Monti e l’Europa di domani.

Dopo Bruxelles si intravede una luce nel tunnel della crisi europea. Il cedimento della Merkel e le sue ragioni. Il rilancio dell’Europa un occasione per il rilancio della politica.
E domani…quale Europa?

Fino all’ultimo vertice di Bruxelles vi è stato un errore. Ciascun premier parlava dell’Europa pensando al proprio paese. Da ora si è finalmente cambiata rotta. Da ora in poi si parlerà dei propri paesi pensando all’Europa. Grazie a Monti, ma anche grazie a Rajoy, a Hollande e Draghi, che hanno stretto d’assedio la Merkel, l’Europa oggi vede una luce infondo al tunnel della crisi. Verso quella luce bisogna correre con determinazione e fretta.

Ci vorrà tempo ma con le ultime scelte decise e forse imposte da Monti & C. sembra tracciata una road map utile a sfuggire dalle devastanti speculazioni finanziarie che hanno messo a dura prova le borse europee e lo spread dei paesi con maggior debito.

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Non sono gli eurobond (la Merkel non avrebbe mai potuto accettarle, specie dopo le sue ultime dichiarazioni alla vigilia del vertice) ma lo scudo anti-spread permetterà di decomprimere l’assalto speculativo ai titoli di stato, creerà una barriera capace di contenere l’assalto che si è registrato nelle ultime settimane. La ricapitalizzazione delle banche proteggerà la Spagna ma indirettamente proteggerà anche l’Italia, che crollati gli iberici sarebbe la prossima vittima.

Si delinea una BCE che sarà effettivamente Banca Centrale Europea, capace di un controllo diretto sull’insieme dei sistemi bancari, tutto questo bilancia la ottima Tobin tax sulle transazioni finanziarie e borsistiche, reclamata dai tedeschi e il fiscal compact che impone il pareggio di bilancio agli stati membri.

Si tratta di passi avanti decisivi. Ma non può sfuggire il successo politico di Monti, che ridimensiona il ruolo tedesco, grazie anche all’arrivo di Hollande che sostituendo il genuflesso Sarkozy, ha rotto lo pseudo asse franco tedesco che in realtà sanciva il dominio germanico su tutto il quadro europeo.

Hollande ha resistito alla trappola Merkel che voleva costringere alla ritirata i francesi dopo aver messo sul piatto la giusta, legittima ma anche strumentale (in quel momento) questione del ridimensionamento delle sovranità nazionali, in chiave di una maggiore unità politica europea.

Tuttavia, obbiettivamente sul punto la Merkel ha ragione. La difesa dell’euro e dell’economia europea deve andare di pari passo con la costruzione degli Stati Uniti d’Europa. La Francia deve farsene una ragione. Non si può fare finta di costruire l’Europa, bisogna rassegnarsi all’idea che gli equilibri internazionali nel tempo della globalizzazione, impongono una sola strada; l’unità europea. L’alternativa è soccombere a forme di neocolonialismo. La Francia come la Germania e naturalmente l’Italia da sole non hanno futuro.

Certo, per usufruire dello scudo anti-spread bisognerà aver dimostrato di aver avviato le riforme strutturali necessarie, di essersi aperti al futuro modernizzando il paese, di aver avviato un’azione anche di risanamento interno al proprio paese, sia nella lotta all’evasione fiscale, alla corruzione, agli sprechi di denaro pubblico, tutti temi su cui l’Italia ha ancora ritardi drammatici, di poter alleggerire il debito pubblico, di aver creato effettive liberalizzazioni che finalmente mettano fine all’odioso sistema di caste e lobby che rende vano ogni merito e ogni capacità nel nostro stivale e che ha lo sciagurato effetto di far fuggire all’estero tanti talenti misconosciuti.
Si tratta insomma di dimostrare saggezza, di essere diventati finalmente virtuosi.

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Anche su questo punto, delle ragioni, l’ostinata premier tedesca, l’ha. La scuola economica tedesca è da sempre fondata sul valore del rigore e sull’idea di un’economia che abbia anche un connotato etico, tutto il contrario di quelle teorie neolib che sono alla premessa della sciagurata defaillance economica arrivata dall’oltre atlantico.

Si tratta di principi inspiratori di tutta la scuola economica germanica fino alla più recente di Francoforte. Per i tedeschi è veramente difficile pensare di dover intervenire con le proprie risorse a sostegno di paesi che hanno per decenni fatto le cicale e mai le formiche. Penso alla Grecia che è arrivata al falso di bilancio che si impegnò per eventi come le Olimpiadi che erano bel aldilà delle sue possibilità economiche, naturalmente hanno pesato nella sfortunata vicenda greca anche altre circostanze, su cui tuttavia non mi dilungherò.

