In Locarno Film Festival le contraddizioni delle famiglie salvate dalla terza età.

In attesa di Venezia e dei suoi film, diamo un’occhiata all’affascinante festival di Locarno che come ogni anno precede la kermesse veneziana. Dalla selezione dei film appare chiaro che in occidente è in crisi la famiglia e che gli anziani possono essere un problema ma anche una soluzione.

La condizione dell’anziano e la famiglia sono stati i due temi che sembrano farla da padrone nei film presentati questo 2012 al Festival di Locarno.

La famiglia: specchio di una crisi sociale che è anche crisi di valori, di certezze e di prospettive; ora àncora di salvezza, ora prigione abitata da aguzzini non sempre consapevoli della proprie azioni.
Paradossalmente la terza età viene celebrata nella sua “dilatazione”, nel suo prolungarsi nel tempo, frutto di un benessere conquistato nei decenni scorsi, proprio ora che la crisi pare destinata a provocare, tra i suoi “effetti collaterali”, una diminuzione e un peggioramento dell’attesa di vita nei Paesi europei.

In “Mobil Home” (Belgio/Lussemburgo/Francia) di Francois Pirot, due giovani ormai trentenni acquistano un camper con l’intenzione di partire per un lungo viaggio destinato a restare sull’orizzonte. Seppure in situazioni differenti, i rapporti con le famiglie di provenienza si mostrano in tutta la loro ambivalenza che va oltre la classica dialettica figli/genitori; ma alla fine, indipendentemente dai destini dei due ragazzi, a prevalere è l’immagine del nucleo famigliare come dispensatore di sicurezza economica e di certezze affettive in una fase di totale e completa precarietà.

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Nessuna certezza, né alcuna sicurezza invece per i due giovani protagonisti di “Giochi d’estate” (Svizzera/Italia) di Rolando Colla. Due famiglie sfasciate a causa della violenza paterna appaiono come gusci vuoti incapaci di guidare i figli nel difficile passaggio della pubertà. Un bel film, dalle tinte forti ma mai sopra le righe.

Anche nel cortometraggio “Suspended” (Australia) di Damian Walshe-Howing le responsabilità dello sfascio famigliare vengono attribuite al padre, ma il figlio, ancora bambino si rifugia nella compagnia di un cieco che lo guida alla scoperta del mondo. Il mondo può anche apparire bello e affascinante, ma per guardarlo non sempre gli occhi sono sufficienti e necessari. Una storia raccontata con capacità poetica e fortemente evocativa.

Che sia padre o marito, sembra non vi sia soluzione, è il maschio che non sa stare con dignità nel ruolo che le sue scelte o il fato gli hanno riservato. In “Padroni di Casa” (Italia) di Edoardo Gabbriellini un famoso cantante in declino (interpretato da Gianni Morandi) non riesce a reggere la vicinanza della moglie, divenuta invalida, senza precipitare in un cinismo destinato a mettere a nudo anche la doppiezza dei propri messaggi artistici. Anche qui la donna è vittima, seppure, in questo caso, non per scelta, né per devozione. La vicenda famigliare non esaurisce e forse non è nemmeno il centro del racconto che si concentra sul razzismo fra italiani, frutto di un campanilismo esasperato. Il film ha forse il pregio di mostrare che per suscitare i peggiori sentimenti di una collettività non è necessaria la presenza di qualche immigrato, ma la conclusione del racconto appare alquanto improbabile con risvolti “pulp” che indeboliscono il risultato finale.

Un papà colpevole, ma questa volta solo di distrazione, seppure pagata ad altissimo prezzo, è il coprotagonista di “Nachtlarm” (Svizzera/Germania) di Christoph Schaub storia di un rapimento involontario di un bebè. L’instabilità famigliare trova un suo equilibrio nella lotta contro il mondo esterno, infido e pericoloso. Morale abusata, ma raccontata attraverso spunti originali, a volte persino umoristici ed un attenta descrizione delle personalità dei protagonisti. I rapporti famigliari sembrano soccombere di fronte alla quotidianità, solo esperienze forti e inconsuete paiono fornire loro la capacità di resistere nel tempo.

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Una coppia in difficoltà nel quotidiano che cerca di superare la paura del futuro attraverso una coinvolgente esperienza di confronto coi fantasmi delle morti che furono, e una famiglia che mantiene la sua unità alla ricerca del marito/ padre ucciso dalla dittatura in Guatemala, costituiscono il soggetto di “Polvo” (Guatemala/Spagna/Cile/ Germania) di Julio Hernandez Cordòn. Un film nato forse con qualche pretesa, ma che risulta confuso e superficiale.

Interessanti ma molto lenti, centrati sull’estetica del gesto in modo talvolta esasperante, sono: “Wo Hai You Hua Yao Shuo” e “Los Mejores Temas”. Il primo è un film di Ying Liang (Corea del Sud) vincitore del Pardo per la miglior regia e per la miglior interpretazione femminile (An Nai), che, prendendo spunto da una storia vera, narra di una madre che si prepara ad incontrare il figlio rinchiuso in carcere per aver ucciso sei agenti, dopo essere stato picchiato per essere stato sorpreso a guidare una bici senza targa. Il secondo del messicano Nicolás Pereda racconta di un padre di famiglia che ritorna a casa dopo quindici anni di assenza. In ambedue i film sono passati al microscopio i sentimenti e le relazioni che legano i componenti del nucleo famigliare; un universo di sofferenza e di non detti che resta inaccessibile a chiunque altro.

Non c’è dubbio che vista con gli occhi del Festival la condizione dell’anziano è un’età di forte dignità, di consapevolezza e di scelte coscienti.

Almeno questo è quanto emerge da alcuni dei migliori film presentati.
“Quelques heures de printemps” (Francia) di Stephane Brizè, affronta il difficile tema dell’eutanasia, una scelta lucida e convinta di porre fine alla propria vita. Lo fa con delicatezza, senza ricercare la polemica e lo scandalo e con attori perfettamente inseriti nel ruolo. Un film come questo è forse il più valido contributo possibile per chi si batte per l’autodeterminazione sul fine vita.

“Un Estonienne A’ Paris” (Francia/Estonia/Belgio) di Ilmar Raag è un bellissimo racconto del confronto tra due figure femminili, una anziana l’altra più giovane, un incontro scontro tra due dignità, fatte di fierezza e dell’incapacità di arrendersi ai destini della vita e del tempo con, sullo sfondo, l’immigrazione dell’Est Europa.

In “Der Glanz Des Tages”, Pardo per la miglior interpretazione maschile (Walter Saabel) Tizza Covi e Rainer Frimmel raccontano con grande sensibilità un non previsto rapporto tra zio e nipote, nel quale, a discapito di come le apparenze sembrano comunicare, l’inventiva e la capacità di reinventare la propria collocazione nella vita, rendendola anche socialmente utile, è decisamente prerogativa del più anziano.

Non parla di anziani né di famiglia, ma dell’impossibilità di costringere le relazioni dentro binari prefissati, dell’incapacità, di ciascuno di noi, di saper scegliersi, anche qualora vi fosse la possibilità di farlo, la relazione ottimale costruendola in laboratorio. Non fosse altro che per questo messaggio liberatorio, la trama infatti non è delle più avvincenti e la conclusione è decisamente naif, “Ruby Sparks” (USA) di J.Dayton e V. Faris meriterebbe comunque di essere visto.

(nelle foto dall’alto in basso il manifesto del Festival e Gianni Morandi)

Vittorio Agnoletto

(Una corrispondenza per il CineClub “De Sica” – BasilicataCinema dal Festival del Cinema di LOCARNO)

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