Dalla sua Bologna, intervista a Matteo Costa di Garrincha Dischi

Musica d’autore nel periodo dell’odierna crisi internazionale vuol dire il ritorno alle piccole etichette musicali, fiorenti negli anni sessanta. Una riprova è Garrincha Dischi, un’etichetta piccola ma dinamica, diretta e “alla mano” che ricalca la storia di una delle città più significative della musica italiana: Bologna. Matteo Costa, fondatore e musicista, ne svela la storia e ci racconta del suo primo disco solista “Sono solo matti miei”.

Garrincha dischi, una etichetta indipendente “che nasce con l’intento di battersi tenacemente contro tutte le ostilità del sistema discografico”, puoi descriverci il momento in cui è partita la scintilla di questo progetto interessante?

Non c’è un momento esatto in cui ci s’innamora; per comodità, perché amiamo le ricorrenze, decidiamo che ci siamo innamorati il tal giorno, così che possiamo festeggiarlo, ecco… quindi non so quando per l’esattezza.
Il primo disco è uscito in aprile 2008, ma non c’era coscienza ne l’incoscienza di cosa stavamo andando a fare. C’era un disco, doveva uscire, non volevamo stare ai tempi di nessuno o forse nessuno voleva pubblicare quel disco, fatto sta che là è nato il marchio ed il nome. Come poi siamo finiti a far uscire tanti dischi…ecco è po’ complicato risalire al perché delle cose. Comunque tra i perché c’è:

-perché ci piace

– perché se non lo facevamo noi allora chi?

-perché era il momento più sbagliato per farlo,

-perché curavamo già tutte le altre fasi allora perché non chiudere il cerchio,

-perché così so sempre cosa regalare quando è il compleanno di qualcuno e mi son dimenticato di comprargli un regalo.

Cosa offrite, in concreto, ai musicisti che si rivolgono a voi?

Offriamo amicizia, grigliate, partitelle a calcio, ritrovi di classe, tornei di risiko, cenoni di fine anno, una cura a 360 gradi dell’uscita di un disco, laddove è necessario offriamo uno studio di registrazione, dei grafici creativi e preparati e poi la formula dell’ingrediente segreto Garrincha con il quale anche la più triste delle feste di compleanno diventa uno spasso.

Copertine Garrincha

Avete contatti con altre etichette indipendenti italiane ed estere?

Certamente, contatti umani, ci piacciono le persone vere, quelle con cui bere una birretta, con cui magari nemmeno si parla di musica; ci piace, per ora etichette soprattutto italiane e, per ovvi motivi, viene più facile con quelle concittadine ma chissà, per il futuro… quando la canzone italiana cantata in italiano riconquisterà l’intero pianeta, Garrincha sarà in prima linea!

Nei vostri quattro anni di vita quali sono stati i momenti di soddisfazione e quali di disperazione?

“Turisti della democrazia” della band Stato Sociale con le sue 2500 copie in appena 5 mesi è certamente motivo di soddisfazione. Disperazione mai. Momenti di scoramento, tanti ma superabili. Basta dormirci su, mangiare bene, suonare tanto e ridersi addosso tantissimo.

Oltre che fondatore di Garrincha Dischi sei anche musicista. E’ un aspetto che ritieni invalidante o stimolante?

Se non fossi stato musicista non sarebbe esistita Garrincha, se non avessi uno studio mio nel quale ospitare gli artisti non sarebbe esistita Garrincha, se non fossi un casinista non esisterebbe Garrincha, se fossi per gli investimenti sicuri non avrei mai fondato Garrincha, se non fossi andato “giù di testa” per la musica avrei fatto altri studi e certamente sarei finito altrove, a fare altro.

Nella scorsa intervista con i Legittimo Brigantaggio, Gaetano Lestingi, diceva che nella musica “il problema è la decadenza intellettuale che si percepisce ogni giorno di più. Sembra quasi che l’intelligenza collettiva vada scemando, addirittura la musica cosiddetta “indipendente” non emoziona più come un tempo: è il periodo storico della disillusione.” Sei d’accordo?

No. Credo che oggi come mai ci sia un sacco di musica incredibile, sono certamente in tanti quelli che seguono le mode con la garzantina e producono prodotti ineccepibili e quelli certamente non emozionano. La perfezione non mi ha mai emozionato. Ma in mezzo a questo caos c’è tanta musica splendida ma soprattutto c’è tanta, troppa musica; il problema secondo me è questo semmai, che c’è così tanta musica che poi si fa fatica a sentirla tutta, ad appasionarsi ad un artista in particolare. Gli artisti fanno fatica a lasciare il segno perchè sono tanti ed in pochi riescono a vivere con naturalezza il loro essere artisti. Penso a band come lo Stato Sociale, gente vera, semplice, se vuoi talvolta pure sboccata ed eccessiva, ma vera.

Passiamo al tuo primo album solista dopo diverse collaborazioni: “Sono solo matti miei”. Ti sei voluto raccontare attraverso la musica. L’autobiografia è, in breve, uno strumento per capire sè stessi e dove si sta andando. E’ così? Quant’è legato invece al tuo lavoro di educatore in centri psichiatrici e a storie “altrui”?

Il mio disco è un disco che ho finito perché era più semplice concluderlo e pubblicarlo che tenerlo lì, nascosto, in attesa, in punizione, inconcluso. Le canzoni c’erano. Erano venute da sé, ha avuto significato solo riregistrarlo meglio, far risuonare alcune parti che avevo scritto e registrato inizialmente con la melodica ai fiati ed agli archi.