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Lo stesso valga per la Spagna, e l’allegra gestione della finanza immobiliare, sorretta da un sistema bancario che oggi metta a nudo tutta la sua criticità. Ma la stessa Italia, che favorita al momento dell’entrata nell’Euro, con il preciso impegno di avviare quelle riforme strutturali necessarie a tenere il passo con Francia e Germania, le ha sempre rinviate, perdendo il tempo con il populista tormentone Berlusconi, che complice anche una sinistra miope, ha finito per determinare una stagnazione economica con effetti talmente pesanti da costringere l’attuale governo ha rimedi duri quanto necessari.

Tuttavia, pur avendo le sue ragioni la Germania deve ricordare che l’Europa ha aspettato mentre lo sforzo dell’unificazione del dopo muro, faceva sforare il suo bilancio. Ha aspettato perché la Germania è un partner essenziale per l’Europa. E’ bene ricordare che Kohl diceva che lui non voleva un’Europa germanizzata ma una Germania Europea, se ne ricordi la Merkel.

Probabilmente, l’Europa dalla MEC alla CEE ha sempre avuto una particolare attenzione agli aspetti economici, di produzione e d’infrastrutture, concedendo poco spazio a quella crescita politica e culturale che avrebbe dovuto marciare di pari passo, per far evolvere in tutta la comunità un sentimento europeista condiviso. Troppe banche, troppe imprese, troppa finanza e pochi progetti comuni per la scuola, per le università, per la ricerca tecnica e scientifica, per la valorizzazione orgogliosa di un patrimonio culturale mondiale unico e che può avere al di fuori del continente ben pochi competitori.

Credo che ben pochi possono vantare le archeologie romaniche ed elleniche che noi abbiamo, pochi paesi possono al contempo presentare musei come quelli di Firenze, Roma, Parigi, Londra, Madrid per citare solo alcuni esempi.

Si sarebbe dovuto investire molto di più su questo terreno, per rendere anche più comprensibili gli enormi sacrifici che tutti compiono in difesa di un sogno che da dopo Bruxelles appare realizzabile. E tuttavia, avere una moneta unica che abbia una banca unica sarebbe essenziale, anche in chiave politica e di appartenenza, imporre condizioni di prestito e di controllo che valgano per tutti è un importante modo per disinnescare le sempre pericolose tendenze sperequative che in una realtà ancora così multiforme possono crearsi. Ora la strada è aperta verso questa prospettiva.

In questa prospettiva, il governo italiano potrà partecipare alla crescita nazionale ed europea con i 120 miliardi che saranno mobilitati su questo tema caro al nostro premier e a quei paesi come la Spagna ma crediamo anche la Grecia, che hanno bisogno di crescita per uscire da questa estenuante fase recessiva.

Tuttavia, Monti deve concludere il suo mandato con fermezza e determinazione su quegli interventi ancora necessari specie sulla spesa pubblica e in materia di liberalizzazione, perseverando nell’impegno per la lotta alla corruzione e all’evasione fiscale.
Il parlamento deve decidersi a seguire i “santi consigli” del Presidente Giorgio Napolitano, lasciando perdere riforme costituzionali che richiedono troppo tempo e puntando ad una semplice riforma del sistema elettorale, che consenta a tanti elettori di ritrovare la voglia nel prossimo 2013 di tornare alle urne.

Tornando all’Europa va sottolineato che il coraggio dimostrato, grazie all’impuntatura di Monti e Rajoy con la ferma mediazione di Hollande, ci da respiro, dopo decenni di miopia ed egoismi politici. Ma questo coraggio va ora perseverato porgendo la mano alla Merkel ed in realtà a tutto il progetto europeo.

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Sono fermamente convinto che l’Europa sia una opportunità anche capace di salvarci dalla mala politica. Guardare oltre i propri confini costituisce anche il modo per avere dei buoni esempi di gestione amministrativa, per comprendere la valorizzazione di quanto si ha sul terreno delle risorse, ambientali, culturali ed artistiche, facendo incontrare e interagire differenti esperienze insieme, si possono determinare occasioni, sviluppare capacità, far emergere potenzialità.

Ecco perché trovo preistoriche le posizioni populiste che a destra e a sinistra ancora fermentano. Le Santaché nostrane che rivogliono la lira, Grillo che ci chiede di essere fuori dall’Europa, i Di Pietro che per un pugno di voti in più sono pronti a sacrificare non solo l’Europa ma anche l’Italia, e che dire della Lega che continua a parlare di Padania, non accorgendosi che da 150 anni esiste l’Italia e che ormai il tema è se l’Italia ci debba essere ancora o, rinunciando alla sua sovranità, diventare una parte (importantissima) dell’Europa?

