e si mettono a protestare, non si lascerebbero toccare dalla vicenda che,ormai, è nota e stranota, spero.

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La questione è semplice un treno che percorre una valle (Val di Susa) e un traforo che attraversa la montagna (le Alpi).
Tutto chiaro, la valle, la gente che la abita, però quella ferrovia e quel grosso buco nella montagna non lo vogliono. Le ragioni sono tante.
Vent’anni fa le istituzioni politiche Europee e Italiane hanno deciso che il progetto dell’alta velocità su quel tracciato, Torino –Lione, fosse fondamentale, questo vent’anni fa nel frattempo, mi dico, magari le cose saranno cambiate, saranno modificate le necessità, sorgeranno altre opportunità? E invece no, quello che era fondamentale vent’anni fa, lo è anche oggi.

Il mondo si trasforma, progrediscono le tecnologie, si modificano le geometrie dell’ abitare la terra ma in val di Susa, evidentemente, tutto ciò non è successo.
Ma questo non è sostanziale perchè quello che oggi non è accettabile per gli abitanti della valle, non lo era nemmeno vent’anni fa. E non lo sarà nemmeno tra trent’anni, il tempo che si stima sia necessario per terminare i lavori.

Questo rifiuto gli è costato dolore, fatica e grosso impegno, questo almeno glielo si deve riconoscere.
Tutta la fatica di dover sempre vivere in trincea, di dover masticare pane amaro e NO TAV, di dover gridare continuamente le ragioni della buona convenienza fino allo stremo, gli è costato dover cocciutamente impegnarsi e difendere, contro uno stato che si presenta grande e grosso, le loro terre e le logiche di rispetto e amore per la loro valle, contro i teoremi del progresso quantificato centimetro per centimetro in un congruo profitto.

Ci hanno detto che sono pericolosi, che sono terroristi. “Attenzione” gridava Bersani nella trasmissione Servizio Pubblico del 1 marzo 2012 “ Tre volte attenzione, ci sono componenti violente, eversive…le abbiamo già viste ste cose”.

Io le ho viste le immagini, facce di ragazze, di ragazzi e di gente che faceva resistenza al pubblico ufficiale, ovvero resistenza passiva, ovvero immobili mentre venivano caricati di peso da poliziotti e carabinieri in tenuta anti sommossa, non mi sembravano troppo diverse, quelle facce, dalle persone che incontro tutti i giorni all’uscita da scuola o nei negozi, volti di gente normale, cittadini e cittadine senza segni particolari di nocività.
Ma vediamoli, incontriamoli questi devastatori, cerchiamo di capire meglio.

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E una di loro oggi c’è l’ho davanti, una ragazza di vent’anni, una manciata appena di estati sulle spalle. Faccia pulita, capelli lunghi, neri, piccola, determinata e ostinata come il volo di un gabbiano. Bella, come solo sa essere bella una ragazza a quell’età che spende i suoi giorni tra lo studio, si è appena diplomata e inizia l’università, e le lotte che la spingono a percorrere centinaia di chilometri su treni scontrosi e poco accoglienti. Estremamente seria e composta mentre mi spiega le sue verità che scivolano semplici nelle parole chiare che mi suonano di assoluto buon senso e onestà.

Mi racconta del dolore, delle mortificazioni continue, dell’incredulità di fronte a meschine azioni che si trasformano in inaccettabili bugie ma soprattutto della paura.
In valle lei c’è stata un infinità di volte. Precisa, come durante un interrogazione, comincia sciorinare una lunga lista di date, che io, pressappochista come pochi, ad un certo punto taglio : “Va bhè ci sei stata spesso!”

Mi racconta che, appena scesa alla stazione di Chiomonte, la prima volta, sola e senza riferimenti. non sapeva che fare, la salva la sua bandiera NO TAV, quella, tu guarda il destino bislacco che, invece, è costato un fermo della polizia ad una ragazza a Roma.
Una signora del posto la vede, vede la bandiera, gli chiede se deve andare su in valle e l’accompagna. La bandiera è la sua chiave, il codice di accesso ad una collettività che si conosce e riconosce in un comune e intenso obbiettivo e trasforma le distanze di luoghi e vissuti in una sola solidarietà e complicità.

Si sente accolta quando sta in valle, “questa è la partecipazione che sogno”, mi dice,” e che vedo realizzata quando la val di Susa mi ospita”.

