Lingua. L’italiano e il paziente inglese.

Proprio vero, agli italiani piacciono gli stranierismi. Ma da sempre. E’ come una mania. All’inizio del secolo scorso si portavano i “francesismi”, dal dopoguerra, e chissà che non sia anche colpa di Alberto Sordi, gli “inglesismi”.

studiare-inglese.jpg Anche qui è tutta colpa della politica. Fino alla prima guerra mondiale la Francia contava e coooome! Anche oggi conta, ma meno d’allora.
Insomma, un po’ servili ma più che altro forse, provinciali, noi italiani, vogliamo somigliare ai vincitori, e oggi….per ora, contano di più l’America di Obama e l’Inghilterra di Cameron che gli altri. Avete visto quante medaglie olimpiche hanno avuto? E’ sempre cosi, i vincitori sono sempre vincenti (fino a quando non perdono) e fortunati. Come diceva Troisi: “Avete mai visto un terremoto a Saint Tropez, mai! Sempre in qualche remoto e povero paese del terzo mondo” (adesso, maligni che non siete altro, penserete all’Irpinia, all’Emilia, a L’Aquila…., spiritosi!)

Voglio vedere se a breve si afferma definitivamente la Cina, come faremo con i “cinesismi”, là è davvero dura.

Tuttavia va anche detto che l’incredibile capacità di sintesi dell’inglese ci permette di usare espressioni che non potremmo utilizzare con eguale efficacia nella nostra bella lingua.

Cosi è tutto un sorgere, in vari campi, di termini inglesi. In economia ci sono ormai arcinote parole come “spread” molto più semplice che dire del differenziale tra i titoli di stato di due paesi, spiegazione che è incompleta, immaginatevi se dovessimo dire l’equivalente in italiano, che lungaggine! Oppure a proposito dei prossimi tagli alla spesa pubblica si parla di “spending review”. Monti, poi, nelle sue conferenze stampa ci mette del suo, tirando fuori un’impressionante serie di termini ed espressioni inglesi. Si sa l’economista ha bazzicato paesi anglosassoni e si direbbe con buoni frutti.

Ma nel corso degli anni si sono affacciate nel nostro vocabolario quotidiano numerose parole inglesi.

E’ impossibile elencarne tutte ma vediamone alcune di largo uso ed anche alcune di fresco impiego.

Sale il montepremi alla lotteria, diventa il “jackpot”; I primi provvedimenti del governo si hanno come “prime time” dello stesso, ma l’espressione in primo luogo indica i programmi televisivi di prima serata. Sempre dalla televisione audience, che è più del semplice ascolto, indicando anche la quantità e a volte il gradimento degli ascoltatori. Il reality in italiano ha qualcosa di più dello spettacolo della realtà, ha un valore peggiorativo, con il reality si cerca di far credere una realtà non vera ma solo apparente o figlia di un sentire medio ed omologativo e non va dimenticato che inizialmente, ma ancora oggi, il termine indicava solo e anche un genere narrativo (paradossale, no?).

Must: qualcosa che si deve vedere o fare, qualcoda d’imperdibile ben più del semplice dovere, spesso anche un piacere.

Alcune parole sono estremamente agevoli si pensi a class action, che certo non è un’azione di classe (potrebbe sorgere qualche equivoco) ma un’azione giudiziaria portata avanti da un’intera categoria di persone a difesa dei propri individuali diritti, non potremmo dire nemmeno un’azione collettiva data la specifica finalità giuridica.

A proposito di equivoci da qualche tempo si sente una nuova espressione: misunderstanding che in verità è qualcosa in più di un equivoco per i suoi effetti e per l’intenzione che a volte sottende.
Benessere è “welfare”. In realta la parola inglese sintetizza anche la cura che le istituzioni pubbliche hanno per il benessere appunto dei loro cittadini (es. Il ministro per il welfare).

Di recente si sente: red carpet, letteralmente “tappeto rosso” ma quando si usa questa espressione si vuol dire di tante persone illustri, avere ospiti di primordine. La parola sta ecclissando un francesismo molto usato da noi fino a qualche anno fa: “Parterre de roi”, con il quale ci si riferiva alla presenza, nel luogo di azione, di illustri personaggi.

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Infine, noto che resistono termini degli anni settanta come “trash”, che venne di moda grazia alla cinematografia di serie B italiana, che imitava con scarso successo altre cinematografie di maggiore qualità.

Cosi come dagli anni ottanta resiste “gossip” qualcosa di più del semplice pettegolezzo basta vedere i giornali e le televisioni che ci vivono, e poi, se volete, è anche molto più glamour altra parola tra gli anni ottanta e novanta.

Parole inglesi che vengono adattate all’esigenze italiane è il caso dell’ormai vetusto stoppare, dal sostantivo stop usato prima nel calcio. Verbo che modernizza il classico fermare, frenare.

Sempre dagli anni novanta una parola ormai di larga diffusione: “Target” che dimostra come chi comunica si preoccupa non solo di cosa comunica ma anche di a chi comunica. Come audience, anche target finisce per essere emblema di una comunicazione asservita al compiaciùento del pubblico più che alla sua conquista. Non a caso sono due termini che si affermano negli anni d’oro del berlusconismo (questo ex-neologismo è italiano doc).

Veleno

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2 Commentaires

  1. Lingua. L’italiano e il paziente inglese.
    Le parole audience e glamour non sono di origine inglese. ‘Parterre roi’ non e l’espressione usata oggi in francese – tapis rouge. Da una lingua a un’altra, encontriamo le stessi problematiche.
    E bisogno sapere che in inglese o francese ci sono varie parole italiane usate ogni giorno, por esempio ‘piano, studio, tutti frutti, dolce vita, soprano, alto, tenor, solo, bravo e ancora tanti altre… e cosi la globalizazzione!!!

  2. Lingua. L’italiano e il paziente inglese.
    La ragione non è quella. La nostra lingua è rigida perché nata da modelli aulici letterari. Con e dal Petrarca è diventata una « lingua pensile » (secondo la formula di Luigi Russo) che non è capace di implicarsi nel quotidiano. Per cui ci esprimiamo in dialetto e abbiamo letterati che hanno scritto anche opere di teatro in dialetto.
    Ne consegue che la parola straniera appare più viva, più dentro la realtà e lo spirito moderno. Si usa il gallicismo o lo stranierismo come reazione ad una cultura che, segnata com’è dai riti cattolici, appena può sforna la formula in latino.
    E bisogna aggiungere lo squallore delle case editrici italiane incapaci di darsi una regola comune. Ognuna agisce per conto suo, calcando la maggior parte del tempo le regole straniere. Anche perché in questo campo in Italia non c’è nessuna istituzione con valore di riferimento nazionale. A parte mausolei di vere e proprie mummie viventi.

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