Il mio primo album è diventato tale per eccesso di sincerità, perché non poteva essere un disco di una band, perché era troppo folk e troppo swingato per essere un disco dei 4fioriperzoe. Perché volevo togliermelo dalle scatole.

I miei lavori veri, sono due e quello del musicista non rientra nei due. Lavoro con i matti, faccio l’educatore da un lato e produco dischi (L’orso, Lo stato sociale, 33ore, l’Officina della Camomilla) per Garrincha Dischi. Entrambi sono stati utilissimi a dare la giusta dimensione a queste canzoni. Sono canzoni che parlano di cose semplici, se vuoi banali, che non avrei scritto se Matteo Costa fosse il mio lavoro.

Non c’è la necessità di scrivere per riempire un disco, non c’è la necessità di comunicare ad un pubblico, c’è piuttosto la necessità di farsi capire dal destinatario della canzone, ecco, quelle sono lettere, mail, sms, indirizzati a persone ben precise, che esistono per davvero, che portano quei nomi li, che hanno calpestato i luoghi di cui parlo nelle canzoni, rapporti che se non soffrissi di una certa “sindrome dell’infermiere” probabilmente mai avrei vissuto.

Ho capito negli ultimi anni che c’è un certo magnetismo che mi porta ad avvicinarmi ai matti. La mia vita anche fuori dal centro in cui lavoro, ne è piena. Poi c’è il lavoro in studio con i gruppi che ti ho citato prima, che mi ha permesso di lavorare con leggerezza e serenità anche su questo disco, così mio, così intimo. Di non pensarlo come “il disco della vita” o “il disco della svolta” come spesso invece l’artista tende a pensare ogni volta che entra in studio. Me lo sono vissuto bene, da produttore. Sarà che era già tutto scritto, che ho dovuto solo scegliere cosa tenere fuori e cosa includere, insomma questo disco è quello che è grazie ai miei due lavori veri. E’ così perché non l’ho pensato come un lavoro ma come un lavoretto. Hai presente quelli che facevi alle elementari per la festa della mamma? Ecco tipo quello. L’ho fatto per regalarlo alla mia mamma

Parli molto d’amore in questo disco sempre attento a non sciuparlo e ad allontanarlo dalla facilità con cui viene usato generalmente dal pop italiano. Quali donne hai cantato? Sono reali o immaginarie? Qual’è il rapporto fra donna e la tua poetica musicale?

E’ tutto vero, è tutto li, qualche volta ho rimescolato le carte e mischiato situazione e persone, ma è raro, in linea di massima I nomi sono giusti. Elena è veramente Elena, Zoe era ed è Zoe, mio papà è mio papà e la nonna è la nonna per davvero. Laura è Laura e Bologna è Bologna e fa sempre da sfondo a tutto. Quando non è così allora c’è un dettaglio a ricordarvi e ricordarmi che per esempio eravamo nel Monferrato, vedi il drink Sand Simone che da quelle parti è tanto apprezzato ed a Bologna non si beve pressochè mai. Le persone che ho cantato, per lo più donne erano indubbiamente persone con le quali non riuscivo a farmi capire ed ho sperato che la scrittura potesse risolvere alcune incomprensioni.

Matteo Costa

L’Emilia e, in particolare, Bologna sono ancora il centro della musica italiana? Quali zavorre devono togliersi per tornare al fasto delle decadi passate? Cosa chiedi alla tua città?

Bologna è incredibile, a Bologna io ci sto bene, a Bologna c’è Lo Stato Sociale che è la cosa migliore che sia uscita da tempo, a Bologna ancora Carboni scrive delle belle cose, a Bologna c’è Cremonini, ci sono delle splendide piazze, a Bologna c’è 33ore che è una delle migliore penne in circolazione e con lui ci sono I Bolognesi Acquisiti, belli loro, poi c’è il degrado, dicono, ma poi mi indicano una piazza piena e un vociare allegro ed allora, a Bologna mi piace pure il degrado. A Bologna c’è Trovarobato, Unhip, La Fabbrica e Locomotiv Records. A Bologna ci hanno vissuto in tanti, mi vengono in mente Dimartino ed I Marta sui Tubi. Poi c’è l’Emilia e lì, a due passi abbiamo I Gazebo, gli Offlaga, la Cyc Promotion ha sede in Emilia. A Bologna abbiamo il tpo, il Locomotiv, l’Estragon, il Covo, ci sono un sacco di contraddizioni, insomma c’è vita. Ma tanta. Alla mia città chiedo solo di non cedere ai vecchi, a chi vuole più silenzio, a chi vuole dormire, a chi vuole la musica solo nei palazzetti, fuori città.

Pietro Bizzini

www.garrinchadischi.it

Il canale youtube di Garrincha dischi

www.twitter.com/garrinchadischi

www.myspace.com/garrinchadischi

Article précédentVisite-guidée Altritaliani: « De Canaletto à Guardi. Les deux maîtres de Venise » – Musée Jacquemart-André
Article suivant30e édition Annecy Cinéma Italien 2012

LAISSER UN COMMENTAIRE

S'il vous plaît entrez votre commentaire!
S'il vous plaît entrez votre nom ici

La modération des commentaires est activée. Votre commentaire peut prendre un certain temps avant d’apparaître.