Preistoria.

Tutto questo che viene offerto da costoro è populismo e certamente l’allontanamento dai partiti e la sfiducia in questi è figlia non di antipolitica ma di mala politica, appunto. E’ per questo che uscendo dal condominio e pensando ad orizzonti più vasti, forse anche la politica italiana, con i suoi soggetti, potrà ritrovare la via di una politica virtuosa, capace di coinvolgere realmente i cittadini, che ho l’impressione, a giudicare da tutto il movimentismo espresso negli ultimi decenni, vogliano fare politica e farla anche con passione ed impegno.

Bisogna, quindi, spingere su un’Europa più partecipata. Dove la Commissione Europea possa legiferare su tutto il territorio nazionale (là dove nazionale si intende la nazione Europa) non limitandosi ad emanare raccomandazioni spesso disattese o aggirate dai governi e parlamenti locali. Un governo europeo, più che una commissione, un governo che possa dirigere e rendere esecutive le deliberazioni del parlamento.

Creare un’Europa a due velocità come auspicava la Merkel ha per noi un amaro sapore fa pensare alla piemontesizzazione sciagurata e non voluta da Cavour, che morì appena compiuta l’unità, del sud Italia, anche quella unità fu soggetta alla miopia di molti politici. Se ne avrebbe una questione meridionale europea che coinvolgerebbe oggi la Grecia, l’Italia, la Spagna, Cipro, il Portogallo, creerebbe una divisione ingiusta e pericolosa all’interno del continente, con effetti drammatici, una sottolineatura di annosi problemi storici che darebbe spunto alla consolidazione di antichi razzismi e sarebbe foriero di nuove discriminazioni.

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C’è una Europa che è più avanti dei nostri governanti, non di tutti ma di alcuni, certo Monti è consapevole di ciò. C’è un’Europa dove crescono il numero di matrimoni tra persone di paesi diversi, dove esiste una mobilità del lavoro che fa si che oggi in Francia lavorino tanti giovani italiani e tanti ragazzi francesi vanno in Inghilterra, spagnoli che approdano in Italia, e anche gli studi con gli Erasmus hanno aperto le porte a tanti giovani alla conoscenza di realtà europee diverse.

Ci sono imprese che si trasferiscono in altre aree europee e certamente bisognerebbe creare delle condizioni d’impresa vantaggiose su tutto il territorio del continente. Tutto ciò rende vana e risibile la fobia dell’immigrazione ed emigrazione nel, dal e per il continente stesso. Bisogna rendere la ricerca scientifica e culturale strumento d’interscambio tra soggetti di diverse aree europee, mettendo insieme esperienze, cervelli, strumenti e capacità diverse.

Creando un dinamismo che dia risalto alle grandi potenzialità del continente. La nostra storia, il pensiero filosofico, l’arte, la cultura e la stessa politica e dottrina economica europea sono molto affini fra loro. Il drammatico percorso europeo del “secolo breve” ci ha divisi ma accomunati nell’idea che dal trattato di Roma del 1957 in poi ci ha portato ad una graduale ma risoluta unità europea.

La politica miope e claudicante di molti leader europei ha fatto dilapidare il grande entusiasmo dei cittadini dei paesi componenti, utilizzando troppo spesso nel bene e nel male il tema Europa come un tema da usare per provinciali scopi interni, tradendo la grande aspirazione che fu di Adenauer, Spinelli ed altri padri della idea Europa.

Ancora una volta, anche dopo questa guerra che viva iddio per ora non è guerreggiata se non nei mercati, nelle borse con effetti tuttavia tragici nella vita delle persone, l’Europa potrà mettere molti tasselli in più nella sua costruzione. Ed oggi grazie a Monti e dopo Bruxelles ci si può sentire più ottimisti.

(nelle foto dall’alto in basso: la Merkel, Schumann, Adenauer e De Gasperi, Altiero Spinelli, il trattato di Roma, Mario Monti).

Nicola Guarino


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Nicola Guarino
Nicola Guarino, nato ad Avellino nel 1958, ma sin dall’infanzia ha vissuto a Napoli. Giornalista, già collaboratore de L'Unità e della rivista Nord/Sud, avvocato, direttore di festival cinematografici ed esperto di linguaggio cinematografico. Oggi insegna alla Sorbona presso la facoltà di lingua e letteratura, fa parte del dipartimento di filologia romanza presso l'Università di Parigi 12 a Créteil. Attualmente vive a Parigi. E’ socio fondatore di Altritaliani.

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