E poi il racconto continua, copioso di immagini viste ed emozioni provate, non riesce ad accettare l’offesa dei bulldog che devastano le terre in cui sorge il cantiere. “ Ma ti rendi conto?” mi dice ancora incredula, “Hanno abbattuto alberi di 200- 250 anni”.
E poi il percorso su sentieri piccoli, insolenti, con il cuore a portata di denti, in silenzio. Le azioni di disturbo nel tentativo di ostacolare il così sia, detto e deciso a suon di dispacci e disposizioni istituzionali. Si battono le lamiere, si bloccano le strade, si taglia il filo spinato, si fa cedere il muro intorno al cantiere.

Di giorno e di notte la stessa partecipazione umana, il giorno e la notte che si confondono, il sole di giorno, i fari dei cantieri proiettati nel nulla di notte. Gli animali scombinati da questo fuso orario alla rovescia, scenario sgarbato, congelato nella luce perpetua che li condanna, soprattutto quelli che vivono la notte, ad una confusione innaturale. “E poi scrivono che gli uccelli non nidificano più per colpa dei No TAV”.

Ancora il rumore osceno delle trivelle che squarciano e offendono il silenzio, la valle e le originarie atmosfere.
Poi mi racconta della paura e quella si che le fa tremare gli occhi, più dell’indignazione, me lo ripete spesso :“Certo che ho paura, paura vera, paura di morire, quelli fanno male, i colpi di manganello ti risuonano nel cervello e spaccano le ossa e hai l’angoscia di soffocare quando ti sparano i lacrimogeni”. Me lo descrive dettagliatamente l’incontro con il gas nocivo che urtica e brucia la pelle, irrita gli occhi e oltraggia i polmoni.

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Chi si regge soccorre gli altri buttando sulle facce ustionate malox , riopangel, limone o cedendo le proprie maschere antigas. Ci si arrangia come si può, in quella confusione di rabbia e polvere, per proteggere, proteggersi e sostenere i compagni dalle cariche delle Stato.

Il filo spinato d’acciaio, quello di fabbricazione israeliana, non a caso, loro sono esperti di espropri, che si aggrappa e entra in profondità nella carne in una stretta amara e dolorosa, lei i suoi lampanti segni li porta sulle gambe.

“Chi te lo fa fare?” le chiedo. La sua risposta mi inchioda per la sua grandezza e bellezza:“Perché ho più paura di quello che può succedere se non lotto”.

Non ho da restituire nulla, davanti a questa montagna di coraggio e splendore, resto in silenzio, provo, tuttavia, insospettata, una profonda gratitudine.

Mi chiedo perché? E poi la risposta entra prepotente e mi costringe a guardare mia figlia. Io non farei lo stesso per salvare la sua salute e i miei, i nostri spazi e confini umani? Perché di questo si parla.

Quando ero stupida mi sembravano strane dicerie il racconto delle conseguenze che può avere l’inquinamento sulla salute della gente. Troppo lontana la morte per credere che certe sostanze ti bucano la vita e te la restituiscono a brandelli e tumori. Poi l’ho capito.
Si, mi dico, io farei lo stesso.

Perché c’è questa logica sottosopra della salvaguardia della salute delle persone che ti piazza turbo gas, discariche o inceneritori a giro di vento, dietro l’angolo, a distanza di naso e non capisci le ragioni finché non ti capita di leggere la lista approssimativa di quelli che ci guadagnano, politici, industriali, gruppi bancari.
E’ un fatto che nel suo grembo le Alpi contengano amianto e uranio, è accertato che, già dopo le prime trivellazioni a scopo esplorativo, la densità di questi gas tossici è aumentata nell’atmosfera.
Mi piaceva quello che diceva il Signor Bersani in quella già citata trasmissione televisiva, “E’ una ferrovia…”

Allora, signor Bersani, se è solo una ferrovia, perché non ripristinate quella già esistente, le rifate il trucco, le oliate un pò i binari o che so io! La rendete moderna e funzionante (è già che ci siete date, anche, una ritoccatina alla ferrovia tutta che piange per oscenità e indecenza nel resto d’Italia) e liberate la valle, la gente che vi abita, sgombrate l’assedio e li lasciate vivere come dignitosamente vogliono. Ma forse mi sbaglio.

Marina Mancini

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